Il petroliere
di PT Anderson
con DD Lewis, Paul Dano
Usa, 2007
durata, 158'
L'America di Anderson è da sempre un Paradiso perduto non solo per le citazioni bibbliche(le colpe dei padri ricadono sui filgi dice la voce over di Magnolia) ed i riferimenti religiosi (la dissoluzione del nucleo famigliare è il peccato originale che nega la vita)continuamente richiamati ma anche per la condizione di esilio che afflige la sua umanità. Briciole di esistenza destinate all'oblio se non intervenisse la presa di coscienza di sè e degli altri che, in una condivisione esistenziale simile a quella descritta da Leopardi nella sua Ginestra, li emancipa da cotanto dolore.In questo senso le coordinate umane e psicologiche del "Cercatore di petrolio"impersonato in maniera sciamanica da D.D.Lewis non si discostano da tali premesse; anche qui il passato familiare è all'origine di tutto ed è qualcosadi oscuro e doloroso.
Un nodo mai risolto a cui si risponde con un esistenza irrequieta e raminga fatta di pozzi di petrolio e paternità acquisite,di visioni profetiche e sguardi accecati dall'odio e la paura; un movimento sistematico ed ossessivo che è ricerca ed insieme fuga da quella risposta di amore che neanche Dio vuole soddisfare.
L'incontro con il predicatore(Paul dano splendidamente ambiguo), è lo scontro tra due ossessioni (di Dio e dell'affermazione di sè)che si manifestano per antitesi visive (il petrolio è caratterizzato da un evidenza oggettiva a cui corrisponde un Dio antimaterico)e comportamentali (il predicatore è l'uomo dell'affabulazione, il petroliere del pensiero che diventa fatto)che finiscono per essere la faccia della stessa medaglia e di una sorte comune. Anderson si immerge nella Storia con precisi riferimenti temporali (siamo a cavallo tra 800 e 900)e filologici(la ricostruzione degli ambienti e delle atmosfere sembrano uscire da un album fotografico dell'epoca)che filtra attraverso uno sguardo lucidamente moderno (basti pensare all'uso ancora una volta vincente dell'apparato musicale creato da Gymmy Greenwood, chitarrista dei Radiohead, un crogiuolo di suoni e rumori che sembrano provenire dall'alba dei tempi e da una dimensione mai esistita)ed allo stesso tempo antico, per la presenza degli archetipi della modernità americana(la Ferrovia, la conquista del territorio e delle anime, la Frontiera e l'Etica protestante di matrice calvinista)di cui il film si serve per cristallizzare il momento della svolta, quello in cui il potere economico e quello religioso unirono le proprie forze in un patto di mutuo soccorso e di reciproca leggittimazione.
La prosperità economica come segno evidente della Grazia di Dio, la fede come oggetto di scambio e chiave di accesso ai beni terreni sono i parametri di questa alleanza destinata a rinnovarsi nel tempo. La regia riesce a farci sentire la forza primordiale che muove il protagonista (un uomo che sembra condividere gli enigmatici silenzi dello spettacolo naturale che lo circonda)ed insieme il tormento che precede l'estasi dell'epifania petrolifera, sovrapponendoli al realismo del paesaggio che si carica di valenze simboliche ed evocative fatte di colori (magnifica fotografia di Bob Elswitt)che esplodono sullo schermo ed oggetti disposti nello spazio con una geometria di metafisica precisione. Forma e sostanza di un opera che si pone nella continuità di quel cinema della New Hollywood di cui si sentiva la mancanza. Un capolavoro.
di PT Anderson
con DD Lewis, Paul Dano
Usa, 2007
durata, 158'
L'America di Anderson è da sempre un Paradiso perduto non solo per le citazioni bibbliche(le colpe dei padri ricadono sui filgi dice la voce over di Magnolia) ed i riferimenti religiosi (la dissoluzione del nucleo famigliare è il peccato originale che nega la vita)continuamente richiamati ma anche per la condizione di esilio che afflige la sua umanità. Briciole di esistenza destinate all'oblio se non intervenisse la presa di coscienza di sè e degli altri che, in una condivisione esistenziale simile a quella descritta da Leopardi nella sua Ginestra, li emancipa da cotanto dolore.In questo senso le coordinate umane e psicologiche del "Cercatore di petrolio"impersonato in maniera sciamanica da D.D.Lewis non si discostano da tali premesse; anche qui il passato familiare è all'origine di tutto ed è qualcosadi oscuro e doloroso.
Un nodo mai risolto a cui si risponde con un esistenza irrequieta e raminga fatta di pozzi di petrolio e paternità acquisite,di visioni profetiche e sguardi accecati dall'odio e la paura; un movimento sistematico ed ossessivo che è ricerca ed insieme fuga da quella risposta di amore che neanche Dio vuole soddisfare.
L'incontro con il predicatore(Paul dano splendidamente ambiguo), è lo scontro tra due ossessioni (di Dio e dell'affermazione di sè)che si manifestano per antitesi visive (il petrolio è caratterizzato da un evidenza oggettiva a cui corrisponde un Dio antimaterico)e comportamentali (il predicatore è l'uomo dell'affabulazione, il petroliere del pensiero che diventa fatto)che finiscono per essere la faccia della stessa medaglia e di una sorte comune. Anderson si immerge nella Storia con precisi riferimenti temporali (siamo a cavallo tra 800 e 900)e filologici(la ricostruzione degli ambienti e delle atmosfere sembrano uscire da un album fotografico dell'epoca)che filtra attraverso uno sguardo lucidamente moderno (basti pensare all'uso ancora una volta vincente dell'apparato musicale creato da Gymmy Greenwood, chitarrista dei Radiohead, un crogiuolo di suoni e rumori che sembrano provenire dall'alba dei tempi e da una dimensione mai esistita)ed allo stesso tempo antico, per la presenza degli archetipi della modernità americana(la Ferrovia, la conquista del territorio e delle anime, la Frontiera e l'Etica protestante di matrice calvinista)di cui il film si serve per cristallizzare il momento della svolta, quello in cui il potere economico e quello religioso unirono le proprie forze in un patto di mutuo soccorso e di reciproca leggittimazione.
La prosperità economica come segno evidente della Grazia di Dio, la fede come oggetto di scambio e chiave di accesso ai beni terreni sono i parametri di questa alleanza destinata a rinnovarsi nel tempo. La regia riesce a farci sentire la forza primordiale che muove il protagonista (un uomo che sembra condividere gli enigmatici silenzi dello spettacolo naturale che lo circonda)ed insieme il tormento che precede l'estasi dell'epifania petrolifera, sovrapponendoli al realismo del paesaggio che si carica di valenze simboliche ed evocative fatte di colori (magnifica fotografia di Bob Elswitt)che esplodono sullo schermo ed oggetti disposti nello spazio con una geometria di metafisica precisione. Forma e sostanza di un opera che si pone nella continuità di quel cinema della New Hollywood di cui si sentiva la mancanza. Un capolavoro.
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