giovedì 10 settembre 2015

LE ANTEPRIME DE ICINEMANIACI: NO ESCAPE - COLPO DI STATO

No Escape - Colpo di stato
di John Erick Dowdle
con Owen Wilson, Pierce Brosnan, John Erick Dowdle 
Usa, 2015
genere, azione thriller, drammatico
durata, 103'


In che modo si misura la tragedia di un popolo e in quale maniera il trauma di un evento nefasto si manifesta nella mentalità e nel modo di agire di chi è sopravvissuto. Se per esempio si volesse tenere conto dei film prodotti all'indomani dell'undici settembre per valutare le conseguenze che ha prodotto il crollo delle torri gemelle sulla vita dei cittadini americani, non sarebbe difficile individuare due linee di tendenza: la prima, verrebbe fornita da film come ""La 25 ora" e "Molto lontano, incredibilmente vicino" in cui la voglia di ricominciare dei protagonisti non può prescindere da un'elaborazione del lutto prima personale e poi collettiva; la seconda, invece, quella preferita dal cinema di genere e tra gli altri, da autori del calibro di Kathryn Bigelow ("The Hurt Looker", "Zero Dark Thirty") e Ridley Scott (Nessuna Verità) mostrerebbe una diversa versione dei fatti, dimostrando come il desiderio di esorcizzare il male subito sia la causa di una visione conflittuale dell'esistenza. Tenendo conto dei più recenti sviluppi geopolitici - tra i quali non si può non menzionare la nascita dell'Isis -  e degli attentati che si sono verificati in luoghi turistici e di cultura, possiamo dire che "No Escape - colpo di stato" rappresenta allo stato dei fatti l'evoluzione di queste due rappresentazioni, capace di contenerle in un rapporto di reciproco scambio, mediante la corrispondenza tra la precarietà  del contesto nazionale americano, qui rappresentato dalle incertezze - affettive e di lavoro - che rischiano di sgretolare l'unità della famiglia protagonista della storia, e il senso di accerchiamento e di minaccia derivato dallo scenario bellico nel quale la stessa è chiamata a sopravvivere. Nel film di John Erick Dowdle si racconta infatti di una rivolta armata che mira a rovesciare il governo di una non meglio precisata nazione del sud est asiatico, e dell'imprenditore Jack Dwyer, arrivato sul posto con moglie e figli al seguito, costretto ad escogitare il modo per sfuggire alla caccia all'uomo dei rivoltosi, determinati a uccidere i cittadini stranieri presenti nel paese. Nel passaggio dalla fase iniziale, scandita dall'incredulità e dalla sorpresa di ritrovarsi in una situazione non prevista a quella successiva, in cui l'istinto di sopravvivenza predispone le azioni necessarie al superamento del pericolo, "No Escape" riesce a dare il meglio di sé, coniugando la natura spettacolare del film, continuamente rilanciata da una struttura narrativa organizzata su livelli sempre più alti di difficoltà e di pericolo, con una drammaturgia che, soprattutto nel caso di Jack (un ottimo Owen Wilson), il protagonista della storia, riesce a  fornire una progressione psicologica credibilmente adeguata agli sviluppi della vicenda.


Dowdle, da par suo, gira tre quarti del film tutto d'un fiato, filmando il percorso salvifico dei protagonisti in una maniera che pur non essendolo, assomiglia, per fluidità e consapevolezza dello spazio, a un interminabile piano sequenza, in grado di rendere come meglio non si potrebbe le caratteristiche di mobilità e di dinamismo derivate dalle sollecitazioni a cui è sottoposta la trama, ogni volta costretta per esigenze di copione a riformulare  la collocazione geografica dei personaggi. Così, pur con qualche esagerazione (per esempio quella in cui marito moglie e le due figliolette sono costretti a lanciarsi nel vuoto nella speranza di raggiungere il tetto dell'edificio antistante) "No Escape" sarebbe destinato all'optimum cinematografico, se non fosse che, nell'ultimo tratto di strada, invece di limitarsi a gestire i bonus accumulati durante un'ora di buon cinema, il film senta il bisogno di nobilitare i contenuti del suo pensiero, riflettendo sulle cause dell'apocalisse che mette in scena. In questo modo, a farsi strada è la banalità delle spiegazioni messe in bocca al personaggio di Pierce Brosnan, riapparso dal nulla dopo la comparsata iniziale, giusto in tempo per fare mea culpa di quel colonialismo occidentale di cui egli stesso e' complice e in cui, a suo dire, trova legittimazione la sommossa che sta mettendo a ferro e fuoco la città.

Un pentimento più che lecito, se si tiene conto delle politiche di sfruttamento economico organizzate a discapito dei paesi più poveri, che però, non trova riscontro nella gestione delle immagini, perchè la rabbiosa violenza con cui viene documentata la reazione  dei due genitori, pronti a uccidere chiunque minacci l'incolumità degli altri famigliari, si manifesta con sospetta precisione, arrivando sullo schermo solo nel momento in cui la visione delle barbarie commesse dai ribelli hanno messo al sicuro la coscienza dello spettatore, incattivito da tanta efferatezza e, a quel punto, privo di remore e quasi sollevato nel farsi partecipe della punizione che i coniugi impartiscono ai loro persecutori. Ad avvalorare questa tesi ci pensa il tenore della sequenza conclusiva, con l'abbraccio tra genitori e figli, fotografato con un candore e una luminosità che cancella ogni colpa, non lasciando dubbi su quale sia la parte per cui il film si schiera. A conferma della doppia morale di cui si fa portatore. 

 (pubblicato su ondacinema.it)


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