Ray & Liz
di Richard Billingham
con Michelle Bonnard, James Eeles, Sam Gittins
UK, 2018
genere, drammatico
durata, 108'
Ray & Liz di Richard Billingham è uno di quei film che per essere gustati appieno ha bisogno di qualche parola in più d'introduzione poiché la famiglia disfunzionale che viene raccontata nella storia non è solo un'estensione romanzata di quella reale in cui il regista è nato e in parte vissuto, ma la sintesi di un percorso artistico avente sempre come riferimento il medesimo soggetto, seppure mediato dalle tecniche di pittura e soprattutto dalla fotografa di cui Bellingham è diventato maestro (e pure docente in un'importante università dell'Inghilterra). La premessa è significativa perché permette di capire da dove venga il sentimento d'amore e di umana pietas che il regista riserva ai protagonisti, colpevoli agli occhi dello spettatore, ma non a quelli di Bellingham, di una degradazione morale e materiale che neanche l'indigenza della propria condizione sociale potrebbe giustificare. E ancora, per capire come la visione della galleria degli orrori che il film generosamente ci riserva (alcuni dei quali davvero insopportabili e ci riferiamo per esempio alla scena in cui il cane si precipita a saziarsi del vomito uscito di bocca dall'uomo riverso sul divano) non sia una furbizia escogitata dall'autore per fare scandalo, ma una sorta di terapia psicanalitica in cui l'accumulo degli episodi raccapriccianti altro non è che il modo per accelerare una catarsi che diventa pubblica solo in un secondo momento, collegandosi innanzitutto al vissuto personale del regista.
Ciò non toglie che "Ray & Liz" sia un film duro e provocatorio, pensato per mettere lo spettatore a disagio, spiazzato non solo dagli effetti dello shock visivo che il film gli somministra ma anche dal fatto di ritrovarsi di fronte alla versione lisergica del cinema dei vari Ken Loach, Mike Leigh e via dicendo. Questo perché la periferia di Birmingham e i suoi slum diventano un'installazione permanente in cui le soluzioni formali adottate da Billingham (a partire dal formato ridotto dell'inquadratura), cosi come la frantumazione della linearità narrativa, destinata a perdersi e ricongiungersi senza soluzione di continuità, altro non solo che le modalità con le quali il film riesce a far sentire, oltre che vedere, cosa significhi vivere in una dimensione esistenziale in perenne disfacimento. Per chi scrive, una delle sorprese del festival.
Carlo Cerofolini
(ondacinema.it)
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