L'estate di Gino
di Fabio Martina
con Don Gino Rigoldi
Italia, 2018
genere, docufilm
durata, 80'
Non poteva scegliere momento migliore Fabio Martina per l’uscita del suo ultimo film, presentato in anteprima a Milano a cura della Fondazione Cineteca Italiana e presente presso il Cinema Spazio Oberdan fino al 31 dicembre 2018. L’estate di Gino ha per protagonista Don Gino Rigoldi, il sacerdote milanese che a partire dal 1972 è cappellano dell’Istituto Penale Minorile Beccaria, dove ancora oggi assiste i giovani detenuti nel percorso di recupero e reinserimento nella società civile. La proposta cinematografica di Martina appare tanto più stringente se si considera che nei circa 80 minuti della sua durata lo spettatore si confronta con un’idea del mondo e dell’esistenza umana che è all’opposto di quella oggi imperante nei proclami e nei dibattiti della maggioranza delle forze politiche e in una fetta consistente dell’opinione pubblica. Svincolata da vessilli ideologici e lontana dall’ortodossia degli apparati ufficiali al punto da risultare anomalo persino all’interno della sua “sfera d’elezione”, la figura di Don Gino attraverso la vicinanza agli ospiti dell’istituto restituisce a parole, quali accoglienza e compassione, il significato perduto alla luce di un’azione che invece riporta d’attualità il senso più profondo del messaggio evangelico riassunto dal comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Immergendole nello splendore scenico di Sant’Antioco, in Sardegna, dove si trova la casa famiglia in cui risiedono il sacerdote e i “suoi ragazzi, Martina fa emergere queste suggestioni, associando i vari momenti della vita comunitaria secondo una logica che lascia sullo sfondo la biografia del personaggio e l’eccezionalità dell’operato per concentrarsi sul (qui e ora del) tempo che rimane, quello nel quale c’è speranza di rimediare agli errori commessi. Favorito dall’unità spazio temporale rappresentata dalla vacanza estiva e dalla casa in cui abitano i personaggi, con approccio impressionista il regista si mette in ascolto delle parole e degli stati d’animo dei ragazzi e del loro mentore, talvolta registrandone gli effetti nell’immediatezza del contingente e coinvolgendo lo spettatore a frammenti di vita minuta per cui convivialità e spirito di “corpo” hanno la meglio sui fardelli delle situazioni personali; altre, in cui il film cerca di dare corpo più ai pensieri dei protagonisti che al racconto delle loro giornate, anzitutto attraverso ellissi narrative, quindi per mezzo di correlazioni visive non scontate, tali da indurre lo spettatore a riflettere su ciò che sta vedendo:
come quella in cui lo stacco sullo sguardo di Don Gino, che si si rivolge ai partecipanti prima di iniziare a celebrare la messa, non è seguito, come ci si aspetterebbe, da quello dei ragazzi, bensì dal primo piano di un cesto di frutta in cui ne spicca una andata a male, trasposizione in chiave poetica della missione del prelato; cosi come è altrettanto allusiva la persistenza – all’interno del quadro filmico – dell’acqua e del mare, simboli dell’inconscio per eccellenza che Martina fa entrare in gioco non solo come semplici elementi del paesaggio, ma evocando l’effetto rigeneratore dell’intervallo vacanziero e soprattutto della presenza mite e paziente di Don Gino, vero e proprio padre putativo dei giovani “villeggianti”.
Sensibile all’argomento per aver già affrontato il disagio della condizione giovanile ne L’assoluto presente, – di cui L’estate di Gino potrebbe essere un ideale seguito raccontato però dal punto di vista opposto e quindi dalla parte di chi non possiede nulla se non le proprie colpe -, il film, creando una corrispondenza diretta dell’ambiente naturale e la freschezza intatta dei corpi, appare il giusto risarcimento a una sorte tanto iniqua e un augurio per i giorni a venire.
Carlo Cerofolini
(pubblicato su taxidrivers.it)
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