mercoledì 29 luglio 2020

L'HOTEL DEGLI AMORI SMARRITI

domenica 26 luglio 2020

LA FOTO DELLA SETTIMAMA

Paranoid Park di Gus van Sant (USA 2007)

A HIDDEN LIFE

A Hidden Life
di, Terrence Malick
con, August Diehl, Valerie Pachner, Maria Simon, Michael Nyqvist, Matthias Schoenaerts, Jürgen Prochnow, Bruno Ganz
Germania, USA, 2019
genere, drammatico
durata, 175’



L'occhio, viziato da una mostruosa costrizione a vedere lontano [...] viene costretto qui a
cogliere con acutezza ciò che è più vicino, il tempo, ciò che ci circonda. [...] Parlando da un punto
di vista teologico, fu Dio stesso che, terminato il suo compito, si mise, in forma di serpente, sotto
l'albero della conoscenza: cercava così sollievo dall'essere Dio... Aveva reso tutto troppo bello...
— F. Nietzsche, "Ecce Homo” —




Le montagne dell'alta Austria, argini spirituali prima ancora che geografici. A introdurre, però, le immagini di repertorio di Hitler acclamato dalla folla, accompagnate da una musica che le estromettono dalla mera funzione di documentazione storica facendone una sorta di liturgia macabra, iniziano a indirizzare oltre quelle cime nubi di colorazione prossima al nero assoluto. Se è vero che in Natura per ogni elemento ne esiste un altro sua contraddizione pura, sulla scia dell'esempio precedente possiamo affermare che per ogni fiume c'è una diga pronta a fermarlo e che per ogni diga c'è un fiume pronto a fare breccia. A risolvere il paradosso, nel caso specifico di "A hidden Life", c'è un umano-troppo-umano, al secolo Franz Jägerstätter, che Malick non pone come martire - strizzando l'occhio al sopra citato Federico, che i martiri li aveva già seppelliti dalle prime battute de “L’Anticristo” - ma  semplicemente come argine ulteriore e imprevisto. 




Franz  - il film è ispirato alla sua storia vera - si dedica alle tre Madri - la Terra che coltiva, la Madre naturale e la Madre dei suoi figli - incarnando sostanzialmente un essere umano antico che con la Natura non vive un rapporto estetico ma morale. Questo fino a quando non viene chiamato alle armi per servire il regime Nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, decidendo per la dissidenza e dunque per l'inevitabile condanna. Tutto il percorso interiore del personaggio viene attraversato dai consueti flashback, da meditazioni errabonde e placidi silenzi grandangolari alternati a sguardi, gesti e paesaggi elevati spontaneamente al di fuori di una connotazione temporale propria della materia. 


Per paradosso, nella visione cristologica di Malick, la fede non è più quella componente etica insita nell'uomo per risolvere i conflitti del cosmo - il riferimento è alla visione antropocentrica di "The Tree of Life" e di "To the Wonder" - ma diventa la colonna portante del dramma umano in quanto tale, annullando di fatto la distanza con la Morte in una sequenza finale che con pochissimi stacchi di montaggio riesce a disarcionare la Storia dalla sella del Presente: il sole, il silenzio vuoto e poi di nuovo le montagne. Per il regista texano Franz altri non è che Cristo senza retorica e senza apostoli, amato dagli altri, amante di sé stesso e viceversa, che non cede mai al peso della pressione sociale né al fascino della seconda possibilitàMalick depone quindi i personaggi ultramoderni - nichilisti perché già annichiliti, ossia morti in partenza -  di "Knight of Cups" e "Song to Song”, e si dedica all'introspezione di un individuo - nel senso puro del termine, in quanto agisce per sé stesso e in sé stesso - che muore perché, con ogni probabilità, ha ancora qualcosa per cui vale la pena vivere. 
Antonio Romagnoli

domenica 12 luglio 2020

MATTHIAS & MAXIME

Matthias & Maxime
di Xavier Dolan
con Xavier Dolan, Gabriel D'Almedia
Canada, 2020
genere, drammatico
durata, 119'


Il cinema di XavierDolan è sempre autobiografico ma talvolta lo è di più di altre per il suo essere invaso da sentimenti e stati d’animo che sono la trasposizione di questioni contingenti. MatthiasMaxime ne è la conferma in virtù del suo prefigurarsi come il tentativo di ricucire lo strappo seguito alla tormentata lavorazione di La mia vita con John F. Donovan, film che nelle intenzioni del regista doveva segnare l’inizio di una nuova fase di carriera e il principio di un nuovo corso lavorativo. Girato in lingua inglese e prodotto nel contesto e secondo le regole dell’apparato hollywoodiano, il primo lungometraggio in terra americana si è però rivelato un flop di tali proporzioni da indurre il regista a ritornare sui propri passi.0

Da cui Matthias & Maxime, ovvero la restaurazione del primo cinema di Dolan, quello nel quale era lui per primo protagonista in veste di attore davanti alla mdp e in cui il budget ridotto e la freschezza di volti e corpi esenti dai condizionamenti dello star system diventavano il viatico di una libertà artistica qui confermata dalla leggerezza dell’assunto. Matthias & Maxime ruota infatti attorno a un bacio rubato, quello che i due amici si danno in veste di attori di un film amatoriale e che da lì in poi assurge a motivo della messa in discussione delle rispettive esistenze.0

Se l’orizzonte temporale entro il quale si svolge la vicenda sono le giornate che separano Maxime dal giorno della partenza per l’Australia dove il ragazzo ha intenzione di trasferirsi e se ancora le vicissitudini scaturite dall’avvicinarsi della data fatidica altro non sono che il risultato delle schermaglie con cui Maxime e i suoi amici esorcizzano l’imminente separazione, allora si può dire che Matthias & Maxime ragioni soprattutto sull’importanza delle proprie radici e sulla necessità di rimanervi il più possibile ancorati. Magari, tornando a casa, come ha fatto Dolan, anche nella riproposizione di situazioni e tematiche da sempre al centro della sua poetica. E dunque riflettendo sull’amore e le sue pene, su amicizia e identità sessuale per non dire dei rapporti famigliari, come al solito tanto imprescindibili quanti tormentati.

Nel farlo Dolan si affida a una regia più concreta di altre occasioni, lasciando che siano espedienti tutto sommato semplici a sottolineare lo stato d’animo del film. Parliamo per esempio delle accelerazioni del numero dei frame volte a sottolineare l’esuberanza giovanile e il tumulto degli affetti e ancora di certi stacchi di montaggio, anticipati rispetto alla fine della sequenza apposta per sottolineare le reticenze e i non detti di una verità, quella che Matthias e Maxime faticano a confessarsi.
Carlo Cerofolini

martedì 7 luglio 2020

DARK

domenica 5 luglio 2020

SOTTO IL SOLE DI RICCIONE