A Beautiful Day – You Were Never Really Here
Lynne Ramsay
con Joaquin Phoenix, Ekaterina Samsonov
USA, 2018
genere, drammatico
durata, 95'
In una delle sequenze più toccanti di A Beautiful Day – You Were Never Really Here il personaggio interpretato da Joaquin Phoenix è disteso a terra, accanto all’uomo che gli appena ucciso la madre. In fin di vita e con in corpo un ultimo respiro il killer cerca la mano di Joe e dopo averla trovata la stringe, iniziando a canticchiare insieme a lui le note della canzone trasmessa dalla radio. La scena in questione, una delle tante destinate a lasciare il segno, è indicativa non solo della duttilità drammaturgica che fa convivere tragedia e poesia ma per la particolarità della sua costruzione: pur assegnando allo sconosciuto una rilevanza più profonda rispetto altri comprimari la regista Lynne Ramsay preferisce mantenerne l’anonimato, inquadrandolo quel tanto che basta per farne intravedere la sagoma riversa a terra e una parte di volto non significativa. Se, infatti, il titolo originale (You Were Never Really Here) è collegato agli incubi che riportano il protagonista a quel passato da cui tenta inutilmente di liberarsi, così la Ramsay tiene conto di quest’assenza, evocandola tanto nelle immagini relative al protagonista quanto in quelle del mondo circostante. Non è dunque un caso che in fase introduttiva vi sia più di un’inquadratura in cui il film si sofferma volutamente sullo spazio lasciato vuoto da Joe un attimo prima dell’arrivo della macchina da presa; e che quella dei titoli di coda sia il fermo immagine sull’interno del bar dove Joe ha appena fatto colazione assieme a Nina, la bambina che l’uomo ha salvato dalle grinfie di una potente rete di pedofili. In maniera altrettanto significativa la Ramsay non manca di riflettere la condizione fantasmatica del protagonista, riflettendola nell’inconsistenza materica dei passanti in cui Joe casualmente si imbatte, filmati come fossero l’estensione delle sue proiezioni mentali. Prova ne sia la scena ambientata nella stazione della metro in cui Joe è oggetto di morbosa attenzione da parte di una ragazza di cui sembra non accorgersi non tanto per banale distrazione quanto piuttosto per il fatto che probabilmente la donna esiste solo nella sua testa.
Ispirato all’omonimo romanzo di Jonathan Ames, A Beautiful Day – You Were Never Really Here narra l’incontro di due solitudini: quella di Joe, impegnato a prendersi cura della madre malata e nel frattempo pronto a uccidere a colpi di martello gli aguzzini di giovani adolescenti, e quella di Nina, orfana di madre e figlia del senatore che chiede a Joe di ritrovarla e riportarla a casa. Per farlo la Ramsay ragiona secondo archetipi che ne rendono universale l’assunto e coadiuvata dalle ellissi del montaggio, riesce a mantenersi in bilico tra cinema d’autore e prodotto di genere (Taxi Driver, Leon e il cinema di Mann rientrano tra i modelli presi in considerazione), raccontando una liberazione dal male che è allo stesso tempo carnale, per il tramite della fisicità che Phoenix impone alla sua recitazione, e astratta, ottenuta sottraendo alla violenza il contesto informativo che di solito permette allo spettatore di attenuare l’impatto di una violenza efferata e sanguinaria come quella di cui Joe si serve per portare a termine le sue missioni. Per contro, ad aiutarne la comprensione interviene la scelta di una linearità narrativa che ne suggerisce la derivazione, slabbrando la continuità temporale della vicenda con una sovrapposizione di parole, di tic e allucinazioni che fanno dello schermo il tracciato della mente (pericolosa) del tormentato protagonista.
Detto questo, A Beautiful Day non si dimentica di rapportarsi con la realtà contemporanea: l’improbabile confronto tra la miseria della periferia metropolitana, a cui la mdp si rivolge con occhio documentaristico nei brevi scampoli in cui il film si apre all’ambiente circostante e l’opulenza vittoriana degli interni delle case patrizie utilizzate dai politici come alcova di vizi e corruzione la dice lunga su quale sia il pensiero della Ramsey sull’America della presidenza Trump. Premiato all’ultimo festival di Cannes per l’interpretazione maschile (Phoenix) e la sceneggiatura (Ramsey), A Beautiful Day è un film che non lascia scampo. Da vedere.
Carlo Cerofolini
(pubblicato su taxidrivers.it)
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