The mysterious geographic explorations of Jasper Morello
di, Anthony Lucas
Australia, 2004 -
genere, animazione
durata, 27’
Negli anni scorsi - e già non sembra più l’altro ieri - la Pixar ci aveva abituato a una quasi costante ridefinizione non tanto e non solo dei limiti tecnici dell’animazione, quanto e soprattutto degli ambiti (quindi delle concrete possibilità) di espressione - in un mondo sempre più compiaciuto del proprio approssimarsi alla razionalizzazione assoluta - della meraviglia. Adesso che il colosso di Emeryville è più che intenzionato a sublimare/esorcizzare una fisiologica stasi successiva a una parallela crescita duratura, come anche un qual debito di creatività attraverso la capitalizzazione sistematica di brillanti ma trascorse intuizioni (i nuovi capitoli di vecchie storie, infatti, vengono annunciati con una prevedibilità che di per sé rende superfluo qualunque sospetto - o prevenzione - inerente a una precisa strategia industriale), il sapore della meraviglia, spezia rara per definizione, deve essere ricercato in opere magari piccole o piccolissime del recente passato, come questo “The mysterious geographic explorations of Jasper Morello”, cortometraggio (27’) di Anthony Lucas il cui titolo, da solo, è già una liaison struggente tra nostalgia e senso di perdita per, ad esempio, i mondi impossibili descritti da Jules Verne.
Alcuni retaggi dell’infanzia possono essere fuorvianti - si pensi alla precoce predominanza dell’elemento fantastico in grado, se non temperato, di generare aspettative irrealistiche col sovrappiù, a mo’ di deprimente effetto collaterale, d’un rapporto fin troppo contrastato col tessuto del quotidiano - arrivando a solleticare, per contrasto, la sensibilità alla meraviglia come risposta a un fastidiosa frustrazione, ossia rilevandone i tratti anche là dove le circostanze non li prevedono. Contraddizione con passione e metodo disinnescata dalla presente opera del regista australiano, in raro equilibrio tra meraviglia come costante opportunità d’interscambio tra la linea narrativa prescelta - quella avventurosa - e le forme via via chiamate a evocarla (qui un sodalizio armonico tra animazione classica e computerizzata), e le sue eventuali epifanie. Del resto, la ricorsività delle vicissitudini dell’ufficiale di rotta Jasper Morello, a cui un recente trascorso non ha risparmiato la ventura d’una tragedia destinata a ossessionarlo nel presente, ben si presta al passo dell’anabasi, a quel suo incedere tortuoso, in genere foriero di complicazioni ma intrinsecamente aperto all’imponderabile ovvero, a volte, proprio alla tanto ritrosa meraviglia.
A tale risultato concorre, innanzitutto, la collocazione della vicenda in quella capricciosa parentesi temporale, figlia tanto dell’estro quanto di una fantasia irrequieta, disposta a far coesistere nelle affusolate silhouette all black dei protagonisti, come nelle linee e nelle soprelevazioni meccaniche addolcite da un lucore sabbioso della città di Gothia, la suggestione (e, volendo, una certa stretta al cuore) per la Parigi dell’Esposizione Universale del 1900, con le intelaiature metalliche, gl’infiniti ingranaggi, gli apparecchi di misurazione e le slanciate carenature di macchine volanti avveniristiche eppure partecipi di un ingegno e d’un gusto indiscutibilmente rétro. Al passo d’una cronologia ipotetica s’attaglia, poi, di slancio, la progressione drammaturgica archetipica centrata sulla variante del viaggio come mezzo per giungere a una conoscenza altrimenti non attingibile e come viatico eventuale per la composizione, sia del personale rovello interiore dell’eroe, sotto forma di gesto risarcitorio, sia, più in generale, dell’antagonismo principale che percorre l’intera fabula, ovvero il percorso materiale ed emotivo che lega gli sforzi compiuti da un gruppo di assortiti personaggi - il burbero Capitano Griswald e la sua ciurma; un ambiguo accademico, il biologo Claude Belgon - per debellare il misterioso morbo causa della decimazione e delle sofferenze patite da una comunità umana oramai rassegnata alla crudeltà della sorte occorsale. S’aggiunga, infine - non da poco - la sospensione morbida ma febbrile indotta dalla torsione letteraria di presentare gli avvenimenti come un resoconto imparziale, scientifico, quasi, tratto dalle note di bordo redatte da Jasper per l’amata compagna Amelia/Beaumont rimasta a Gothia a prestar opera di soccorso e sottolineate dalla voce di Joel Edgerton impostata su un registro al tempo confidenziale e rigoroso nelle descrizioni, tipico dell’intercalare alto anglosassone, ad alludere alla lunga tradizione di quella cultura in campo geografico e naturalistico.
A scaturirne - tra collisioni aeree, scoperte di strani mondi levitanti e ancor più singolari creature, carcasse di pesci abissali, dolorose agnizioni sulla volontà di potenza della Scienza, scelte estreme e stranite malinconie - è così un ritratto neanche tanto paradossalmente intimo, cioè più vicino al mistero d’un uomo scisso tra senso di responsabilità e senso di colpa (o, spostando l’accento sul respiro simbolico delle immagini, in bilico tra lanecessità incarnata dal nero pece delle eliche, dal grigio pieno delle paratie, come dai mucchi di cadaveri infetti accatastati nei crepacci e l’immateriale conforto della longilinea eleganza e della soavità della voce di una donna - in una delle ultime trasmissioni, prima di sfidare la disperazione su rotte sconosciute, Amelia concorda con Jasper circa l’intenzione di metter su famiglia al suo ritorno -), che alle strambe contorsioni della Storia (per quanto immaginaria), e di fronte al quale i molteplici volti del mistero più grande, quello della Conoscenza, quello dell’enigma del Male, quello della Salvezza, si specchiano, si sovrappongono fin quasi a identificarsi, per lasciar subito dopo spazio a uno stupore nuovo, fugace e indifeso, primo passo che dal dolore conduce alla Meraviglia (“Un grado non è una grande distanza. In una bussola ha appena lo spessore di un’unghia. Ma in certe condizioni… un grado può essere una grande distanza. Abbastanza da distruggere un uomo”).
TFK
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