Dogman
di Matteo Garrone
con Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano
Italia, 2018
genere: drammatico
durata, 120’
Marcello ha due grandi amori: la figlia Alida e i cani, che accudisce con la dolcezza di uomo mite e gentile. Il suo negozio di toelettatura, Dogman, è incistato fra un "compro oro" e la sala biliardo-videoteca di un quartiere periferico in riva al mare, di quelli che esibiscono più apertamente il degrado italiano degli ultimi decenni. L'uomo simbolo di quel degrado è un bullo locale, l'ex pugile Simone, che intimidisce e umilia i negozianti. Con Marcello, Simone ha un rapporto simbiotico, come quello dello squalo con il pesce pilota.
Ispirandosi liberamente ad uno dei casi di cronaca più cruenti del nostro passato recente, la vicenda del Canaro della Magliana, Matteo Garrone racconta un'Italia diventata terra di nessuno in cui domina l'abbrutimento culturale e sociale che ha allontanato i cittadini non solo dal benessere ma anche dalla solidarietà umana più elementare. Garrone depura la vicenda del Canaro dalla sua componente veramente oscena, ovvero la spettacolarizzazione, arrivando a desaturare la palette di colori con cui dipinge i suoi quadri di desolazione suburbana (meravigliosa la fotografia di Nicolaj Bruel) dei quali sfuma i margini ed evidenzia l'essenza.
“Dogman” inizia con il ringhio di un pitbull da combattimento ed il terrore speculare degli altri cani chiusi dentro le gabbie del negozio, enucleando così quelle dinamiche di sopraffazione e sottomissione che sono la regola di vita del quartiere. L'ombra di Simone si staglia gigantesca dietro la porta a vetri del canaro, proiezione gonfia di una paura atavica che con il tempo ha dominato gli animi della gente perbene, non soltanto nei quartieri periferici.
Lo sguardo smarrito di Marcello in riva al mare, dopo l'ennesima prepotenza subìta, è quello di un Paese che ha preso consapevolezza del proprio status di vittima, e che "tutto questo non lo accetterà più". Ma invece di raccontare un’arrabbiatura alla “Quinto potere”, o la vendetta efferata e grottesca in cui le cronache hanno abbondantemente sguazzato, Garrone descrive una quieta rivalsa, Quella di Marcello è un'implosione che non pareggia i conti ma nutre la piramide di soprusi che si erge invisibile all'interno di un quartiere piallato dall'imbarbarimento: perché in questo universo orizzontale ad elevarsi sono solo le palazzine abusive, mai le persone. Il modo in cui i personaggi attraversano questi spazi immondi, come le vele di Scampia in “Gomorra” o l'ecomostro litoraneo de “L'imbalsamatore”, è l'essenza del cinema di Garrone, che relaziona l'uomo con un ambiente non più pensato per gli esseri umani, ma diventato labirinto per osservazioni entomologiche.
Altrettanto importante è l'attenzione allo sguardo, tanto quello mite e dolente di Marcello quanto quello ottuso e pieno di paura di Simone. Irreprensibilmente luminosa è l'interpretazione di Marcello Fonte nei panni del canaro: ha le dimensioni del fantino e la leggerezza dell’acrobata circense; è opaca e devastante, invece, quella di un irriconoscibile e gigantesco Edoardo Pesce nei panni di Simone; il pitbull è l'esatto prodotto del suo addestramento e ha la gravitas dei sogni svaniti.
Garrone riesce nel miracolo di costruire una narrazione disperante allontanandola dalla volgarità dei talk show, e restituendo dignità ferita a tutti personaggi.
Riccardo Supino
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