Truman
di Cesc Gay
con Ricardo Darín, Javier Cámara, Dolores Fonzi
Spagna, Argentina 2015
genere, commedia
durata, 108'
Sembra che l’accettazione della morte sia un argomento all’attenzione del cinema europeo degli ultimi anni. Recentemente a tal proposito avevamo apprezzato in parte “Mia Madre” di Moretti e “These daughters of mine” di Kinga Dębska, film entrambi incentrati sull’elaborazione del lutto-prima-del-lutto dei familiari – più in particolare dei figli – e che lasciavano quindi ai margini della vicenda i reali protagonisti. In “Truman”, al contrario, viene posto al centro dell’indagine Julian, uomo di mezz’età che ha deciso di abbandonare le cure contro il cancro per godere del poco che gli rimane da vivere; a condividere con lui questi momenti arriva dal Canada l’amico Tomas, che accompagna l’amico a compiere gli ultimi passi della sua esistenza.
L’onestà con la quale i due affrontano la situazione – privati totalmente dal patetismo di un possibile patinato melodramma – è speculare alla sincerità con la quale Cesc Gay offre il proprio sguardo sulla vicenda, senza mai risultare artificioso né nella messinscena – specie grazie al lavoro fatto sulla fotografia, andando sempre a ri-creare situazioni di luce naturale quindi senza porre accenti visivamente drammatici – né nella sceneggiatura – con uno script che non accelera mai il ritmo e si prende i propri tempi diluendo le situazioni con sguardi, pause e dialoghi non necessariamente in funzione degli ingranaggi drammaturgici –.
In “Truman” – il titolo prende il nome dal cane del protagonista e dall’affanno che provoca il non sapere fino all’ultimo a chi lasciarlo dopo la morte di Julian – non c’è quindi manipolazione sensoriale nei confronti di chi guarda ma c’è semplicemente una storia raccontata senza scorciatoie e astuzie, che per questo aumenta la propria potenza comunicativa: una sincerità che troppo spesso il cinema non offre ma che solo il cinema sa offrire.
Antonio Romagnoli
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