Codice 999
di John Hilcoat
con Chiwetel Ejiofor, Casey Affleck, Woody Harrelson, Kate Winslet
USA, 2016
genere, thriller, noir, poliziesco
durata, 125'
Che il cinema di genere e in particolare il noir sia diventato il palcoscenico ideale per mostrare gli scenari dell’universo criminale è un dato inoppugnabile. Una predilezione che nasce da lontano e che dipende in parte dalla natura ibrida della settima arte, in grado di mettere insieme il potere afabulatorio del romanzo hard boiled con la visionarietà che gli deriva dalla costituzione preminentemente visiva delle sue opere. Di entrambe le cose si serve “Codice 999” per raccontare le vicende di un gruppo di agenti di polizia e di ex mercenari dell’esercito americano che nel loro percorso di quotidiana corruzione si trovano costretti a lavorare per conto della mafia Russia, decisa a venire in possesso di una preziosa documentazione tenuta in custodia dalle forze dell’ordine. Detto che le pressioni subite dall’organizzazione malavitosa unite alla difficoltà di portare a termine l’impresa mineranno alle basi la fratellanza instauratasi tra i vari membri del branco, scatenando una guerra che non risparmierà niente e nessuno, “Codice 999” conferma, sulla scia di “Lawless”, l’attitudine di John Hillcoat a cimentarsi con storie di uomini pronti a tutto pur di proteggere la vita delle persone amate. Così fa Michael Atwood (il Chiwetel Ejiofor di “12 anni schiavo”) quando è obbligato a obbedire a Irina, la crudele zarina (Kate Winslet mai cosi cattiva) che tiene in ostaggio il suo bambino, nel medesimo modo si comporta il detective cocainomane Jeffrey Allen nei confronti del collega e fratello Chris (un ottimo Casey Affleck) nel momento in cui questi si ritrova coinvolto nella spirale violenza generata dalla terribile dark lady.
Avendo in mano una sceneggiatura che mostra in maniera scoperta quelli che sono i canoni del genere, qui riassunti nel senso d’ineluttabilità che governa l’agire umano e nella vocazione autodistruttiva che segna anticipatamente e in senso negativo le relazioni tra i personaggi, Hilcott esalta queste caratteristiche con un montaggio che procede per accumulo, sommando una dopo l’altra le stazioni di un calvario in cui l’olocausto dei corpi si svolge all’interno di un orizzonte privo di redenzione e che però è in grado di regalare momenti di cinema al di sopra della media grazie a scene di guerriglia urbana come quella d'apertura che per epica e modo di girare ricorda il Michael Mann di “Heat – la sfida”, e in virtù di un maledettismo che ha il coraggio di sfiorare la maniera pur di mettere in scena personaggi come quello interpretato da Woody Harrelson che nella sua personale rivisitazione del cattivo tenente ferrariano si produce in un’altra performance da ricordare.
Più nero della pece “Codice 999” non è esente da imperfezioni, imputabili ad una scrittura che pasticcia soprattutto quando si tratta di arrivare alla resa dei conti con l’espediente utilizzato da Atwood e soci per mettere a segno il colpo, raccontato in una maniera che risulterebbe confusa se non fosse che Hilcoat riesce a incamerare il tutto in una dimensione di precarietà in cui l'assenza di logica di certi passaggi più che un difetto sembra la conseguenza della mancanza di morale che attraversa il mondo dei protagonisti.
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