Se, come avrebbe meritato, Hagazussa fosse uscito nelle sale italiane, evitando di rimanere invisibile ai più, ivi compresi ai cultori del nuovo cinema horror, quello che ha fatto gridare al miracolo con It Follows e soprattutto The Witch, ci si sarebbe accorti che il film di Lukas Feigelfed è capace di scandagliare gli abissi dell'esistenza in maniera ancora più radicale e innovativa dei modelli appena citati. Nel nostro piccolo abbiamo voluto dare testimonianza e in qualche modo affermare l'esistenza d questo gioiello nascosto dapprima azzardandoci in un'analisi rischiosa ma affascinante, diventata poi recensione su queste pagine. Infine, per chiudere il cerchio, siamo riusciti a parlare del film con il diretto interessato. Di seguito le nostre domande e soprattutto le sue risposte.
Buona lettura
Carlo Cerofolini
Cominciamo, Mr. Feigelfeld, da alcuni dettagli di carattere linguistico. Qual è l’origine del termine Hagazussa e l’etimologia del nome proprio Albrun ?
Hagazussa è un parola derivante dal Tedesco arcaico e, con buona approssimazione, può essere resa constrega. In generale, parliamo di un’entità, sorta di dio della Morte uso a prendere, di preferenza, forma femminile e che abita il confine che separa il regno dei vivi da quello dei morti, così come quello tra il mondo degli Uomini e quello della Natura. Il nome Albrun invece è di derivazione nord-germanica e l’ho scelto per la sua somiglianza col vocabolo alp (in inglese: mare), riferito a un particolare demone capace d’irrompere di notte in casa, poggiarsi sul petto del malcapitato e indurlo ad avere degli incubi (in tedesco:alptraum). La seconda parte del nome, run, significa qualcosa come saggio. In tal senso, in Albrun sono conservate entrambe le sfumature, quella inerente l’incubo e l’altra più affine alla saggezza. Mia madre, ad esempio, si chiama Heidrun e, come si vede, anche il suo nome contiene il termine run all’interno.
Dove risiede il nucleo di "Hagazussa" ? Per meglio dire: nei suoi confronti non è possibile limitarsi a parlare di film horror o di dramma, et. D’altro canto, ogni cosa al suo interno sembra alludere a un pericoloso quanto irresistibile ritorno a casa…
Mi sfugge cosa intende esattamente con ritorno a casa. A ogni modo, credo che il film, in conclusione, riesca a trasmettere una sensazione di chiusura del cerchio, di allontanamento definitivo del Male e di riconquista della pace da parte dell’animo di Albrun. Il cuore dell’opera scaturisce dall’idea di ritrarre una strega vera, nel senso di ricreare empaticamente un’immagine di come avrebbe potuto essere a quei tempi. Lei, infatti, è un’emarginata, una miscredente, additata dalla comunità come una strega e per questo maltrattata, anche dalla madre. Fattori esterni, i predetti, che alla fine la inducono a diventare proprio quella strega che tutti si aspettano lei sia. E ciò include le cose terribili che compie, come uccidere la figlia, ad esempio. Fondamentalmente, quello che io intendevo restituire era il tormento interiore di una donna, il lento deteriorarsi della sua mente in tempi in cui il disagio mentale per il senso comune non era altro che un indizio di stregoneria.
Può descrivere le difficoltà affrontate per esprimere appieno questa sorta di gloria negativa che avvolge un lavoro come “Hagazussa” ?
Non sono sicuro di vedervi una gloria negativa, ma provo a spiegarmi. Voglio dire, non cerco di giustificare gli atti che accadono sullo schermo, quanto di riprodurre un rapporto di empatia. I miei ricordi di bambino legati alle montagne e ai boschi rievocano sempre in me la sensazione che in quelle oscurità alberghi una specie di presenza primordiale. Qualcosa che si può insinuare nella mente e distorcere la realtà. Che ciò possa essere inteso come strega o come demone, non è importante. Ciononostante esso è lì, esiste. Secondo me è la forza dominante della Natura che, nella sua essenza, non può essere messa in relazione con la moralità umana. Non c’è il Bene e il Male, c’è solo l’Oscurità e la Luce.
Suoni evocativi, colori seducenti ma minacciosi, una recitazione la limite di una passività piena di sfumature. Come è riuscito a ottenere tutto questo ?
Il mio lavoro è prettamente visuale, cerco cioè di utilizzare l’intero spettro delle possibilità offerto dal Cinema. Ha più peso per me la necessità di creare un’atmosfera, una sensazione emotiva coerente, che la sua riproduzione attraverso il dialogo o schemi drammaturgici. Proprio come la mente di Albrun che, via via, cede alla psicosi, all’alterazione della realtà, volevo che il film si facesse vettore del medesimo processo, fino a raggiungere chi guarda. Spero cioè che “Hagazussa” lavori su differenti livelli, in un modo davvero profondo, simile al sogno, se vogliamo, qualcosa vicina al ricordo di un incubo avuto in passato.
In “Laissez bronzer les cadavres”, del duo Cattet/Forzani, qualcuno dice: “Stare a contatto con la Natura è qualcosa di sovrannaturale”. Un’affermazione del genere può adattarsi ad “Hagazussa” ?
Mi piace questa cosa. Come detto, per quanto mi riguarda, non credo necessariamente in qualcosa di sovrannaturale, perché il dominio della Natura - e per noi umani essere parte di questo (nonostante spesso se ne prendano le distanze, come la religione vuole indurre a credere) - è già abbastanza magico. C’è una scena del film in cui Albrun s’incammina verso la foresta. Avverte qualcosa, fissa lo sguardo nell’oscurità della vegetazione e degli alberi e ne rimane ipnotizzata. Tale momento, per me, sta indicare che non è decisivo stabilire se ci sia qualcosa nell’oscurità: una strega, un demone o altro. E’ la paura dell’ignoto a creare la possibilità che ci sia una strega. Perché lei non sarà più lì quando proverai a cercarla, ma resterà sempre in agguato quando distoglierai lo sguardo.
TFK
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