Wilde Salomè
di Al Pacino
con Al Pacino Jessica Chastain,
USA,
durata, 95'
“Il dolore, essendo la suprema emozione di cui l’uomo è capace, è al tempo stesso il prototipo e il banco di prova della grande arte”. Oscar Wilde/Epistola: in carcere et vinculis
È quasi scontato premettere che, tra le molteplici opere di Oscar Wilde, “Salomè” è forse quella più difficile da approcciare. Se prima a teatro e poi al cinema, le vicende della figlia di Erode erano già state portate in scena – chiaramente in modalità del tutto sperimentali e controverse – anche da Carmelo Bene, la tragedia di Wilde ha destato l’interesse di Al Pacino che ha deciso di fare un film sulla realizzazione dello spettacolo e la realizzazione del film stesso. In questo intreccio sorprendentemente fluido di meta-linguaggi i diversi livelli narrativi vengono tenuti insieme dall’istrionismo che Pacino mostra da un lato nella pura recitazione teatrale – incantevole la compagna di scena Jessica Chastain, specie nel momento del ballo-dei-sette-veli – dall’altro – ovvero nella fase documentaristica – nella reale e percepita difficoltà di riuscita di un prodotto di così difficile realizzazione – non a caso “Wilde Salomè” registra i proprio natali nel 2010 ma vedrà la luce nelle sale italiane solo quest’anno grazie all’intervento di Distribuzione Indipendente –.
A tradire in parte l’ottima riuscita della pellicola è l’eccessiva passione dell’attore americano nei confronti dell’autore inglese, enfasi che troppo spesso decentra l’attenzione circa “Salomé” e spostandola sulla figura di Wilde: il risultato è l’alternanza di sperimentazione meta-cinematografico/teatrale con momenti puramente didattici – anche se è ben chiaro già dal titolo che lo scopo didattico fosse tra le intenzioni dell’autore –.
Eppure “Wilde Salomè” a fine visione rilascia quella percezione di morte-e-sofferenza che permeava l’opera originaria e che ha permesso di essere ancora oggi riproposta all’attenzione del nostro sguardo indolente.
Antonio Romagnoli
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