venerdì 17 luglio 2015

FEDELE ALLA LINEA

Fedele alla linea
di ,G.Maccioni.
con, G.L.Ferretti.
genere,documentario
Italia, 2013
durata,75'

 
Un cavallo che scarta e si agita al momento della ferratura; frasi brevi ma nette, del genere "Con l'adolescenza ho scoperto il mondo e la vita... Poi non ne potevo più... Scegliere tra la villetta a schiera, l'appartamento, fare un mutuo e decidere che la vita era finita", possono servire ad inquadrare con sufficiente approssimazione i contorni di una persona sfaccettata, al tempo tesa verso una qualche forma esperibile di coerenza tanto misurata negli atteggiamenti quanto venata nel profondo da una tensione quasi isterica, come Giovanni Lindo Ferretti, cantante, scrittore e non ultimo allevatore, co-autore assieme a Massimo Zamboni, ed estensore privilegiato dei testi, dei brani dei CCCP prima, dei CSI poi (a stretto contatto con figure artistiche del calibro di Giorgio Canali, Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli, Ginevra Di Marco), fino alla costituzione (insieme a parte del nucleo dei CSI) dei PGR, primo passo in direzione di un'attività solista che negli anni recenti si e' fatta limitata nelle proposte eppure sempre più variegata nell'assimilazione delle suggestioni (recital, improvvisazioni, riproposizione di un teatro delle origini, arcaico, barbarico, nelle scelte formali e di contenuto) e nelle collaborazioni.
 



La storia filmata da Maccioni con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e l'apporto della Regione Toscana e della Cineteca di Bologna, si sviluppa come il resoconto scabro e lineare di una vita (per uno svolgimento essenziale tanto nella messinscena quanto nella primaria alternanza di materiale di repertorio e contrappunto della voce del protagonista), giocato pressoché sempre sul crinale, da un lato, di un puro desiderio di conoscenza, quindi di apertura al mondo, ai rapporti - umani, economici, storici, politici... - esemplificato dalle scene ritraenti la formazione collegiale e dalle istantanee che rivelano una precoce passione per la lettura; dall'altro, dal progressivo disvelamento - quasi sempre doloroso al punto da poter congetturare riguardo una somatizzazione diretta e fisica dei contrasti - di un ineliminabile grumo di frustrazione allorquando la realtà mostra a chi e' risoluto a non auto-ingannarsi benché ancora a corto di esperienze, le pieghe sovente ripugnanti delle sue contraddizioni. Coagulo che, inevitabilmente, esploderà al raggiungimento della post-adolescenza coincidente con il rigetto della rigidità familiare (soprattutto materna) e l'avvento del movimentismo, della voglia di moderno, e confluirà nella rabbia sorda e nel cadenzato disincanto delle schegge sonore e liriche prodotte durante l'esperienza con i CCCP: "Io sto bene, io sto bene/Io sto male, io sto male/Io non so, io non so come stare, dove stare.../Una questione di qualità/O una formalità/Non ricordo più bene, una formalità" ("Io sto bene"). Una sofferta preveggenza, quella di Ferretti, che si alimentava di sollecitazioni disparate (la vicinanza con Lotta Continua; il parallelo sistematico - sempre critico, se non beffardo - adottato fin dalla nomenclatura più elementare, con l'altro mondo, quello Comunista, con tutti i suoi slanci, le sue pigrizie, le sue omertà); di rilanci magari mai arresi nei confronti di uno stato-delle-cose a passi da gigante incamminato verso una sghignazzante autodistruzione ma, in ogni caso, sviliti o delusi ("Esiste una sconfitta/Pari al venire corroso/Che non ho scelto io/Ma e' dell'epoca in cui vivo.../Produci, consuma, crepa.../Sbattiti, fatti, crepa/Cotonati i capelli, riempiti di borchie, rompiti le palle, rasati i capelli/Crepa, crepa, crepa..." - "Morire" - Come pure: "E trema e vomita la terra/Si capovolge il cielo con le stelle/E non c'è modo di fuggire mai/Svegliami, svegliami, svegliami..." - "Svegliami" -). Contraccolpi che, ad un certo punto, impongono di fermarsi ("Non ne potevo più. Sembrava di stare in un ghetto. Un circolo chiuso, dove tutti la pensano come te. Da forza, questo. 
 
 
E' rassicurante. Ma non ce la facevo più") e di tornare a guardare, in sincronia con un percorso musicale che si andava vieppiù strutturando con la saldatura operata con l'arcobaleno sonoro di Canali, Magnelli e Maroccolo, il mondo che si era lasciato - l'Appennino, le valli, i silenzi, le transumanze - per riscoprirlo in una dimensione sia materiale sia spirituale che la cometa furiosa dei CCCP aveva, diciamo così, congelato e che, retrospettivamente, getta anche una luce diversa e molto meno sensazionalistica sulla cosiddetta conversione la quale, non a caso, nelle parole di coloro che hanno frequentato d'appresso l'uomo di Cerreto, in particolare Canali e Zamboni, non esiste. Nota ad esempio proprio Zamboni: "Lui e' sempre stato quello, nessuna conversione... L'immaginario di Giovanni e' quello, vive tra i monti ed e' giusto che sia così". Ed inoltre: "Ora ci conosciamo molto bene, anche se non ci frequentiamo. Prima ci conoscevamo peggio e ci frequentavamo di più".

 
 
Affinità e divergenze, come si vede, che s'incontrano e non si elidono nel cuore di un individuo a cui ancora una volta la malattia, già scongiurata al tempo di una sua ennesima tetra epifania (una gastrite degenerata in ulcera con perforazioni archiviata dopo tre interventi chirurgici e l'asportazione di una sezione dello stomaco), intima, nella foggia di un tumore al polmone "grosso come un CD", poi miracolosamente riassorbitosi, la riconsiderazione del proprio orizzonte professionale reindirizzando, di concerto, una già avanzata ricerca interiore culminata nel viaggio salvifico in Mongolia, sui sentieri di un nuovo/antico utilizzo del tempo, dei sensi, delle cose (si notino a questo proposito le ripetute inquadrature mute - spesso fisse e ravvicinate - di esterni rurali o d'interni colti in vari momenti del giorno, in cui la pratica di una disciplina fattasi col tempo devozione per lo stretto indispensabile - "La libertà e' una forma di disciplina/Somiglia all'ingenuità la saggezza" - si trasmette e assume una sua fisionomia nella ritrovata lentezza degli atti quotidiani spesi nella propria cura o in quella degli animali, come nell'ordine spontaneo ma severo degli arredamenti e degli oggetti, accolti dallo spazio nella solidità gentile del legno): incedere che non esclude la Morte, ricondotta per una volta nel suo alveo naturale, ben a riparo dall'oscena assurdità che la sua rimozione ha generato nelle presunte coscienze moderne, al fine di restituire almeno in parte quel sano senso del tragico che l'esistenza dovrebbe di per se' suggerire.

 
Teoria e prassi della vita che, in conclusione, finisce per abbracciare senza attrito pure il canto il quale, in quanto tale e con siffatti presupposti, non può che essere canto-del-mondo, del suo ripresentarsi ogni giorno ("La terra e' pesante, pesante da portare") nonostante - o, forse, chissà - proprio in ragione dell'asprezza avvilita che si spende per tessere attorno a lui estenuanti constatazioni senza scampo, nel gesto sempre accennato/abortito di una riconciliazione che Ferretti, uomo irreconciliato quasi per definizione, tenta innanzitutto verso gli affetti vicini (commovente e umanissimo quello al fine siglato con la madre) e lancia dal suo sguardo febbrile e dalla sua schieleriana magrezza verso di noi, verso un germoglio che si fa strada su un albero dietro casa, verso un puledro appena nato che fatica a stare in piedi e socchiude gli occhi ma solo per riprendere le forze.

TFK

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