giovedì 24 dicembre 2015

THE VISIT

The Visit
di M Night Shyamalan
con Kathryn Hahn, Olivia Dejonge
Usa, 2015
genere, horror
durata, 94'


Negli anni 70 la New Hollywood inaugurò l’abitudine di mettere in testa ai titoli della locandine dei film il nome del regista per sottolineare la rottura con un passato in cui il cineasta non era visto come il deus ex machina  indispensabile alla realizzazione di una determinata pellicola ma piuttosto come semplice parte dell’ingranaggio produttivo. Con motivazioni ben più pragmatiche, che nella quasi totalità dei casi riguardano la commercializzazione del prodotto, questa consuetudine è ancora invalsa per un ristretto numero di cineasti il cui nome alla stregua di un qualsiasi altro logo viene messo in bella vista come garanzia del prodotto che si vuole vendere. Prendete “The Visit” e guardate il poster del film. Il nome del regista insieme un paio dei suoi titoli più famosi campeggia in testa al poster subito sopra quello della Blumhouse Production, che pure negli anni è diventata la maggiore referente del genere horror e che qui invece segue quello del cineasta di origine indiana. Oltre alle evidenti strategie di marketing quello che qui interessa sottolineare è come “The Visit”,  prima ancora che un film di genere sia soprattutto il lavoro di un’artista tra i più importanti degli ultimi decenni e che, in quanto tale,  abbia necessità di una lettura critica che tenga conto di quelle che sono le caratteristiche cinematografiche di questo regista. Il quale, dopo i ripetuti flop commerciali (“The Last Airbender” e “After Heart”) che gli sono costati l’appoggio delle Major approfitta dell’occasione fornitagli dai nuovi mecenati per riprendere le fila di un discorso che si era interrotto con “Lady in the Water e “The Happening” e per rilanciare i temi forti di una poetica che lavorando all’interno del mainstream contemporaneo è nella sua classicità quanto di più lontano ci possa essere dalle produzioni low budget di Jason Blum, che al contrario tendono a fare della propria diversità contenutistica e formale  il proprio cavallo di battaglia. 


Non è un caso quindi che la rilettura in chiave moderna della favola di Hansel e Gretel, con la visita ai nonni da parte dei due nipotini a fare da apripista al campionario di spaventi e nefandezze previste dalla storia,  si faccia promotrice di una paura estranea a quella a cui sono abituati i fan degli horror movie. Perché qui  a essere differenti  non sono tanto le situazioni che la generano, peraltro simili per contesto e ambiente a quelle dei vari “Sinister” e “Paranormal Activities” quanto piuttosto la fantasia che le ha immaginate. Che è quella fanciullesca e casta di Shyamalan (non a caso i protagonisti sono due bambini) alla quale da manforte una trama che in analogia con quella di “Jurassic World” (con il parco degli orrori sostituito da una casa allestita per il medesimo divertimento) è destinata a riaffermare  - dopo averla  vituperata -  l'importanza dell'istituzione famigliare. Certo anche in "The Visit" il marchio di fabbrica della Blumhouse è quantomai visibile ma da un lato il mokumentary derivato dal fatto che la maggior parte di quello che vediamo è il risultato del documentario girato dai due ragazzini è destinato a perdere qualsiasi istanza di realismo per diventare un puro espediente estetico narrativo, messo al servizio di quel tono scanzonato che il film comunque ricerca anche nelle situazioni più drammatiche; dall'altro, la critica indiretta al surplus di immagini che finisce per punire chi le vede, già presente nel dittico dedicato a "Sinister",  è tale solo in superficie e non incide sull'anima del film; come daltronde ribadisce la sequenza finale, in cui il lieto fine viene filmato dalla stessa telecamera che era stata testimone dei terribili fatti appena raccontati. La parziale delusione di "The Visit" dunque non è la mancata purezza dell' horror realizzato da Shyamalan quanto piuttosto il venir meno di quella creatività di cui si erano giovata la prima parte di carriera del nostro regista.

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