Arianna
di Carlo Lavagna
con Ondina Quadri, Massimo Popolizio, Valentina Carnelutti
Italia, 2015
genere, drammatico
durata, 84'
Partendo dall’anello mancante di una personalità altrimenti incompleta, “Arianna” è il racconto di una presa di coscienza, dolorosa ma necessaria, in cui l’acquisizione dei diversi tasselli che serviranno a ricomporre il mosaico psicologico , della protagonista ma in sottordine anche degli altri famigliari, sono il risultato di un percorso narrativo che adottando la struttura di un thriller esistenziale, procede più per accumulazioni visive che verbali, producendo immagini, a volte svianti, sul tipo di quelle dal sapore bucolico che, contraddicendo la drammaturgia della storia, improntata a un soffuso senso di precarietà, inducono a sentimenti di spensieratezza e di divertimento; a volte evocative del futuro della protagonista; anticipato dal primo piano del volto incorniciato da acque dalla consistenza amniotica, a sottolineare la metamorfosi in atto; in certi casi persino ardite, nella rappresentazione di una sessualità che non solo non rinuncia alle nudità dei corpi ma che nel caso di Arianna, la mostra con un occhio che sembra acuire il mistero di cui la sua carne si fa portatrice. Qualità estetiche e figurative che, sulla scia del successo di registi come Matteo Garrone e Paolo Sorrentino, sono diventate tratto comune a una fetta sempre più numerosa del cinema italiano; e che però, a differenza di altre volte, nel film di Lavagna riescono a fare a meno del proprio decor, per dare linfa agli aspetti emozionali di una vicenda che, seppur collocata in un contesto anche poetico, risulta nelle sue conclusioni tutt'altro che idilliaca; come testimoniano le parole di Arianna che, nel commentare a posteriori il suo percorso di rinascita non omette le difficoltà della consapevolezza acuisite al termine del suo viaggio esistenziale. Senza dimenticare che “Arianna” affrontando tra gli altri temi, quello relativo alle nuove (per modo di dire) forme di identità sessuale – come già aveva fatto Laura Bisturi in “Vergine giurata” - mette in circolo un’idea di comprensione e di tolleranza che davvero sono un invito a non aver paura di affermare le proprie differenze; qualsiasi esse siano.
di Carlo Lavagna
con Ondina Quadri, Massimo Popolizio, Valentina Carnelutti
Italia, 2015
genere, drammatico
durata, 84'
Nonostante le difficoltà che sta attraversando dal punto di vista produttivo, il cinema italiano continua a dare segnali di vitalità. Prova ne sia, all’ultimo festival di Venezia, la presenza di un gruppo di film che ha portato alla ribalta i nomi di Antonio Messina (L’attesa), Alberto Caviglia (Pecore in erba), Lorenzo Berghella (Bangland), e appunto di Carlo Lavagna, il regista di “Arianna”, che alla pari degli altri appena menzionati partecipavano alla manifestazione con la loro opera d’esordio. Al di là delle differenze rintracciabili all’interno dei singoli titoli, ad emergere in linea generale è il desiderio di porsi in alternativa alla dilagante voglia di omologazione, che caratterizza il panorama cinematografico nostrano. Una diversità che “Arianna” iscrive di diritto nel proprio Dna, attraverso la vicenda della giovane protagonista, adolescente introversa e inquieta che, nell’arco dell’estate trascorsa a contatto con un ristretta cerchia di coetanei e immersa nella natura incontaminata che circonda la villa di famiglia, è costretta, un poco alla volta, a fronteggiare le conseguenze di un segreto che troverà risposta nella particolarità fisiologica del proprio corpo.
Partendo dall’anello mancante di una personalità altrimenti incompleta, “Arianna” è il racconto di una presa di coscienza, dolorosa ma necessaria, in cui l’acquisizione dei diversi tasselli che serviranno a ricomporre il mosaico psicologico , della protagonista ma in sottordine anche degli altri famigliari, sono il risultato di un percorso narrativo che adottando la struttura di un thriller esistenziale, procede più per accumulazioni visive che verbali, producendo immagini, a volte svianti, sul tipo di quelle dal sapore bucolico che, contraddicendo la drammaturgia della storia, improntata a un soffuso senso di precarietà, inducono a sentimenti di spensieratezza e di divertimento; a volte evocative del futuro della protagonista; anticipato dal primo piano del volto incorniciato da acque dalla consistenza amniotica, a sottolineare la metamorfosi in atto; in certi casi persino ardite, nella rappresentazione di una sessualità che non solo non rinuncia alle nudità dei corpi ma che nel caso di Arianna, la mostra con un occhio che sembra acuire il mistero di cui la sua carne si fa portatrice. Qualità estetiche e figurative che, sulla scia del successo di registi come Matteo Garrone e Paolo Sorrentino, sono diventate tratto comune a una fetta sempre più numerosa del cinema italiano; e che però, a differenza di altre volte, nel film di Lavagna riescono a fare a meno del proprio decor, per dare linfa agli aspetti emozionali di una vicenda che, seppur collocata in un contesto anche poetico, risulta nelle sue conclusioni tutt'altro che idilliaca; come testimoniano le parole di Arianna che, nel commentare a posteriori il suo percorso di rinascita non omette le difficoltà della consapevolezza acuisite al termine del suo viaggio esistenziale. Senza dimenticare che “Arianna” affrontando tra gli altri temi, quello relativo alle nuove (per modo di dire) forme di identità sessuale – come già aveva fatto Laura Bisturi in “Vergine giurata” - mette in circolo un’idea di comprensione e di tolleranza che davvero sono un invito a non aver paura di affermare le proprie differenze; qualsiasi esse siano.
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