The Conjuring - Il caso Enfield
di J ames Wan
con Patrick Wilson, Vera Farmiga, Frances O' Connor
Usa, 2016
genere, horror
durata, 133'
Riuscire nell’intento di rinnovarsi nella serialità cinematografica è evento abbastanza raro, essere contemporaneamente in grado di sperimentare a tal punto da toccare un nuovo apice nella propria carriera quasi impossibile. James Wan, forte del suo periodo di relativo distacco dal cinema dell’orrore – durante il quale ha avuto la possibilità di mettere le mani sull’action e provare cosa significhi affrontare una saga così delicata come quella di Fast & Furious, stravolge l’atmosfera del primo episodio e ne realizza un seguito all’altezza, se non superiore, sfruttando abilmente il cambio continentale di location a proprio favore. Gli anni settanta, il clima londinese ricco in giornate bigie, stanze e strade allagate in acqua e pioggia conferiscono al nuovo The Conjuring un alone tetro e straniante, curiosamente differente dalla fattoria dei Perron, un mondo alternativo in cui muovere le nuove pedine dell’infernale gioco tenuto a freno dai coniugi Warren. Demoni, spiriti maligni e fantasmi dal passato oscuro sono solamente una facciata, intonacata a perfezione e rifinita con stucchi pregevoli, oltreché spaventevole come poche in precedenza, necessaria per autorizzare il visionario talento malese al racconto di una storia d’amore originale nella sua unicità, rendendo i Warren i veri protagonisti della pellicola, molto più che nell’Evocazione primitiva. Dopo un incipit che ci permette di sorvolare velocemente l’abusata storia della maison maledetta di Amityville (contributo notevole a tale argomento è stato dato dal talento italiano Damiano Damiani con la regia del terzo capitolo della saga ad essa dedicata), la camera entra nel vivo della vicenda muovendosi sinuosa lungo le scricchiolanti scalinate, accarezzando i corridoi su cui cammineranno, strisceranno e si contorceranno le giovani attrici - spesso costrette ad una recitazione fisica intensa o sospese a mezz’aria, roteando verso i popolati soffitti, addentrandosi negli inesplorati anfratti fotografati magnificamente da Don Burgess, scendendo a pelo d’acqua prima d’immergervisi, terminando a strapiombo su sporgenze potenzialmente mortali. Wan carrella nella casa mostrandocene ogni angolo, complici una scenografia ricostruita raramente in maniera così funzionale ed una scelta cromatica spiazzante, nuovamente lontana dalle soluzioni visive adottate nel precedente; il regista si sente a casa, circonda i protagonisti di figure demoniache sinistre e grottesche, in grado di suscitare non poco timore (lo spirito “storto”, la suora – già opzionata per un futuro spin-off stile Annabelle) e gioca con gli stereotipi frantumandone la normale consequenzialità, giungendo a creare delle sequenze di climax tensivo uniche nel panorama moderno, in cui l’abilità registica nel manovrare la camera lungo l’esiguità degli spazi rappresentati si miscela con il timore costante di una possibile comparsata malefica dalla tetra magione.
Il buio offusca la felicità della famigliola, già drammaticamente segnata da una mal digerita separazione, impedendo agli stessi ed ai demonologi la corretta interpretazione degli eventi in corso d’opera, rivelando nel reale burattinaio una figura che potrebbe dare del filo da torcere a molti consimili. L’epicità esasperata di pochi attimi ed alcuni dialoghi melensi fuori luogo sono solo piccole sbavature in un opera confezionata con passione, con un occhio rivolto ai grandi maestri del passato ed uno aperto sulle innovazioni tecniche moderne, frutto di un lavoro di riscrittura del genere di notevole importanza e sorretto da attori in parte (menzione particolare va alla giovane protagonista) e da un impegno sul comparto sonoro impari, pareggiato solamente dalla perfetta regia di Wan che, nel secondo capitolo di una delle più remunerative saghe di questo millennio, supera sé stesso, giungendo ad osare e sperimentare come se avesse dinanzi a sé un’opera prima. Passione, tanta passione. Occhio allo zootropio, piccolo omaggio al pre-cinema.
Alessandro Sisti
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