lunedì 16 ottobre 2017

NICO 1988

Nico
di Susanna Nicchiarelli
con Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca 
Italia, Belgio 2017
genere, Drammatico
durata: 93’

La pellicola racconta ultimi anni di vita di Christa Päffgen, in arte Nico. Musa di Warhol, cantante dei Velvet Underground e donna la cui bellezza era indiscussa, Nico visse una seconda vita quando iniziò la sua carriera da solista. Qui seguiamo gli ultimi tour di Nico e della band che l'accompagnava in giro per l'Europa negli anni '80: anni in cui la "sacerdotessa delle tenebre", così veniva chiamata, si è liberata del peso della sua bellezza e inizia a ricostruire un rapporto con il figlio.
Non era un'impresa facile trasferire sullo schermo le fasi finali della vita di una personalità complessa come quella di Nico.
Susanna Nicchiarelli è riuscita a portarla a compimento, leggendo la vicenda a partire da una condizione esistenziale che, ora che siamo al suo terzo lungometraggio, possiamo considerare come un tema che la appassiona: i segni che l'infanzia e la preadolescenza lasciano nelle persone che finiremo con il diventare.
Dalla Luciana 'comunista' di 9 anni di “Cosmonauta” siamo passati alla Caterina adulta che parla con se stessa dodicenne in “La scoperta dell'alba” e ora il film si apre con Christa bambina, che guarda da lontano i bagliori di una Berlino che brucia, sul finire della seconda guerra mondiale. Quelle luci di distruzione lontane favoriranno la percezione e la condivisione delle tenebre esistenziali che costituiranno la base della sua produzione artistica così come rimarrà indelebile, divenendo a tratti un modo di nutrirsi vorace, il ricordo della fame sperimentata allora.

Ma quella bambina, che come giovane donna ha a lungo sopportato l'essere associata ai Velvet Underground, a Lou Reed e ad altre star prima di vedersi riconosciuto un proprio status, è divenuta un'icona della controtendenza musicale e continua ad esserlo in un periodo, quello in cui la incontriamo nel film, in cui la discomusic domina il mercato musicale. Porta però dentro di sé una duplice sofferenza: la dipendenza dall'eroina e il senso di colpa per essersi fatta sottrarre il figlio appena nato essendo comunque consapevole di non essere in grado, all'epoca, di dargli ciò che un piccolo esige da una madre.

Ora quel bambino è un ragazzo non privo di problemi a cui riavvicinarsi passo dopo passo. La regista segue, grazie anche all'interpretazione di una Trine Dyrholm che non cerca l'imitazione dell'artista, ma la fa propria nell'intimo, i suoi mutamenti d'umore, i suoi scatti d'ira, così come il lasciarsi andare a una cena notturna a base di pasta al pomodoro, Coca Cola e limoncello o il discreto innamoramento del suo manager. Sono aperture e chiusure che rimandano a quelle porte che si chiudono per celare allo sguardo altrui il bisogno di eroina, che restano chiuse, quando il manager vorrebbe trovare il coraggio di bussare per manifestare i propri sentimenti, o che si aprono per entrare in scena a mettere, ogni volta, in musica e parole una vita tormentata.
Riccardo Supino

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