venerdì 13 maggio 2016

MONEY MONSTER

Money Monster
di Jodie Foster
con Julia Roberts, George Clooney, Dominic West
USA, 
genere, thriller
durata, 98'


La crisi che dal 2008 ha messo in ginocchio la macro-economia occidentale è un argomento che, essendo ormai anche sulle bocche dei più, nel cinema degli ultimi anni è diventato caro a diversi autori e più in generale al cinema americano. Ad aderire a questa tendenza troviamo in ultimo Jodie Foster, che col suo “Money Monster” mette in scena gli effetti che le truffe dei grandi investitori di Wall Street hanno sulla gente comune.

Il programma televisivo condotto da Lee Gates – è il nome dello show a dare il titolo al film – che si occupa principalmente di suggerire come/quanto/quando investire agli spettatori, viene stravolto quando un ragazzo armato – uno tra la gente comune di cui sopra che, spinto al limite dallo sciacallaggio finanziario, incarna l’ultimo slancio per lui possibile – prenderà in ostaggio Gates per avere spiegazioni su un investimento dato per sicuro e che invece ha messo nei guai migliaia di azionisti.


Sembra essere al centro dell’indagine, quindi, non tanto lo svisceramento del problema economico – che recentemente altri film come “The big short” avevano invece provato ad analizzare con attenzione microscopica – ma la reazione umana ad un processo derivante dal monto perpetuo della macchina economica. In questo senso è apprezzabile da un lato la sindrome di Stoccolma che porta Gates a provare sentimenti positivi nei confronti del proprio carnefice – curioso come dopo “Hail Caesar” Clooney si trovi di nuovo ad interpretare un personaggio vittima di un rapimento –  e dall’altro la messinscena che per la quasi interezza del film è rinchiusa all’interno dello studio televisivo. Ad inibire la riuscita complessiva, invece, intervengono la scarsa inventiva di regia al di fuori dei momenti ambientati nella claustrofobia dello studio – riciclando modi più da piccolo schermo che prettamente cinematografici –  e l’eccessivo stereotipare i personaggi secondari sia nei dialoghi che nella caratterizzazione.
Antonio Romagnoli

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