Truth
di James Vanderbilt
con Robert Redford, Cate Blanchett, Dennis McQuaid
Usa. 2015
A differenza di altri Paesi, in quelli di matrice anglosassone l'egida morale è ancora qualcosa che attiene al giornalismo. Una dimensione etica che appartiene tanto alla versione dei fatti quanto alla loro pubblicazione; senza dimenticarsi del principio di tutto e quindi della notizia stessa che, per essere tale, deve nascere e svilupparsi in un contesto di indispensabile verità. Ed è proprio all'interno di questi pilastri dell'informazione che si muove la storia di "Truth", il film di James Vanderbilt che ha inaugurato la decima edizione della Festa del cinema di Roma con il racconto della vicenda di Mary Mapes e Dan Rather, rispettivamente produttrice e anchorman di 60 minutes, il programma d'inchiesta giornalistica della CBSche, alla vigilia delle elezioni del 2004 denunciò gli illeciti di cui si sarebbe reso colpevole il presidente in carica George Bush quando, durante la guerra del Vietnam evitò il fronte, riparando nelle fila della Guardia Nazionale. Il clamore dello scoop non dipendeva dalla gravità dei contenuti ma piuttosto dal tempismo della sua uscita, che rischiava di vanificare il vantaggio con il quale Bush aveva fin li distanziato il rivale John Kerry, messo in crisi dalle voci che ne avevano messo in discussione il valore militare tributatogli per le missioni in terra vietnamita.
Ma la particolarità di "Truth" non è quella di presentare l'indagine compiuta dalla Mapes e dalla squadra di giornalisti che diedero corpo alle prove di quell' accusa. O per dirla meglio, non solo. Perché il film di Vanderbilt è in parte anche questo, quando, durante il primo inserto di film ci mostra alla maniera di un classico come "Tutti gli uomini del presidente" le varie fasi dell'investigazione, filmate con il susseguirsi di alti e bassi che almeno al cinema, rendono il mestiere di giornalista uno dei più pericolosi e stressanti che si conoscano. A fare la differenza invece, è la scelta da parte della sceneggiatura di occuparsi delle conseguenze scaturite dagli effetti della trasmissione televisiva, quando la veridicità dei documenti forniti dalla Mapes per comprovare la sua tesi fu sconfessata da una serie di perizie che al contrario e in maniera definitiva ne accertarono l'improbabilità. Lasciando agli storici l'ultima parola sull'esistenza o meno dei presunti favoritismi di cui Bush avrebbe goduto, quello che interessa a "Truth" è di entrare nel cuore della questione di cui accennavamo all'inizio, mostrando attraverso il dramma dei due protagonisti quanto sia alto il prezzo da pagare per mantenere fede ai principi della deontologia professionale. Per mostrarlo nella sua brutale evidenza il regista ribalta le posizioni di partenza, mettendo i buoni sul banco degli imputati e facendo dei rappresentanti dello schieramento opposto - presenti nella commissione interna convocata dalla CBS per vagliare l'operato dei propri sottoposti e formata da elementi di fede repubblicana - gli arbitri della loro destino lavorativo.
Il cambio di direzione produce uno scarto anche in termini cinematografici, con lo stile da reporterd'assalto messo in mostra nel primo arco di film, progressivamente assorbito da un andamento più meditato, in cui "Truth" attraverso il tormento e la disillusione dei suoi personaggi riflette sul senso di un mestiere che mette in gioco i valori dell'individuo ma anche sui limiti stessi della democrazia americana. Con molto pragmatismo l'esordiente Vanderbilt confeziona un prodotto che non si prende alcun rischio ne in termini di scrittura, organizzata su una solida applicazione degli stilemi di genere, ne in termini di recitazione, assicurata dal raffinato manierismo di due attori come Cate Blanchet e Robert Redford, impegnati a rifare se stessi e i ruoli che li hanno resi famosi. Ciononostante rispetto alla prima veneziana quella di Roma è un esordio ben più felice.
(pubblicata su ondacinema.it)
di James Vanderbilt
con Robert Redford, Cate Blanchett, Dennis McQuaid
Usa. 2015
genere, biografico, drammatico
durata, 125'
A differenza di altri Paesi, in quelli di matrice anglosassone l'egida morale è ancora qualcosa che attiene al giornalismo. Una dimensione etica che appartiene tanto alla versione dei fatti quanto alla loro pubblicazione; senza dimenticarsi del principio di tutto e quindi della notizia stessa che, per essere tale, deve nascere e svilupparsi in un contesto di indispensabile verità. Ed è proprio all'interno di questi pilastri dell'informazione che si muove la storia di "Truth", il film di James Vanderbilt che ha inaugurato la decima edizione della Festa del cinema di Roma con il racconto della vicenda di Mary Mapes e Dan Rather, rispettivamente produttrice e anchorman di 60 minutes, il programma d'inchiesta giornalistica della CBSche, alla vigilia delle elezioni del 2004 denunciò gli illeciti di cui si sarebbe reso colpevole il presidente in carica George Bush quando, durante la guerra del Vietnam evitò il fronte, riparando nelle fila della Guardia Nazionale. Il clamore dello scoop non dipendeva dalla gravità dei contenuti ma piuttosto dal tempismo della sua uscita, che rischiava di vanificare il vantaggio con il quale Bush aveva fin li distanziato il rivale John Kerry, messo in crisi dalle voci che ne avevano messo in discussione il valore militare tributatogli per le missioni in terra vietnamita.
Ma la particolarità di "Truth" non è quella di presentare l'indagine compiuta dalla Mapes e dalla squadra di giornalisti che diedero corpo alle prove di quell' accusa. O per dirla meglio, non solo. Perché il film di Vanderbilt è in parte anche questo, quando, durante il primo inserto di film ci mostra alla maniera di un classico come "Tutti gli uomini del presidente" le varie fasi dell'investigazione, filmate con il susseguirsi di alti e bassi che almeno al cinema, rendono il mestiere di giornalista uno dei più pericolosi e stressanti che si conoscano. A fare la differenza invece, è la scelta da parte della sceneggiatura di occuparsi delle conseguenze scaturite dagli effetti della trasmissione televisiva, quando la veridicità dei documenti forniti dalla Mapes per comprovare la sua tesi fu sconfessata da una serie di perizie che al contrario e in maniera definitiva ne accertarono l'improbabilità. Lasciando agli storici l'ultima parola sull'esistenza o meno dei presunti favoritismi di cui Bush avrebbe goduto, quello che interessa a "Truth" è di entrare nel cuore della questione di cui accennavamo all'inizio, mostrando attraverso il dramma dei due protagonisti quanto sia alto il prezzo da pagare per mantenere fede ai principi della deontologia professionale. Per mostrarlo nella sua brutale evidenza il regista ribalta le posizioni di partenza, mettendo i buoni sul banco degli imputati e facendo dei rappresentanti dello schieramento opposto - presenti nella commissione interna convocata dalla CBS per vagliare l'operato dei propri sottoposti e formata da elementi di fede repubblicana - gli arbitri della loro destino lavorativo.
Il cambio di direzione produce uno scarto anche in termini cinematografici, con lo stile da reporterd'assalto messo in mostra nel primo arco di film, progressivamente assorbito da un andamento più meditato, in cui "Truth" attraverso il tormento e la disillusione dei suoi personaggi riflette sul senso di un mestiere che mette in gioco i valori dell'individuo ma anche sui limiti stessi della democrazia americana. Con molto pragmatismo l'esordiente Vanderbilt confeziona un prodotto che non si prende alcun rischio ne in termini di scrittura, organizzata su una solida applicazione degli stilemi di genere, ne in termini di recitazione, assicurata dal raffinato manierismo di due attori come Cate Blanchet e Robert Redford, impegnati a rifare se stessi e i ruoli che li hanno resi famosi. Ciononostante rispetto alla prima veneziana quella di Roma è un esordio ben più felice.
(pubblicata su ondacinema.it)
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