The Birth of A Nation
di Nate Parker
con Nate Parker, Armie Hammer, Aja Naomi King, Penelope Ann Miller
USA, 2016
genere, drammatico
Anticipato da una campagna mediatica eclatante e contraddittoria "The Birth of a Nation" presentato ieri nel concorso della festa di Roma è il tipico film destinato a far parlare di se per motivi extra cinematografici. A dire il vero le reazioni all'indomani della sua presentazione avvenuta lo scorso febbraio nell'ambito del Sundance Film Festival erano state a dir poco entusiastiche e non lasciavano dubbi sul giudizio espresso dai media presenti in loco, pronti a scommettere sul film come campione da battere nella prossima edizione degli Academy Awards; per non parlare dell'endorsement pubblicitario derivato dalla diffusione della cifra da capogiro pagata dalla Fox (circa 17 milioni di dollari) per l'acquisto dell'opera. Poi, proprio alla vigilia dell'uscita nella sale americane l'inversione di tendenza, con la notizia dell'accusa di stupro commissionata al regista ai tempi dell'università - dalla quale peraltro l'accusato fu prosciolto con regolare processo - sufficiente a provocare la disaffezione del pubblico (uscito il 7 ottobre in oltre 2000 schermi "The Birth of ala Nation" ha incassato finora 12 milioni di dollari) e soprattutto quella degli addetti ai lavori preoccupati di investire soldi e prestigio su un lungometraggio che per i motivi appena riferiti potrebbe essere escluso dalla corsa agli Oscar.
Al di là del fatto contingente che riguarda il privato del regista non c'è dubbio che l'escalation mediatica di "The Birth of the Nation" - arrivata al termine di un'estate caratterizzata dal riaccendersi della questione razziale legata all'uccisione di alcuni membri della comunità afro americana da parte della polizia - costituisce un fuori campo di cui non si può non tenere conto durante la visione del film. Un po' perché dopo quello che è successo nella campagna per la poltrona presidenziale è lecito pensare che lo scandalo in questione nella sua accertata infondatezza possa essere una delle tante derive dello scontro politico in atto nel paese, con il film di Parker schierato dalla parte dei più deboli preso di mira per le consapevolezze di ingiustizia e iniquità sociale di cui Parker si fa promotore nei confronti della gente di colore. Un po' perché la storia di "The Birth of a Nation" con la cronaca della ribellione di un gruppo di schiavi scoppiata nella Contea di Southampton in Virginia nell'agosto 1831 sembra sovrapporsi a mo di commento ai disordini scoppiati in seguito ai fatti delittuosi a cui abbiamo appena all'inizio del paragrafo.
Di certo c'è che "The Birth of a Nation" almeno a livello teorico, perché come spiegheremo più avanti le caratteristiche intrinseche (e l'appoggio del sistema di cui Parker aveva inizialmente goduto) in parte dicono il contrario, è un film contro a partire dalla scelta del titolo che rifacendosi a quello del capolavoro di Griffith e ribaltandone polemicamente significato e punto di vista, assegna a NateTurner, lo schiavo che si ribella trovando nella parola del Cristo la legittimazione della sua vendetta, il compito di risvegliare la coscienza del suo popolo. Ma Parker rincara la dose del suo antagonismo nel momento in cui facendo di Nate il solo e unico depositario del messaggio cristologico (concetto che "The Birh of a Nation" esplicita nella sequenza in cui Nat sfida a colpi di versetti lo spregiudicato e corrotto pastore della contea) attribuisce alla rivolta degli schiavi capeggiati dal protagonista la bandiera del primato spirituale e religioso togliendolo metaforicamente ai membri del Ku Klux Clan del film di Griffith; con ciò compiendo una riscrittura della Storia della nazione americana che va oltre le azioni compiute dai ribelli per diventare la premessa di una nuova palingenesi.
Rispetto a "12 anni schiavo" al quale il nostro strappa più di ogni altra cosa il contesto storico ambientale non si può fare a meno di notare il carattere non conciliante di "The Birth of a Nation" che nel confronto del testo scritto si rivela più convenzionale di quello che voglia far credere sia nella gestione - nella prima parte - del temi di denuncia che in quello - nella seconda - della vendetta. Ed è qui che casca l'asino perché mentre il film di McQueen poteva contare su una forma fuori dal comune che pareggiava l'ordinarietà del narrato, la vicenda di Parker ha in dote un'estetica sin troppo compassata rispetto alle pulsioni di morte che attraversano i personaggi e soprattuto una drammaturgia oltremodo scoperta nel garantirsi il coinvolgimento del pubblico che se in alcuni momenti raggiunge livelli di commozione davvero partecipe in altri si propone con un'enfasi che produce l'effetto contrario.A questo si deve aggiungere la debolezza della sceneggiatura nel trattamento della sezione più importante dell'opera, quella in cui gli attori sono chiamati a giustificare con la recitazione ma anche con le parole lo scarto psicologico che trasforma gli schiavi da vittime a carnefici. E' anche nella frettolosità per nulla convincente con cui il mite Nate smette di essere sottomesso alla propria condizione per trasformarsi in uno consumato assassino che "The Birth of a Nation" si gioca le ultime carte per distogliere chi scrive dal pensiero che il film di Parker non si discosti dalle peculiarità tipiche della produzione mainstream.
(pubblicato su ondacinema.it)
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