Roberta Mattei è una delle protagoniste di "Non essere cattivo" il film di Claudio Caligari che è stato appena scelto per rappresentare l'Italia alla prossima edizione degli Oscar. Per inauguare "Points of View" il nuovo spazio dedicato alle interviste di personaggi appartenenti al mondo del cinema abbiamo pensato a lei. Ecco quello che ci ha raccontato.
Roberta, sfatiamo il concetto che tu sia una ragazza di borgata
Sono nata a Roma e vissuta a Spinaceto, in una via degradata, vicino alle baracche di via del Mandrione . Una zona dove la violenza era imperante e in cui, condividendo l’esistenza, di gente di ogni tipo, compreso gli zingari che abitavano nel mio stesso palazzo, ho preso coscienza di una quotidianità diversa da quella che avevo immaginato. Dal balcone di casa osservavo l'umanità che era in strada, e i tossici che ne fa facevano parte. Le mie giornate così, finivano per perdersi negli occhi e nella sofferenza di quelle persone. Di ragazzi come Cesare e Vittorio, i personaggi principali di “Non essere cattivo”, ne ho visti tanti.
La tua è prima di tutto una formazione teatrale. Quando e come sei arrivata a salire sul palco
Da piccola passavo delle ore a guardare le commedie di Eduardo De Filippo che mia madre registrava da Palcoscenico, il programma della Rai che si occupava di teatro. A parte la fascinazione per quello che vedevo, ad attrarmi era il senso di famiglia che dal palco e l’idea di un lavoro collettivo e itinerante. A 12 anni fu lei che pensò di iscrivermi all’associazione culturale di Spinaceto che i miei, poco la morte dei due proprietari, iniziarono a un po’ per caso gestire. Li inizia la mia gavetta, studiando e frequentando i vari laboratori di recitazione. Poi a 20 anni, dopo essere stata scartata dai teatri di Genova e Torino decisi a fare un provino per entrare al Centro sperimentale.
E come andò in quell’occasione
Fu divertente, perché non avendo preparato nulla, improvvisai un pezzo tratto da “La Locandiera” di Carlo Goldoni, che sapevo praticamente a memoria per averla vista rappresentata non so quante volte da una compagnia che in quel periodo si esibiva all’associazione. Tra gli esaminatori, c’era pure Lina Wertmuller, la quale rimase così colpita dalla meridionalità della mia fisiognomica, da suggerirmi di accentuarla attraverso la crescita delle sopracciglia.
Quindi sei riuscita ad entrare
Si, però, insomma…fu un’esperienza infelice, perché mi sentivo fuori luogo rispetto al mio desiderio di diventare un’attrice di teatro. Così, in piena crisi d’identità, e per una serie di fortunate coincidenze mi imbattei Roberto Valerio che oggi è diventato un regista di fama, e che allora mi ingaggiò per rappresentare una piece di Pier Paolo Pasolini, il mio artista di riferimento. Il reading tratto da una “Una vita violenta”, che ho portato in giro per l’Italia, nasce da quell’incontro, e dalla decisione di iniziare a collaborare con Valerio, che vi ha partecipato in fase di scrittura.
Mi pare di capire che i tuoi genitori sono stati importanti per la realizzazione delle tue aspirazioni artistiche.
Moltissimo. Vengo da una famiglia di mentalità aperta e di radici contadine, che in ogni occasione mi lasciato un’assoluta libertà culturale. I miei sono calabresi, e soprattutto da mia madre, che ha sempre avuto una spiccata predisposizione artistica, ho imparato a fare le cose con calma e a dare il tempo agli eventi di manifestarsi secondo la propria predisposizione. Un po’ come avviene nella coltivazione dei campi, che va di pari passo con il ciclo naturale delle stagioni.
Successivamente è arrivato il film di Caligari e il personaggio di Linda.
Be non esattamente. Prima di quel film avevo fatto molta gavetta televisiva, lavorando in diverse fiction e in un medimetraggio. Quelle esperienze, mi hanno insegnato a stare davanti alla macchina da presa, dove, contrariamente al teatro, sono il volto e gli occhi a fare la differenza. In “Non essere cattivo” avevo fatto il provino per interpretare Viviana ma Caligari, dopo avermi vista, mi disse che ero perfetta per il personaggio di Linda. Nonostante il minutaggio ridotto, il ruolo era complesso, perché nell’arco di poche scene dovevo essere in grado di rendere, da una parte la tenacia di una madre disposta a lottare con tutte le sue forze pur di assicurare una futuro migliore a lei e al figlio; dall’altra, il sentimento di una donna che, nell’incontro con Vittorio, intravede la speranza di riuscire a cambiare vita.
Come sei riuscita a entrare nel ruolo
Sul set il Maestro non mi ha dato indicazioni, e quindi, per costruire il personaggio sono partita come sempre dall’analisi del testo. Nel farlo, mi sono tornati utili i miei trascorsi, che mi hanno permesso di portare dentro al film situazioni che in qualche modo avevo già vissuto. In più, ero abituata al clima di complicità tipico della marginalità raccontata da Caligari, in quanto, sin da bambina, avevo vissuto in un palazzo che ospitava gente d’estrazione umilissima, e persino famiglie Rom. Conoscevo le dinamiche che si stabiliscono quando l’unica cosa su cui puoi contare è il rapporto d’amicizia con un'altra persona, che in sostanza è quanto succede ai protagonisti del film, che non posseggono nulla, a parte la loro fraterna amicizia. Ma la riuscita di questo processo non sarebbe stato efficace, se a stimolarlo non ci fossero state l’urgenza e la verità da cui nascono le opere di Caligari. Non potrei mai recitare in un film in cui non credo, perché il pubblico se ne accorgerebbe in un attimo.
A questo proposito, mi sembra che l’amicizia tra Cesare e Vittorio sia regolata da una sorte di codice d'onore.
Io non parlerei di codice d'onore, bensì di un codice di borgata, fondato su un sentimento di assistenza reciproca, e su un meccanismo d’amicizia e di sottile fiducia, che fa da collante al loro rapporto. Per descriverlo con il cinema, mi viene in mente l’amicizia virile raccontata da Martin Scorsese in “Mean Streets”.
Volevo chiederti se tu e gli altri attori vi siete resi conto che stavate partecipando a un film così importante.
Se dovessi giudicare da quello che è successo a Venezia direi di no, perché dopo la proiezione sono successe cose incredibili. A parte i dieci minuti di applausi, quello che mi ha colpito è stato vedere le facce della gente, l’emozione che non riusciva a trattenersi. Mi ricordo di Jasmine Trinca e del suo abbraccio commosso al termine del film. E di noi attori, il lacrime come dei bambini. Sul set eravamo coscienti di girare con un maestro del cinema ma nessuna poteva pensare all’entusiasmo e alla benevolenza con cui “Non essere cattivo” è stato accolto.
Parliamo invece di te come donna.
Nella vita mi potrei paragonare a Elettra, perchè in lei ci sono tutti gli eccessi del mio carattere. Sono una persona idealista e pronta a battermi contro le ingiustizie del mondo. Ho un'empatia molto sviluppata che mi porta a percepire l’ambiente in cui mi trovo e le falsità che vi dimorano. Questo ha una conseguenza sulle mie scelte lavorative, in cui scarto le proposte scadenti senza tenere conto dei vantaggi economici che ne deriverebbero. I miei occhi ti dicono sempre quello che penso come pure il mio stato d'animo. Pur restando una persona positiva, sono spesso attraversata da un misto di gioia e di tristezza; da quel velo di malinconia che dal punto di vista artistico è molto creativo. Direi quasi che sono patologicamente appassionata della malinconia e che in un certo senso la coltivo
E invece da spettatrice cosa ti piace
Scelgo molto le cose del passato, e quindi mi piacciono attrici come Tina Pica e Franca Valeri che davvero amo molto. Se invece penso a quelle di oggi ti dico Loredana Simioli, che in "Reality" faceva la moglie del protagonista. Tra quelle straniere invece mi viene in mente il nome di Cate Blanchett, mentre parlando di registi, a parte Caligari, dico David Cronenberg.
di Adele De Blasi e Carlo Cerofolini
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