High rise
di Bean Wheatley.
con, Tom Hiddleston, Jeremy Irons, Luke Evans, Elisabeth Moss, Sienna Miller, James Purefoy.
UK, 2015
genere,
durata, 115'
"Now we're gonna be face-to-face
And I'll lay right down in my favorite place
And now I wanna be your dog".
- The Stooges -
Una delle qualità più singolari - e inquietanti - di un autore come J.G.Ballard (1930-2009), decisivo per comprende appieno, al di là della sua fiacca e irriflessa assunzione a rango di dato di fatto, ciò che siamo soliti indicare col termine di modernità, è la sua attitudine a prefigurare il futuro o, per meglio dire, ciò-che-non-c'è-ancora, mantenendosi fermamente aderente alle coordinate essenziali della contemporaneità che costituiscono il tessuto della sua indagine, focalizzando l'attenzione sulle zone di frattura del vivere associato, l'emersione conflittuale delle quali alimenta pressante il sospetto di una loro sorta di consequenziale inevitabilità: tensioni nazionali e internazionali; aspettative e timori veicolati/manipolati dalla comunicazione di massa; incoraggiamento incauto (e interessato) alla moltiplicazione perenne del desiderio nella mera declinazione di possesso-per-consumo, estremizzazione radicale, a sua volta, per certi aspetti, del meccanismo punizione/ricompensa; atonia della sensibilità; categorie di bene e male sezionate e sinterizzate fino a raggiungere la compattezza insindacabile di generalizzazioni interscambiabili; sessualità sempre più orientata verso le lande sconosciute di una pornografia estrema scandita allo stesso ritmo della produttività ossessiva dell'ingranaggio capitalistico [peraltro, per esempio e per restare in tema, già efficacemente evocata dalle stranite fantasie di sottomissione (?) cantilenate proprio dagli Stooges, nel caso in I wanna be your dog, poco più di un lustro addietro - il riferimento è al 1969 -]; inesauste tentazioni di controllo mentale su vasta scala, et. Predetti lati oscuri di un quotidiano altresì razionale e come riconciliato dalla sua unanime evidenza, dal suo apparentemente impalpabile sedimentarsi negli strati dei giorni e delle coscienze, secreti dal combinato disposto tra innovazione tecnologica, ridefinizione sistematica delle relazioni tra individui, processi economici di proporzioni via via globali e relative metamorfosi dei modelli culturali, imprimono agli equilibri più intimi della convivenza umana - nota Ballard al volgere dei '70, ossia sul crinale di una delle ultime accelerazioni ordite/subite dalla modernità - torsioni assai poco prevedibili, caratterizzate da strappi non di rado violenti, da polarizzazioni e approdi da cui spesso è doloroso (per non dire tragico o persino impossibile) ritrarsi, tali, per di più, da alterare nel profondo la dimensione psichica, emotiva e comportamentale (lato sensu, percettiva) dell'esistenza del singolo, monade tanto intraprendente, iperconsapevole della propria unicità, quanto isolata in un mondo (a questo punto: appartenente a quale stato di realtà ? Un incubo d'efferatezze prosaiche ? Una Guernica di carne ? Nemmeno questo ? ) che per rapida inerzia va assumendo le fattezze di un esperimento di perfettibilità degenerato in mania patologica, in eventuale avanzata strategica di una colonizzazione graduale ma metodica dell'immaginario. In tal senso e accumulando dati per una mappatura in costante evoluzione, Ballard osserva la modernità con gli occhi e l'applicazione di un avvertito limnologo del Corpo e dell'Io, di un repertatore d'indizi in grado - quest'ultimi - se concatenati in maniera rigorosa, di fornire a chi diffida della presunta persuasività delle parvenze, da un lato, il referto puntuale dell'attualità minuta; dall'altro, controdeduzioni e scorci (poco rassicuranti, in verità) circa gli scenari a venire, molti dei quali, tra l'altro, già privi della centralità della presenza umana: tutto nella forma di un intercalare ricercatamente piano, dalle morbide coordinazioni, compromesso aperto, oltremodo allusivo, tra una qual compassata inesorabilità, un sottile gelo sardonico e un'impassibile naturalezza.
"High rise" (reso da noi come "Il condominio"), romanzo del 1975 - da cui prende le mosse l'omonimo film di B.Wheatley, già artefice di lavori sintonizzati (tra humour nero e spettrografie imperturbabili di orrori che pulsano appena sotto la crosta, sempre meno spessa e meno croccante, dell'ordinario; tra croniche apatie e crudeltà ferine: pensiamo, per dire e per restare a quelle più conosciute, a "Kill list", 2011 e a "Sightseers", 2012) su una lunghezza d'onda d'ampiezza compatibile con quella del regno a venire ballardiano - segue di pochi anni quella mostra delle atrocità che aveva contribuito a far emergere a mo' di voce letteraria scandalosa il magma irrisolto, irriducibilmente antinomico e pressoché sempre abbietto, che alligna a riparo della superficie - chissà quanto casualmente, per converso, sempre più inebriante e accogliente - di un intrico di connessioni (la società contemporanea) e del collettore delle medesime (l'uomo moderno) i quali, in ragione del raggiungimento di un consistente benessere materiale, hanno creduto di poter controllare/rimuovere davvero le pulsioni interiori (il generico irrazionale) per il tramite d'un infinita copia di oggetti riproducibili, ponendo invece le basi di un inedito e paradossale processo di regressione. Nelle pagine (e tra le immagini) da cui si rievocano le sconcertanti vicende intime consumatesi in un avveniristico grattacielo situato in un quadrante di Londra in operosa ristrutturazione [e da cui pure echeggiano, a poco più di mezzo secolo di distanza dalla loro stesura, attualizzati in una compostezza definitiva che è quasi una resa ad un ordine fatale e totalizzante, i già temibili versi dalla sepoltura dei morti interni al corpus della "Terra desolata" di Eliot - Città irreale/sotto la nebbia bruna di un'alba invernale/una folla fluiva sul London Bridge, tanti/ch'io non avrei creduto che morte tanti n'avesse disfatti - in perversa contiguità con i panorami ambigui e le riflessioni insidiose di Ballard: I palazzi e gli uffici del centro di Londra appartenevano ad un altro mondo, nel tempo e nello spazio... Le torri del centro apparivano un po' più distanti, il paesaggio di un pianeta abbandonato che, piano piano, gli usciva di mente... (e il cui) orizzonte somigliava all'encefalogramma disordinato di una crisi mentale irrisolta], è d'immediata chiarezza la sagacia con cui lo scrittore britannico (e, per altri aspetti, Wheatley) analizza l'incipiente modificazione psichica dell'elemento sapiens immerso (perduto ?) nella severa assertività di uno spazio e di un tempo le cui geometrie - tanto affascinanti per levigatezza e accessibilità, quanto scostanti per l'impersonale persistenza delle medesime - vengono senza tregua approssimate ad un canone estremo di purezza dal passo senza incertezze della tecnologia e dall'elusiva malleabilità e permeabilità delle logiche del denaro: Il tempo interiore del grattacielo, come un clima psicologico artificiale, operava con ritmi suoi, generati da una combinazione di alcool e insonnia... ... Un palazzo sospeso che generava da sé i suoi intrighi e distruzioni, un inamovibile punto interrogativo. E anche: Per certi versi il grattacielo era il perfetto modello di tutto ciò che la tecnologia aveva fatto per rendere possibile l'espressione di una psicopatologia autenticamente 'libera'. Conseguenza prima di sollecitazioni così subdole nella loro ingannevole indeterminatezza, nella loro docile reiterazione, come eppure, di fondo, capillari e indefettibili, è lo scivolamento non arginabile nei labirinti di una sinistra deprivazione passionale, primo gradino di una scala che conduce irresistibilmente ad un sistema di rapporti basato sulla predominanza primordiale degli appetiti: Il grattacielo aveva creato una nuova tipologia sociale, una personalità fredda e antiemotiva, insensibile alle pressioni psicologiche della vita di condominio, con esigenze minimali in fatto di privacy e capace di prosperare, come una macchina di nuova generazione, nell'atmosfera neutra.
TFK
- parte prima -
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