lunedì 26 ottobre 2015

10 FESTIVAL DE CINEMA DI ROMA - THE CONFESSIONS OF THOMAS QUICK

The confessions of Thomas Quick
di B.Hill.
GB 2015
genere, documentario 
durata, 95'



Rictus incontrollati di un Sistema agonizzante. Al volgere degli '80, Sture Bergwall, individuo-massa svedese autoproclamatosi John Quick, in relazione alla prontezza della sua presunta condotta, viene prima internato in un centro psichiatrico (per le conseguenze dell'irruzione a scopo di rapina in un appartamento e al termine di una giovinezza burrascosa, culminata, diciamo così, in un accoltellamento fortunatamente non letale), indi accusato - in relazione a rivelazioni offerte di propria volontà - di otto efferati omicidi riconducibili a persone scomparse e a casi mai risolti. Il gruppo delle potenziali vittime raggiungerà in breve, mano mano che Bergwall/Quick intensifica la sua collaborazione con le autorità, lo straziante numero di 39 possibili crimini. Ribadiamo il termine "possibili" poiché, via via che Hill ci conduce nei meandri di una mente di certo disturbata, la trama che dovrebbe unire in un solo vincolo inattaccabile le affermazioni di Bergwall ai suoi gesti, mostra più di una sfilacciatura. Colui che la stampa, al solito famelica quanto malata d'improntitudine, s'affretta a proclamare "omicida seriale" e "più feroce assassino nella storia svedese", nell'istante in cui ritratta le affermazioni rese anche durante penosi sopralluoghi nei boschi e nelle radure teatro degli eventuali eccidi, costringerà l'intero suddetto Sistema (giudiziario, sanitario, mediatico) ad ammettere, al prezzo di non poche reticenze e veri e propri dinieghi (buona parte dei protagonisti del caso ha declinato l'invito del regista a fornire un'altra versione dei fatti o criticato l'immagine complessiva vistasi attribuire), la sostanziale inconsistenza dell'impianto accusatorio fondato più sull'aderenza di Bergwall/Quick al suo personaggio di massacratore indefesso ma all'occorrenza in grado di ricostruire il personale comportamento secondo la sedicente efficacia di una terapia riabilitativa centrata sul disseppellimento di memorie rimosse in relazione ad un ipotetico terribile trauma infantile, che sulla scrupolosa verifica delle circostanze e delle evidenze.


Il motivo d'interesse in un'opera/documento abbastanza convenzionale, basata com'è sulla collaudata struttura che prevede una rapida introduzione della vicenda e il tipico sgranarsi dei punti di vista su una falsa riga tesa a corroborare/interpretare/contraddire l'assunto di partenza, risiede nel graduale ma inequivocabile cambio di prospettiva che investe la figura di Bergwall, mitomane compulsivo attanagliato dalla solitudine e da un inestricabile groviglio fatto di pulsioni irrisolte, sensi di colpa, radicati convincimenti d'inadeguatezza, instabilità caratteriale, sessualità frustrata, capace, lentamente ma irresistibilmente, d'imbastire un perverso gioco tipo gatto-col-topo (esplicitando: ad ogni rivelazione corrispondeva un cambiamento delle condizioni ospedaliere e un prolungamento del trattamento farmacologico, nonché un regime poco restrittivo, tale da consentirgli una certa libertà di manovra - sebbene in regime di cattività - secondo gli standard di reinserimento spinto peculiari della cultura scandinava), condotto ad un punto tale di tensione da originare, in seguito, sul piano meramente processuale, il proscioglimento dagli addebiti e, in generale, su quello socio-antropologico, la constatazione dell'avvitarsi grottesco - se non fosse inquietante - di due dei più importanti apparati dello Stato, deputati entrambi, anche se su piani e con modalità diverse, al controllo sociale: quello investigativo-procedurale e quello medico-scientifico.


Risulta evidente, in altre parole, a partire dal tono e dal ritmo - più cupo e incalzante, di classica matrice giornalistica arricchita, laddove le ovvie lacune lo richiedevano, da inserti di finzione, nella prima parte; più dilatato e meditativo, a comporre un singolare, a tratti surreale, ritratto in chiaroscuro di un sociopatico che tenta con una sua contorta coerenza di restare attaccato ad una società che nel migliore dei casi lo ha ignorato e di quella stessa società che manipolandone intenzioni e atteggiamenti, di fatto solo presupponendoli, finisce par farsi da lui manipolare, nella seconda - la scommessa di Hill, volta ad evidenziare il grumo contraddittorio che da dentro erode, per il tramite sempre eversivo di una condotta imprevedibile, i presupposti razionali (ossia la presunzione della loro prevedibilità) di un mondo sempre più maldestramente incline all'applicazione pedissequa dei parametri e delle procedure al di la' di ogni evidenza, in una sorta di circolo vizioso - fatto perlopiù' di giustificazioni a posteriori e di confessioni falsamente riparatrici - tenuto in piedi allo scopo, più o meno auto-assolutorio, di ribadire comunque il proprio primato civile e morale, dimenticando sempre coloro che di sicuro hanno pagato - le vittime - per i quali, sottolinea l'autore, questa storia e' ben lungi dal dirsi conclusa.
TFK

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