L'ultimo metro di pellicola
di Elio Sofia
con Daniele Ciprì, Tea Falco
Italia 2017
durata, 72.
Rimasto inosservato alla maggior parte dei non addetti ai lavori il passaggio dalla pellicola al digitale ha segnato il cinema in un modo che per importanza e cambiamenti non ha equivalenti a meno che non si voglia tornare alle radici della sua fondazione e in particolare agli anni in cui l’entrata in campo del sonoro mise fine all’epoca del muto. Una rivoluzione in corso d’opera che per gli aspetti connessi all’adeguamento della catena distributiva incaricata di consentire ai film di arrivare sugli schermi ha compiuto l’atto finale in terra di Sicilia, ultima tra le regioni italiane ad adeguare le sale ai cambiamenti dell’innovazione digitale. Non è quindi un caso che a occuparsi dell’evento e in particolare a raccontare ciò che ha rappresentato la pellicola rispetto ai problemi estetici e produttivi conseguenti al suo impiego sia proprio un regista siciliano, al secolo Elio Sofia, il quale, approfittando di essere nato e cresciuto a Catania e soprattutto di aver frequentato la cosiddetta “Via del cinema” (così veniva chiamata la via Giuseppe De Felice) che per anni è stata il punto di riferimento della filiera cinematografica della penisola, riesce a trasformare la sua ricerca in una sorta di diario sentimentale in cui il materiale di repertorio, i filmati d’epoca e le interviste realizzate a esercenti e personaggi del mondo del cinema (a conferma di come il trapasso in questione sia un fenomeno vissuto più che altro dall’interno) sono non solo il modo per rendere omaggio a un universo in via d’estinzione e a un’artigianalità oramai sopraffatta dalla nuova tecnologia ma anche un viaggio nella memoria di chi è stato protagonista dei fatti e degli aneddoti raccontati.
Due facce delle stessa medaglia che Sofia non si limita a riportare con la filologia documentaria di chi sa come dare coerenza, storica e cronologica, alle diversità dei punti di vista e alla condivisione d’esperienze umane e professionali che i vari interlocutori – dallo spettatore Leo Gullotta al direttore della fotografia Daniele Ciprì, per non dire dei proprietari di sale, di proiezionisti e tecnici specializzati – mettono a disposizione dello spettatore, poiché L’ultimo metro di pellicola, valorizzando la propria natura cinematografica, utilizza immagini e montaggio per costruire un dispositivo in grado di far sentire più che vedere – sembra un paradosso ma non lo è – il misto di ingenuità e meraviglia impresse nella sua narrazione. In questa maniera funziona per esempio l’inserto dal sapore onirico in cui vediamo Tea Falco annegare in un fascio di fotogrammi proiettati sullo schermo, o ancora lo split screen in cui due fotografie perfettamente identiche enfatizzano le premesse della fine attraverso le pizze di celluloide riverse alla rinfusa e pronte per essere portate al macero. Frammenti che di per sé non lascerebbero traccia e che invece nelle mani del giovane regista concorrono a rafforzare il senso di perdita e di nostalgia di quello che potrebbe essere una versione contemporanea del capolavoro di Giuseppe Tornatore (Nuovo cinema paradiso). Differenze di genere a parte L’ultimo metro di pellicola ne possiede quanto meno lo sguardo poetico e il romanticismo.
(pubblicato su taxidrivers.it)
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