mercoledì 30 maggio 2018

L'ANNUNCIO SU FALLOUT VERRÀ FATTO OGGI E RIGUARDERÀ UN NUOVO CAPITOLO DELLA SERIE? OPPURE SARÀ UNA REMASTERED DI FALLOUT 3


Secondo quanto riportato da KotakuBethesda potrebbe svelare un nuovo capitolo di Fallout nella giornata di domani, sorprendendo i fan della serie con un gioco in grado di rivoluzionare il brand. Lo scopriremo fra qualche ora?


Le speculazioni sono iniziate oggi pomeriggio, quando Bethesda ha pubblicato un misterioso teaserdedicato a Fallout, con l'inconfondibile scritta "Please Stand By" ad anticipare l'arrivo di un importante annuncio relativo alla serie. Proprio tre anni fa, del resto, la compagnia aveva lasciato trapelare il reveal di Fallout 4 in modo molto simile, alimentando nel corso dei giorni la curiosità dei fan.



Intanto il canale Twitch di Bethesda continua a trasmettere la stessa inquadratura da diverse ore, con la statuetta Vault-Tec bobblehead in primo piano e il monitor raffigurante la scritta "Please Stand By" sullo sfondo. Nel frattempo, come fatto notare dall'insider Nibel, nel corso della trasmissione continuano a verificarsi "strane intrusioni", con gli sviluppatori pronti a solleticare l'hype degli utenti.



Come riferito da Jason Schreier, il nuovo annuncio di Fallout potrebbe arrivare nella giornata dei domani, almeno a giudicare dal modus operandi manifestato da Bethesda nelle ultime occasioni. Infine, nonostante i rumor continuino a insistere sul reveal di Fallout 3 Remastered o sulla versione Switch di Fallout 4Kotaku sostiene che il publisher potrebbe svelare un nuovo capitolo della serie in grado di rivoluzionare il brand, dando una direzione inedita alla saga. Di cosa potrebbe trattarsi?
Per scoprirlo non rimane che attendere le prossime ore.






martedì 29 maggio 2018

TUO, SIMON


Tuo, Simon 
di Greg Berlanti
con Nick Robinson, Josh Duhamel, Jennifer Garner
USA 2018 
genere, Commedia, drammatico, sentimentale
durata, 110’

Simon Spier (Nick Robinson) è un diciassettenne che ha una vita ordinaria, una famiglia che lo ama e tanti amici, ma ha un segreto: è gay ma non riesce a dichiararlo.
Inizia per caso a scambiare messaggi via email con uno sconosciuto probabile coetaneo di cui non conosce l'identità e che si nasconde sotto lo pseudonimo di "Blue".  Il tutto a poco a poco si trasforma in un vero e proprio innamoramento, pieno e passionale. Ma qualcosa di non calcolato potrebbe radicalmente modificare la vita di Simon: un'email destinata a Blue nelle mani sbagliate potrebbe far diventare di pubblico dominio quello che è il suo segreto. 
La nuova commedia drammatica di Greg Berlanti, tratta dall'omonimo romanzo "Love, Simon" di Becky Albertalli è una divertente e commovente storia adolescenziale su quell'eccitante fase della vita in cui si ricerca se stessi e si scopre per la prima volta l'amore. Il regista è apertamente gay ed ha già lavorato in  “Tre all'improvviso” (2010) e “Il club dei cuori infranti” (2000), ma è principalmente  conosciuto come sceneggiatore e produttore della serie tv “Dawsons's Creek”. 
“Tutti meritano una grande storia d'amore”. Con questa frase il film si presenta e viene pubblicizzato, portato all’attenzione del suo pubblico. Un pubblico adolescenziale sicuramente di primo acchito, ma non solo. Si perché le storie d’amore – le grandi storie d’amore (o forse anche le piccole, se ne esistono poi di “piccole”) non sono mai facili, non hanno mai vita facile. E così avviene nel caso del diciassettenne Simon, protagonista di “Tuo, Simon”, il nuovo film diretto da Greg Berlanti.

Nick Robinson ritorna sul grande schermo dopo “Noi siamo Tutto” ed ancora interpretando e vivendo una coinvolgente storia d’amore. Un Amore stavolta non più impedito da una malattia della propria ragazza, la SCID (Severe Combined Immuno deficiency), ma reso difficile dalla Diversità, dall’essere fuori dalle righe. E’ infatti un amore omosessuale, e per Simon la paura di essere giudicato ed emarginato dai propri amici e dalla sua scuola è più forte del desiderio di fare “coming out”. Un Amore dunque che non può essere gridato al mondo, ma che trova la sua espressione in uno scambio epistolare di altri tempi, con email intense e vibranti con un altro ragazzo che si firma con un nickname “Blue”. Blue in inglese significa infatti “triste”: la tristezza consiste nel fatto di non potersi rivelare al mondo, di non poter mostrare la propria natura, le proprie ali di farfalla.

Una tristezza che sente anche Simon e che condivide con Blue nelle email, mentre tutto il mondo intorno a loro non nota la metamorfosi in atto ed il dolore costante di non poter mostrare la loro anima vera e iniziare a volare per davvero.

Blue come Simon non vuole rivelare la sua vera identità, è intrappolato nella paura delle convenzioni, del bullismo dilagante anche al liceo, preferisce proteggersi dietro lo schermo di un computer.

Ma è lo scambio epistolare che lentamente li porterà ad una nuova consapevolezza, a mostrare alla loro comunità di essere cigni e non brutti anatroccoli. Lentamente ma inesorabilmente riusciranno ad esprimere se stessi nella loro modalità e nel momento per loro ritenuto opportuno.

Così come faceva Maddy la protagonista in “Noi siamo tutto”, Simon trova la forza di cambiare al punto che non ha paura più di volare per davvero su quella ruota panoramica che faceva sentire spesso Blue bloccato, come sospeso nell’aria, senza riuscire ad andare né avanti, né indietro. Perché ancora una volta come diceva Maddy  “La differenza tra sapere e vedere con i propri occhi è la stessa che c’è tra sognare di volare e volare per davvero”.

L’amore che si schiude e si intensifica attraverso la mente prima ancora di essere sentito con il corpo. E le email scambiate diventano una lunga e appassionata lettera d’amore, in cui a volte Blue e Simon sembrano lasciarsi per sempre per poi invece riprendersi, quasi in una danza passionale e struggente in cui l’uno non può veramente fare a meno dell’altro.

Si perché le email altro non sono se non interminabili lettere d’amore, dichiarazioni dei propri sentimenti anche se non stigmatizzate su un foglio di carta come un tempo. Alla fine – sempre grazie alle email – verrà offerta una soluzione a Simon su come poter abbandonare la propria vecchia pelle per abbracciare e riconoscere la sua diversità e potersi alzare in volo. Su quella ruota panoramica. Senza più paura.
Michela Montanari

News: #PUBG Corp ha ufficialmente annunciato di aver denunciato Epic: la software house di PlayerUnknown's Battlegrounds ha infatti intentato una causa per violazione del diritto d'autore e il gioco incriminato è ovviamente #Fortnite con la sua modalità Battle Royale.





PUBG Corp ha ufficialmente annunciato di aver denunciato Epic: la software house di PlayerUnknown's Battlegrounds ha infatti intentato una causa per violazione del diritto d'autore e il gioco incriminato è ovviamente Fortnite con la sua modalità Battle Royale. L'atto che accusa Epic Games Korea di violazione dei diritti d'autore è stato presentata alla Corte Distrettuale di Seoul all'inizio dell'anno ma solo di recente PUBG Corp. ha dichiarato al Korea Times di aver intrapreso l'azione legale.



Abbiamo depositato la causa per proteggere i nostri diritti d'autore a gennaio


Non è comunque una novità che i rapporti tra PUBG Corp ed Epic non siano proprio idilliaci, considerando che già lo scorso anno la software house aveva dichiarato che la modalità Battle Royale di Fortnite aveva troppi elementi in comune con PlayerUnknown's Battlegrounds, sottolineando inoltre di non apprezzare che sul mercato arrivino prodotti simili a PUBG.
E' importante sottolineare anche che le due software house avevano collaborato attivamente alla realizzazione di PlayerUnknown's Battlegrounds, in quanto il gioco si basa sull'Unreal Engine di Epic e secondo PUBG Corp è deplorevole che l'azienda abbia rilasciato proprio un gioco simile al loro.
Ricordiamo inoltre che Fortnite al momento del suo debutto proponeva ai giocatori esclusivamente la modalità Salva il Mondo e che solo successivamente è stata introdotta la modalità Battle Royale: tutti tasselli che, a quanto sembra, hanno determinato la reazione di PUBG Corp.
Sarà comunque compito della Corte Distrettuale di Seoul decidere se Fortnite viola realmente i diritti d'autore, sottolineando comunque che, come riportato da Gamespot, al momento la causa intentata da PUBG Corp. è apparentemente limitata alla Corea tuttavia la decisione che prenderà la Corte Distrettuale di Seoul potrebbe avere impatti significativi anche nel resto del mondo.

Notizie su #Fortnite: Presto si potrà girovagare per la mappa a bordo dei Carrelli della Spesa






Arrivano interessanti, quanto singolari, notizie per i tantissimi giocatori di Fortnite! Infatti, tra poco sarà possibile girovagare per la mappa a bordo dei...Carrelli della Spesa!
Al momento, non è chiaro quando questi "mezzi" arriveranno in Fortnite Battle Royale ma, come segnala Gamespot, è possibile che verranno introdotti con l'aggiornamento 4.3 o, al massimo, la prossima settimana.

lunedì 28 maggio 2018

Che sia arrivato il declino di #Fortnite: #H1Z1: Battle Royale a quota 4.5 milioni di giocatori su PS4 in tre giorni






È stata una sorpresa abbastanza grande che la beta PS4 di H1Z1: Battle Royale di Daybreak Game Company abbia attirato 1,5 milioni di giocatori nelle prime 24 ore. Tuttavia, molto più rilevante è il fatto che il gioco stia seguendo questo ottimo ritmo.

Come riporta Dualshockers, nei primi tre giorni dal lancio, H1Z1: Battle Royale ha registrato 4.5 milioni di giocatori.

Le notizie arrivano tramite l'account Twitter ufficiale di H1Z1. Riferendo il successo della beta su PS4, Daybreak ha annunciato che il gioco ha raggiunto più di 4,5 milioni di giocatori. Ma non è tutto, il numero è stato raggiunto in soli tre giorni dopo il lancio:

sabato 26 maggio 2018

RITORNARE ALLA RADICE: INTERVISTA A DARIO ALBERTINI, IL REGISTA DI MANUEL



Rispetto ad altri film italiani in Manuel si sente la volontà di tornare alle radici dell’umano per raccontare ciò che dell’esistenza è veramente indispensabile. In questo senso il tuo mi sembra un cinema basico, per certi versi simile alle prime opere di Bruno Dumont. È questa una giusta definizione del tuo lavoro?

Assolutamente si e sono felice che tu lo abbia colto. Io e Simone Ranucci, con cui ho scritto il film, siamo partiti da un’idea generale di sottrazione, pensando, come dicevi tu, di ritornare alla radice. Così ci siamo concentrati su ciò che per noi era importante e quindi sulla crisi del protagonista che, ad un certo punto, si ritrova davanti a un bivio. Per questo motivo molte cose che lo riguardano vengono omesse: non conosciamo, per esempio, per quale motivo la madre è in prigione, come neppure che fine abbia fatto il padre. Ci sembravano cose inutili, ma per escluderle dal film ci abbiamo ragionato parecchio tempo, ritornandoci sopra diverse volte, finendo mese dopo mese per togliere sempre di più. All’inizio, per esempio, si parlava del denaro e del bisogno di lavorare da parte di Manuel, ma alla fine il tutto è stato riassunto nella scena del forno in cui il ragazzo si reca per farsi fare i documenti da presentare all’assistente sociale. Molti dialoghi sono spariti per lasciare spazio ai silenzi. Avremmo potuto scrivere tante cose ad effetto.

Dici bene, perché ognuno degli incontri che scandiscono l’esistenza di Manuel aveva in nuce un potenziale drammaturgico così forte da fare storia a sé all’interno del film. Intendo dire che il materiale a disposizione era talmente enorme e denso da offrirti numerose possibilità di sviluppo sia in termini di caratterizzazione formale che di toni.

Quando hai a che fare con giovani come quelli che ho incontrato preparando il documentario sulla Repubblica dei ragazzi (2015) metti da parte un sacco di storie, di idee geniali e di cose folli da cui potresti ricavare non so quanti film. Molte di queste erano divertenti e singolari ma finivano per allontanarmi dal tema che mi stava a cuore. Avendo incontrato il vero Manuel ne conoscevo i dubbi e i silenzi; sapevo che la mancanza di parole era figlia dell’incertezza su ciò che lo aspettava una volta fuori dalla casa famiglia e della consapevolezza di avere poco tempo per imparare l’essenziale per sopravvivere. Da qui l’idea di creare una serie di incontri che, nell’insieme, costituissero l’apprendistato del personaggio, il modo con il quale egli impara a comportarsi in un mondo che non ha mai conosciuto.

Questo tipo di struttura narrativa era rischiosa perché poteva risultare programmatica, invece sullo schermo la successione dei personaggi che Manuel incontra avviene in maniera del tutto naturale.

Allora ti dico una cosa che non ho mai detto finora e cioè che in realtà quasi tutti gli incontri sono ripresi da esperienze che mi sono successe in momenti diversi della vita. La scena con Franchino, il mendicante che rimane in panne con il motorino e a cui Manuel dà una mano, è stata creata esattamente come l’ho vissuta io mentre mangiando un panino a Civitavecchia ho visto quest’uomo in difficoltà e ho deciso di aiutarlo.

La corrispondenza tra i tuoi incontri e quelli di Manuel vale anche per i sentimenti raccontati nel film?

Guarda, la scena con Giulia Elettra Gorietti è qualcosa che ho sperimentato quando ero più giovane e che ho ritrovato molto in Manuel e in Andrea Lattanzi, l’attore che lo ha interpretato: parlo di quel disagio che si prova di fronte a una figura femminile che, come spesso capita, è più spigliata e determinata di noi. Nella sequenza in questione Manuel mi ha ricordato molto l’Antoine Doinel di Truffaut e, quindi, si può dire che c’era un buon mix di cose personali e di quelle che volevamo raccontare attraverso il film.

Manuel si occupa delle persone più fragili nella consapevolezza di esserlo lui per primo, mentre gli altri non danno la sensazione di volersi mettere nei suoi panni. La disparità di questi rapporti non potrebbe essere anche una visione di ciò che succede nella nostra società?

In realtà non era mia intenzione allargare il discorso nella maniera che dici tu. Penso invece che davanti a una purezza così esasperata come quella di Manuel qualsiasi confronto risulti inevitabilmente molto più duro.

A proposito di confronti, inevitabile è quello tra noi e Manuel, nel senso che il film, alla maniera de Il ladro di bambini di Gianni Amelio, mette lo spettatore nella condizione di domandarsi cosa farebbe lui se si trovasse di fronte al protagonista.

Era esattamente una delle cose che volevamo suscitare nello spettatore, spingendolo a chiedersi come sia possibile che tutto questa succeda a un ragazzo che potrebbe essere nostro un nostro nipote o figlio. Per riuscirci, abbiamo cercato di far parlare il cuore nella consapevolezza di avere tra le mani una materia che poteva sfuggirci e prendere direzioni non desiderate. Per me era anche una questione di responsabilità: avendo vissuto e collaborato per due anni con la Repubblica dei ragazzi mi è venuto naturale assegnare un ruolo di guida ai sentimenti provenienti da quella esperienza. Tieni conto che c’è stata una seconda fase di scrittura scaturita dall’incontro con Andrea; il suo volto mi ha suggerito soluzioni che in un primo tempo non avevo sposato.

A proposito, la faccia di Andrea Lattanzi sembra uscita da un disegno di Andrea Pazienza.

Questa non me l’aveva detto nessuno ed è bellissimo. Io poi ho un amico che a casa sua ha un disegno di Pazienza e penso che quest’ultimo possa avermi ispirato. Erano mesi e mesi che cercavo di capire dove avevo già visto il volto di Andrea…

Se ci pensi il personaggio di Manuel potrebbe essere uscito da una storia dell’autore di Zanardi.

Andrea ha questa faccia incredibile; funziona perché i suoi lineamenti sono come dici tu, alieni; hai detto bene, lui è alieno, viene da fuori e la sua fisionomia rimane intatta, non si impregna di altre facce. Vivendo tanti anni dentro questa casa famiglia mi sono reso conto che ci sono tantissime tipologie, tantissimi casi pedagogici, ma soprattutto che vista da fuori questa realtà sembra nel suo complesso tragica, mentre, al contrario, il novanta per cento di queste persone sono bravi ragazzi. Il cinema italiano non aiuta a sconfessare lo stereotipo, raccontandoli quasi sempre attraverso un tessuto di microcriminalità. Certo è che se punti la mdp in superficie viene fuori quella roba lì, ma a me questo non interessa.

Mi ha colpito il contrasto tra la fisiognomica spigolosa e irregolare di Manuel e la tenerezza di certe espressioni. Tu a un certo punto lo fai piangere come un bambino indifeso, rinunciando in ciò a qualsiasi tentativo di ‘eroicizzazione’ del personaggio.

Allora ti dico una cosa. Per trovare la faccia di Manuel ho impiegato parecchio tempo, facendo migliaia di provini. L’unica cosa che ho avuto sempre chiara è che il protagonista dovesse avere una faccia modellabile, di quelle che puoi decidere di portare ovunque vuoi. Andrea è credibile sia come criminale sia come un bambino smarrito.

Esatto, in certi momenti il protagonista è indifeso come un bambino piccolo. I fermo immagine sul suo volto lo mostrano in maniera evidente.

Credo dipenda molto da come il film ti porta davanti a quell’immagine e questo dipende dalle esperienze che fai e da chi hai la fortuna di conoscere. Io l’ho voluto portare dentro un mondo che ho conosciuto in prima persona. Agganciato come sono alla realtà, penso che se se avessi conosciuto una comunità di ragazzi sbandati avrei certamente filmato una crime story. Diversamente, la mia esperienza mi ha spinto verso una realtà molto meno cinematografica e di intrattenimento. Ai tempi de La repubblica dei ragazzi Don Marcello, che era il prete responsabile della comunità, aveva sempre negato la possibilità di girare all’interno dell’istituto perché la televisione e i programmi come quelli di Barbara D’Urso erano interessati innanzitutto a conoscere i motivi per cui i ragazzi erano entrati a farvi parte. Io invece gli dissi che a me interessava solo stare con loro, riprenderli e condividerne il momento, Tant’è vero che se tu guardi il documentario non si vedono mai le facce dei bambini perché per legge non potevano essere riprese. Questo per dirti che dipende tutto da quello che vuoi raccontare. Io capisco che il filone del crime sarebbe stato più attraente, ma era inadatto a replicare la realtà dei fatti.

Per collocazione ambientale, tipologia di personaggi e uso del linguaggio, Manuel potrebbe essere accostato al filone cui hai appena accennato. In realtà se ne differenzia per la peculiarità di cui in parte abbiamo già detto.

Purtroppo quando tu racconti la periferia e senti parlare al cinema o in televisione in romanesco o in dialetto napoletano torni inevitabilmente a Gomorra o a Suburra. Questo all’inizio poteva costituire un problema; ci sono film come Fiore o Cuori puri che devi essere bravo a rendere sul piano dell’action, cosa che io non so fare. Li ho visti e mi sono piaciuti molto, ma non sarei in grado di rifarli. Il mio occhio non cade su questi aspetti.


Per ritornare allo spartiacque che esiste tra il protagonista e il resto del mondo, a rimanere impressa è la frase dell’avvocato, il quale rivolgendosi a Manuel gli dice “Cosa c’entra la speranza, qui contano i fatti”.

È una frase illuminante rispetto al contesto della storia in cui l’esperienza di Manuel, che esce dall’istituto e affronta il mondo, è equiparabile a quella di un neonato immerso per la prima volta nelle nostre abitudini quotidiane. Cose che a noi sembrerebbero normali per lui sono ostacoli molto impegnativi. L’avvocato ha ragione dicendo che nel caso specifico servono fatti e non speranze perché è il mondo che funziona così. D’altro canto se Manuel negli anni in cui è vissuto in comunità non avesse avuto la speranza magari non c’è l’avrebbe mai fatta a uscirne con lo spirito positivo che dimostra di avere di fronte alle difficoltà. Manuel, dunque, è come un neonato che si affaccia al mondo per la prima volta. È anche vero che, se c’è un limite da imputare al progetto legato alla Repubblica dei ragazzi è che funziona talmente bene da diventare un microcosmo autonomo, al punto da isolare i ragazzi dal resto del mondo. In questo modo a 18 anni ti ritrovi come capita a Manuel, cresciuto nel modo migliore ma sprovvisto degli strumenti per capire l’esterno. Quando esci di lì potresti essere molto più velenoso di altri per le esperienze da cui  provieni, ma per altri versi anche più fragile e senza difesa. Ritornando alla tua osservazione iniziale, la faccia di Andrea Lattanzi era come un marmo da scolpire. Ci sono facce molto più identificabili, molto più malandrine, adatte al cinema di cui stavamo parlando. La sua sta in una terra di mezzo: molto dipende anche da come guardi il film.

L’essenzialità della messinscena è il segnale di un punto di vista sul mondo esente da giudizi. Questo permette allo spettatore di farsi la propria idea rispetto alla storia.

È proprio così. Quando abbiamo scritto il film con Simone una delle pagine su cui ci siamo bloccati è stata quella relativa al finale, perché non riuscivamo a capire come poteva concludersi la storia di questo ragazzo. Dopo molti ragionamenti, abbiamo compreso che nessuno di noi aveva il diritto di farlo. Un’altra parte che ci ha fatto penare è stata quella dell’uscita dall’istituto.

Tra l’altro quella è una scena che avete realizzato eliminando la tipica enfasi del momento. In essa non ci sono saluti nè consigli da lasciare in eredità a chi rimane.

Nella realtà ognuno vive quel momento in maniera diversa. Ci sono alcuni che fanno una grande festa, e io avevo anche considerato di fare qualcosa di simile per il mio film. Poi ho capito di non essere interessato a sapere come Manuel avrebbe passato la vigilia della sua partenza. Ho invece cercato di capire quale sarebbe stata l’ultima parola prima di andarsene, e quale sarebbe stata l’ immagine del suo congedo.

Addirittura, tu non fai vedere neanche la faccia del prete che accompagna Manuel alla stazione se non inquadrandone a malapena una parte del profilo.

La escludo perché io voglio stare con Manuel. Quando ho fatto il film, ho pensato solo a me stesso e a chi stava con me. Amo un certo tipo di cinema e di scelte registiche, per cui ho pensato che era inutile andare con il controcampo sulla faccia del prete. Magari mi interessava ciò che diceva, ma io volevo stare sulle reazioni di Manuel.

Succede anche nella sequenza ambientata nella biglietteria della stazione. Lì decidi di inquadrare Manuel escludendo il bigliettaio di cui sentiamo solo la voce.

Si, anche il quel caso non vado mai sul controcampo degli altri perché sono concentrato sul protagonista. Il cinema di solito gioca sull’alternanza dei primi piani, mentre nei momenti più importanti io volevo restare con Manuel; volevo vedere come ascolta ciò che gli succede intorno, che è molto più importante della faccia del bigliettaio. Quando quest’ultimo gli dice che i treni sono sospesi perché è stata investita una persona lui reagisce alzando un po’ il sopracciglio che è comunque una reazione che mi sarei perso se avessi inquadrato il suo interlocutore. Poi mi rendo conto che sono scelte difficili.

Senza nulla togliere all’anima del film che rimane sempre fortemente emozionale e riagganciandomi a quanto stavi dicendo, mi pare di poter affermare che Manuel è anche lo studio di un’esistenza contemporanea.

Guarda, in realtà sto continuando un po’ la ricerca che ho fatto con il documentario. Anche nel modo di girare non vedo questo film lontano dai miei lavori precedenti. Tieni conto che sia questo che i tre documentari sono stati girati a Civitavecchia. Manuel è solo l’ultima tappa di una ricerca sul territorio intesa come porzione di spazio capace di far convivere esistenze diverse. Per questo motivo Manuel lo riporto lì. In Francia, dove il film è andato molto bene, volevano sapere il nome dei luoghi in cui avevo filmato; scrivendo che si trattava di Ostia hanno rivelato la necessità di riportare la storia all’interno dei filoni conosciuti e di cui abbiamo appena parlato. Anche in Italia ho sentito parlare del territorio di Roma e di Ostia a proposito del mio film.

Ho letto anche io titoli del genere e paragoni con il filone dei film ambientati nelle borgate. Cosa che Manuel non è.

In realtà il mio protagonista non sa neanche cosa sia una borgata. Pochi hanno capito che non si trattava di quel tipo di realtà. Si vuole uniformare tutto, e a proposito del mio film si è parlato in maniera positiva ma inappropriata di neorealismo. È lecito farlo, ma non era questo ciò a cui noi puntavamo.

Venendo agli aspetti visuali, ho notato che nel tuo film, a fronte di una mdp che rimane costantemente attaccata al protagonista ci sono aperture improvvise che non sono dettate da interesse antropologico o dalla necessità di ricostruire l’ambiente ma piuttosto da una funzione esistenziale che viene fuori dal rapporto tra la figura di Manuel e il vuoto dello spazio che lo circonda. Quando le ho viste mi hanno trasmesso la solitudine del protagonista come pure il peso delle responsabilità che gli piombano addosso.

Sai, è la stessa cosa che mi ha detto Marco Tullio Giordana dopo aver visto il film. Anche in queste sequenze c’è qualcosa di molto scorretto a livello cinematografico. Sovente evitiamo di passare per il mezzo campo spalancando la mdp come i manuali dicono non bisognerebbe mai fare, ma francamente non mi interessa. Volevamo restare sull’uomo e sull’importanza dell’aria che respira, ove per questa si intende il territorio, lo spazio in cui si svolge una determinata azione. È questa la ragione per cui all’improvviso allargo il campo visivo. Filmo le emozioni di Manuel, e ti dico dove si stanno generando; subito dopo torno a stringere su di lui. Venendo dalla fotografia e dal reportage, il territorio per me ha un valore importante, ma nel film non assume mai un valore scenico. È decisivo per far vedere dove sta accadendo ciò che racconto. Se guardi il cinema dei Dardenne ti accorgi che loro non adotterebbero mai il tipo di scelte visive presenti nel mio film. Così facendo diventa quasi impossibile accorgersi che tutti i loro film sono ambientati nel quartiere di Bruxelles in cui sono nati. Al contrario, io ho bisogno di sentire e di vedere dove accadono le cose, dove si formano le emozioni.

In termini visivi, questi improvvisi allargamenti di campo hanno un impatto molto forte sulla vista dello spettatore e si traducono in pura emozione.

Durante il montaggio le persone rimanevano un po’ contrariate vedendo queste aperture, ma ho fatto prevalere il mio istinto e me ne sono fregato. Per dirti, sono sempre stato un fan dei film senza musica e invece qui ho sentito la necessita di sottolineare certi momenti con dei suoni creati da me. Di questa libertà devo ringraziare Angelo Barbagallo, perché mi ha permesso di fare il film  che avevo in mente. Tutte le scelte sono state appoggiate da lui senza nessuno problema.

Tornando ad Andrea Lattanzi, volevo chiederti come avete lavorato insieme, visto che stiamo parlando di un esordiente.

Si, è il primo film che fa, mentre per me è il primo di finzione. Anche da questo ti puoi rendere conto quanto fosse forte la scommessa produttiva decidendo di caricare su di lui così tanta responsabilità. Quando andai da Barbagallo gli dissi scherzando che volevo fare un film ma che non volevo i soldi (ride), alludendo alle limitazioni artistiche che spesso derivano dall’averne.

I soldi per esempio ti avrebbero impedito di scegliere Lattanzi per il ruolo di Manuel, perché di solito l’investitore si sente più rassicurato se nel film ci sono attori già famosi.

Li c’era un discorso ben preciso: io avevo necessità di identificarmi con il personaggio; in più, qualsiasi altro volto mi avrebbe ricondotto a film che erano stati già fatti. Venendo dal documentario, capitava che ogni cosa che mettevo su carta il giorno dopo non mi sembrasse reale per il fatto di non averla vissuta in prima prima persona. Cosi, per ritornare alla tua domanda, con Andrea abbiamo fatto un lavoro particolare: intanto lui non ha letto mai la sceneggiatura; l’unico lusso che ci siamo permessi è stato quello di girare in maniera cronologica. Abituato a procedere al buio, senza  sapere cosa mi aspetta quando sto per girare, ero terrorizzato dall’avere un programma prefissato, con date di inizio e fine del film. Per rimediare, abbiamo deciso di recuperare parte dell’improvvisazione perduta nel personaggio di Andrea. Lui aveva letto la sinossi, e io ho iniziato a raccontargli la storia di Manuel ma senza farlo accedere alla sceneggiatura, tanto che alla fine di ogni giornata mi diceva “Domani cosa mi succederà?”. Tra l’altro, per intensificare il processo di immedesimazione, lui è arrivato a dormire sul set e nei luoghi dove stavamo girando. In questo modo è riuscito a isolarsi, provando realmente le sensazioni che si vedono sullo schermo.

Direi che i risultati sono stati eccellenti. Penso che anche tu ne sia stato molto soddisfatto.

Da regista ti dico che avevo in mano qualcuno che mi permetteva di osare molto. Avevamo tanti problemi, a cominciare dalla mancanza dei permessi per girare in strada per cui arrivavamo come un armata Brancaleone e in tempo zero facevamo le riprese. Però, una volta che Andrea è entrato nel personaggio tutti quanti ci siamo immedesimati nella sua vicenda e cosi facendo si è verificato il miracolo. Non poche volte è successo che abbiamo dovuto cambiare quello che avevamo previsto. Il film si è modellato sul campo, anche in base alla condizioni metereologiche. Per dirti, Andrea e l’attrice che interpreta la madre (Francesca Antonelli) si sono incontrati per la prima volta solo il giorno delle loro riprese insieme. Avevo dato loro la sceneggiatura, ma alla fine le parole che abbiamo messo sono state le loro. Come in altri casi, il testo scritto è diventato una linea da seguire durante la quale era comunque possibile intervenire e modificarla. E questo perché hai degli attori come Andrea che ti permettono di farlo.

Ho letto che il film ha avuto gran successo in Francia.

Noi dovevamo andare in concorso ufficiale a Locarno o a Torino, poi Barbagallo ha deciso di mandare il film a Jean Labadie, che è uno dei grandi distributori francesi, il quale ha risposto quasi subito, dicendo che voleva a tutti i costi il film per occuparsene in Francia. È stato lui a decidere che sarebbe stato meglio andare al festival di Venezia, dove peraltro il passaggio è stato velocissimo. La cosa clamorosa però è successa due settimane dopo, quando siamo partiti per Montpellier dove c’è un grande festival di cui abbiamo vinto i tre premi principali. Da lì ne sono seguiti altri, cosi come tanti sono stati gli apprezzamenti ricevuti da registi del calibro di Mungiu, che hanno espresso stima nei riguardi del film.

Per quanto riguarda la distribuzione, sai già se il numero di copie è destinato a crescere allargandosi alle città del nord?

La distribuzione è molto mirata, ma per esempio da questa settimana saremo in cartellone anche al Nuovo Sacher di Roma, oltre che al Quattro Fontane, due sale molto prestigiose. Alla fine dovremmo arrivare a circa 30 copie, che è un numero buono per un progetto come il nostro. Sono soddisfatto.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su Taxidrivers.it)

FORTNITE - SVELATE IN ANTICIPO LE SFIDE DELLA 5 STAGIONE - ECCO QUALI SONO!!




La Settimana 4 della Stagione 4 è ancora nel vivo, ma in rete sono già apparse le sfide della Settimana 5, che prenderà il via nella mattinata di martedì 29 maggio. Ecco a voi:



  • Infliggi danni agli avversari con i Fucili SMG (0/500)
  • Cerca dei forzieri nel Magazzino Muffito (0/7)
  • Usa il Jetpack (0/1)
  • Cerca le Rocce della Gravità (0/3)
  • Segui la mappa del tesoro trovata nel Boschetto Bisunto (0/1) - difficile
  • Eliminazioni con Minigun o Mitragliatrici leggere (0/2) - difficile
  • Elimina nemici nell'Approdo Avventurato (0/3) - difficile

venerdì 25 maggio 2018

Notizia Bomba: " DYING LIGHT 2 Sarà Annunciato all'E3 2018 "



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Articolo Di   


Dying Light si è rivelato sicuramente fra i titoli a tema zombie più riusciti degli ultimi anni. Il titolo di Techland ha soddisfatti le aspettative di giocatori e stampa specializzata, offrendo sempre nuovi contenuti alla sua playerbase grazie ai numerosi e costanti aggiornamenti pubblicati dagli sviluppatori.


Stando a quanto riportato da un articolo del sito polacco "graczpospolita", sembrerebbe che Techland stia da tempo lavorando ad un sequel di Dying Light, ed abbia intenzione di fare il suo annuncio in occasione dell'E3 2018 di Los Angeles che si terrà fra poche settimane.


"Sono riuscito ad apprendere da un paio di fonti indipendenti, nonché da attuali impiegati ed ex membri di Techland, che la compagnia è al lavoro su Dying Light 2", leggiamo dalla traduzione fornita dall'utente Bansai su ResetEra. "Al momento lo studio è impegnato nel realizzare un trailer di alta qualità, che sarà presentato all'E3 di Los Angeles. Quanto interrogati sulla possibile espansione del concetto introdotto con il DLC stand-alone Bad Blood che si focalizzava sulla modalità Battle Royale, la risposta è stata "È molto probabile". Ho anche avuto conferma che l'annuncio del seguito è stato costantemente rimandato perché il primo gioco ha ricevuto costanti nuovi aggiornamenti insieme alla sopracitata espansione Bad Blood".



Viene inoltre affermato che Techland si trova simultaneamente al lavoro su un altro grande progetto. A tal riguardo, viene esclusa la possibilità che si tratti di Hellraid, dal momento che il gioco "è stato assolutamente cancellato". Vi raccomandiamo di prendere la notizia con le dovute cautele, in attesa di un eventuale annuncio ufficiale all'E3 2018.

Notizie su #fortnite Dopo il "Tracciatore dell'Occhio della Tempesta", altri zaini potrebbero presto fare il loro debutto nel gioco






Ieri vi avevamo parlato della comparsa di un particolare nuovo oggetto in Fortnite, il "Tracciatore dell'Occhio della Tempesta", il primo zaino a fare il proprio debutto, anche se per errore, nel Battle Royale di Epic Games.
Come riporta VG24/7, un ennesimo datamining dei file del gioco ha rivelato oggi l'esistenza di altri 8 zaini, con ognuno di questi che potrebbe avere un ruolo specifico nell'economia di Fortnite. Se infatti il "Tracciatore dell'Occhio della Tempesta" dovrebbe aiutare a prevedere in anticipo dove cadrà sulla mappa la prossima zona sicura, lo zaino "Boost Jump Pack" potrebbe migliorare le nostre capacità di salto, e quello "Medic Pack" potrebbe invece velocizzare le operazioni di cura con cui recuperiamo salute o potenziare l'efficacia dei kit medici.
Gli zaini possono essere equipaggiati uno alla volta e sono oggetti che occupano uno slot nell'inventario, piuttosto che allargarne la capienza. Il loro scopo potrebbe quindi essere quello di garantire alcuni vantaggi all'utilizzatore, anche se per averne conferma dovremo attendere ulteriori comunicazioni da parte di Epic. Nell'attesa potete consultare gli zaini scoperti dai dataminer, che vi elenchiamo in calce:


  • Boost Jump Pack
  • Carmine Pack
  • Tracciatore dell'Occhio della Tempesta (già conosciuto)
  • Glider
  • Glider Pack
  • Intel Pack
  • Medic Pack
  • Missile Battery
  • Test Pack

Ottime Notizie su #H1Z1 supera quota 1,5 milioni di giocatori su #PS4





Il genere Battle Royale è decisamente quello più in voga negli ultimi tempi, grazie ad apprezzati titoli come Fortnite e PlayerUnknown's Battlegrounds, ma anche il coraggioso H1Z1 sta già riscuotendo un grande successo grazie al debutto su console e sembra che molti giocatori stiano apprezzando il gioco su PS4.

Come riporta Dualshockers, lo sviluppatore ed editore Daybreak Games ha annunciato che H1Z1 ha raggiunto oltre 1,5 milioni di giocatori con il lancio della beta open beta che ha debuttato il 22 maggio 2018. Avendo attirato oltre un milione e mezzo di giocatori in un periodo di 24 ore, la notizia è decisamente incoraggiante per il titolo e specialmente in un genere che sta vedendo un'impennata di popolarità come, appunto, il Battle Royale.

giovedì 24 maggio 2018

ABDELLATIF KECHICHE: TROPPO LIBERO PER ESSERE ANCHE DI MODA


Riflettendo a proposito della tiepida accoglienza riservata a Metkoub, My Love - Canto uno esiste il sospetto che a influenzare il disamore nei confronti dell'opera dell'autore franco tunisino non vi sia solo la lesa maestà provocata dalla presunta visione maschilista del corpo femminile, cosa di cui il regista si sarebbe imprudentemente (in epoca di Me too) macchiato soffermandosi oltre il dovuto sul fondoschiena della sensuale Ophélie Bau. Pensiamo infatti che la predetta disaffezione sia anche frutto di qualcos'altro e, per esempio, dello scarto estetico e di contenuti lasciato intravedere con la realizzazione de La vita di Adele, opera accolta non senza diffidenza e con qualche fastidio per la spregiudicatezza con cui viene filmata la passione tra le due protagoniste, e oggi confermato con un progetto come quello di Metkoub, My Love, incentrato sull'estate di un gruppo di giovani belli e vacanzieri.

Così, se nella prima parte di carriera a suscitare il consenso nei confronti di titoli come La schivata, Cous Cous e Venere Nera era stata l'attitudine engagé di certi temi e la presenza di personaggi "forti" e fuori dagli schemi, non sorprende più di tanto che la celebrazione di una gioventù priva di sovrastrutture politiche e sociali, e votata ai godimenti tipici della propria età fatichi a conquistare gli appassionati della prima ora. L'overdose di felicità, l'insopprimibile voglia di vivere e la ricerca del piacere che contraddistingue l'esistenza di Amin e dei suoi coetanei mette a disagio e provoca sconcerto tra gli amanti del cinema d'autore. Senza sofferenza e privo di appigli ideologici il cinema di Kechiche rischia di essere considerato inattuale e sorpassato anche se in realtà non lo è. Non si tratterebbe comunque di una novità: a suo tempo è successa la stessa cosa anche a Kusturica e Von Trier, passati dalle stelle alle stalle per ragioni che poco c'entrano con la settima arte.
Carlo Cerofolini