martedì 31 ottobre 2017

Film telecomandati - TRAINING DAY

di,  Antoine  Fuqua
con, Denzel Washington, Ethan Hawke, Scott Glenn, Eva Mendes.
USA 2001

genere, drammatico
durata, 125"






Antoine Fuqua è un regista che comincia ad avere una filmografia sostanziosa. Ciò non gli ha consentito - ancora, perlomeno - di ridurre l'altalenanza degli esiti delle sue opere. A prove poco convincenti ("King Arthur", 2004; “I magnifici sette”, 2016 ), riuscite solo in parte (“Olympus has fallen”, 2013; “The equalizer", 2014; “Southpaw”, 2015) o pericolosamente ai limiti del patetico, se non del ridicolo ("L'ultima alba"/"Tears of the sun", 2003), affianca un esordio promettente ("Costretti ad uccidere"/"The replacement killers", 1998, con C.Yun-Fat e M.Sorvino) e tre colpi niente male: “Shooter”, 2007 "Brooklyn's finest”, 2009 - che può considerarsi un prolungamento e una estremizzazione di alcuni argomenti proposti in "Training day” - e, appunto, "Training day" del 2001.

Utilizzando una messinscena ancorata solidamente a un realismo scabro e non di rado brutale, quanto estetizzante in talune soluzioni formali, l’autore di Pittsburgh racconta ilgiorno (determinante) d'addestramento (training day, appunto) di un giovane poliziotto, Jack Hoyt/Hawke, deciso a diventare detective dell'antidroga di Los Angeles. Intransigente e idealista, Hoyt viene affidato alle cure dell'anziano Alonzo Harris/Washington, spregiudicato sbirro profondo conoscitore della strada, delle sue insidie e delle sue regole non scritte, poco incline a soffermarsi sui regolamenti e invischiato in una fitta ragnatela d'affari poco chiari e frequentazioni potenzialmente letali. I due caratteri - opposti ma con aspetti complementari che via via risalteranno, aumentando l'ambiguità del loro rapporto - arriveranno ben presto ai ferri corti.

Tratteggiato con mano felice da David Ayer, già autore di sceneggiature centrate sul mondo del crimine (vedi "SWAT", "Harsh times", "La notte non aspetta", "End of watch" - questi ultimi tre, diretti oltreché scritti - ), "Training day" si svolge nell'arco di un giorno qualunque in quel gigantesco ginepraio esistenziale che è Los Angeles, all'interno del quale si aggirano i due tutori dell'ordine uniti dal caso e dalle inderogabili necessità del servizio ma divisi dall'applicazione minuta della prassi poliziesca a sua volta minata da una più profonda frattura circa la visione del fine e del senso autentico da attribuire a concetti sempre al centro delle contraddizioni del dibattito sociale contemporaneo, comelegge e ordine. Per Hoyt è ancora possibile gestire l'autorità che il cittadino consegna nelle mani di un Corpo in uniforme e in armi, come è quello della Polizia, entro i limiti che riconoscono nell'altro - seppure criminale - un titolare di diritti; per Harris la quotidiana consuetudine della realtà metropolitana non è che il trasferimento della legge della giungla, della lotta per la sopravvivenza, in un contesto reso sempre più scivoloso e sempre più ostile dalla modernità tecnologica e dall'onnipresenza ossessiva del denaro.

Girato in buona parte negli autentici luoghi del degrado, dei traffici e delle vite perdute, fotografato (Mauro Fiore) evocando cromatismi brillanti e contrastati che rimandano al Müller di "Vivere e morire a Los Angeles" di Friedkin, intriso di cinismo, di sarcasmi senza repliche, come di violenze piuttosto esplicite e ripetute che non lascerebbero presagire improvvise aperture alla tregua e alla stanchezza, il film di Fuqua tocca con una sua ferina sagacia (soprattutto nella prima parte) un buon numero di nervi scoperti e irrisolti di questo nostro tempo e di questo nostro vivere una fine che non finisce mai di finire e ci consegna due tipi umani - uno, disciplinato e leale ma non disposto a tollerare la sopraffazione; l’altro, affetto da una sorta di superomismo scaltro, frutto probabile d’un’esemplarità corrosa dal tempo e dai compromessi - antitetici ma legati a filo doppio, controversi, quindi difficili da dimenticare.

Niente da dire sul finale compensativo/consolatorio, di certo poco coraggioso, forse imposto, se non che ne fa rimpiangere almeno un paio di più inquietanti e metaforici. Oscar a Washington come migliore attore protagonista (con l’immancabile strascico di polemiche riguardo l'attribuzione d'un premio a un attore nero per un ruolo negativo). Nomination per Hawke come migliore attore non protagonista.
TFK

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