sabato 30 marzo 2019

Analizzando il Trailer di Borderlands 3 " Ecco cosa Abbiamo Scoperto " #Borderlands3





Ok Allacciatevi le Cinture si Parte



Nel primo trailer Presentato da Gearbox di Borderlands 3 vengono subito mostrati i nuovi antagonisti. Conosciamo i loro nomi grazie ad un cartello visibile proprio nei secondi iniziali: il ragazzo con il braccio meccanico che somiglia vagamente a Jack il Bello si chiama Troy e quella al suo fianco è sua sorella gemella Tyreen. Si fanno chiamare i "Calypsos" e sembra che siano al comando di un'organizzazione nota col nome di "Children of the Vault", il cui simbolo è lo stemma della Cripta rovesciato.



L'organizzazione pare avere le caratteristiche di un culto, i cui membri vengono sottoposti al lavaggio del cervello, visto come una sorta di rinascita. Tutti i cartelli propagandistici, realizzati in maniera raffazzonata e confusa, suggeriscono agli adepti di marchiarsi con il simbolo del culto, di trovare uno scopo, di sacrificarsi per un volere più grande e di onorare il padre (su questo importante dettaglio ci torneremo più avanti). 

A confermare il fatto che i Children of the Vault siano una sorta di setta religiosa ci sono delle insegne che fanno riferimento all'"Holy Broadcast", probabilmente una stazione radio con cui i cultisti attraggono nuovi adepti ed espandono così il loro dominio. Quella che sarà sicuramente la fazione antagonista del nuovo capitolo non sembra essere un gruppo militarmente organizzato, quanto piuttosto un conglomerato di pazzoidi uniti tra loro da una fede comune.


Ma i Children of the Vault sono stati già nominati in precedenza, precisamente in Battleborn, dove Gearbox aveva inserito dei riferimenti proprio a Borderlands 3. Nei messaggi si leggeva che l'organizzazione non era più su Pandora ma su Promethea; faceva inoltre dei riferimenti a Tannis (uno dei personaggi dei precedenti capitoli) e concludeva dicendo di non aprire le cripte. Tale indizio ci dà almeno due indicazioni.




La prima è che in Borderlands 3 si visiteranno più pianeti - questo si capisce anche da altri dettagli che poi vi citeremo - tra cui Promethea, e che lo scopo dei Children of the Vault potrebbe proprio essere quello di evitare che le Cripte vengano aperte; questo spiegherebbe peraltro anche il loro simbolo. Quest'ultimo aspetto è comunque poco chiaro, poiché Troy e Tyreen sono palesemente interessati al potere: quel messaggio, dunque, potrebbe celare un secondo fine. Dopotutto è perfettamente plausibile che i gemelli Calypso abbiano creato una pseudo-religione per manipolare i più deboli e utilizzarli per i loro scopi. Scavando un pochettino tra vecchie informazioni trapelate mesi prima dell'annuncio è possibile capire molto sulla coppia di fratelli. Innanzitutto sono due Sirene (o meglio, un "Sireno" e una Sirena) e sono in grado di risucchiare il potere da altri individui. Lo si intuisce osservando una particolare scena, in cui è visibile Lilith (una delle protagoniste del primo Borderlands) che ha perso i suoi tatuaggi da Sirena, mentre sullo sfondo ci sono Troy e Tyreen che si scambiano un gesto compiaciuto. 

Torniamo ora alla frase "onora il padre" visibile su alcuni cartelli: da questa informazione possiamo dedurre che alla base del culto dei Children of the Vault ci sia una figura venerata, probabilmente scomparsa, e di cui i Calypso sono gli emissari. Potrebbe trattarsi di un personaggio inedito, persino inventato di sana pianta. Secondo noi, tuttavia, potrebbe trattarsi proprio di Jack il Bello. E se "padre" non fosse un sostantivo utilizzato per rimarcare la santità della sua figura quanto piuttosto un termine letterale? Jack il Bello potrebbe essere il padre dei Calypso? Ci sono diversi indizi che ci fanno puntare a ciò. Innanzitutto la maschera di Jack compare nel teaser trailer di Borderlands 3 e Randy Pitchford, boss di Gearbox, ha ribadito in maniera piuttosto sospetta che "Jack è morto".




Non credo che sia ancora vivo, eppure la sua figura potrebbe tornare in qualche modo ed essere la fonte d'ispirazione alla base dell'operato dei gemelli e di tutti i Children of the Vault. Per non parlare poi della somiglianza che i Calypso, in particolare Troy, hanno con il presunto genitore: sospetto, non c'è che dire. Rimettendo insieme i pezzi della storia dei primi Borderlands, inoltre, ci ricordiamo che Jack conducesse dei veri e propri esperimenti sulle Sirene (tra cui sua figlia Angel), essendo estremamente ammaliato dal loro potere. Possibile che Jack avesse più figli e che alcuni di questi siano stati soggetti ad esperimenti? Si spiegherebbe in questo modo perché Troy sia una Sirena, nonostante sia un uomo, e forse persino il peculiare potere che i due gemelli sembrano condividere.




I nuovi Cacciatori della Cripta

Un altro importante tassello del trailer di presentazione è relativo ai nuovi Cacciatori della Cripta. Come da tradizione saranno quattro: Soldato, Sirena, Assassino e Beastmaster. Tutti e quattro erano stati svelati piuttosto dettagliatamente già l'anno scorso: il Soldato, o "Bot Jock" come verrà chiamato in gioco, si chiama Moze ed è specializzata nell'utilizzo di un mech soprannominato "Iron Bear". È una classe fortemente pensata in ottica cooperativa, poiché, come visibile chiaramente in uno spezzone del video, uno dei suoi compagni può salire sul mech ed utilizzare una torretta fissa per supportare la squadra.





La Sirena non ha ancora un nome ed alla stregua di Brick del primo Borderlands sarà più efficiente nel combattimento corpo a corpo. Lo si capisce dalla sua fisionomia piuttosto robusta, dalle nocche escoriate delle mani e dalle sue abilità: grazie al suo talento ultimate è in grado di evocare sei braccia spiritiche (che ricordano molto alcune divinità Hindu) che scatena poi contro i nemici anche attraverso poderosi ground pound. Tra le sue capacità si annovera anche un blocco di fase e, probabilmente, una scivolata: potrebbe trattarsi di un'abilità condivisa da tutti gli eroi, eppure nel video abbiamo visto compiere tale gesto solo alla nuova Sirena, è lecito quindi pensare che possa essere una sua esclusiva caratteristica.

L'assassino, che ad un primo sguardo sembra la fusione tra Adam Jensen e Solid Snake di Metal Gear Solid 4, si chiama Zane e verrà conosciuto in game come l'"Operator". È ancora la classe più indecifrabile tra le tre, ma sappiamo che avrà il potere di creare un clone olografico e forse di lanciare un drone di supporto, visibile nel trailer durante le sequenze iniziali. È possibile che Zane non abbia una abilità finale univoca e che anzi sia in grado di sfruttare diversi gadget.
Flak, il Beastmaster robotico, è il personaggio che, secondo i rumor, ha dato più grattacapi a Gearbox. Tra i suoi poteri c'è infatti quello di richiamare delle bestie di supporto - nel trailer se ne vedono tre - che combattono al suo fianco o lo aiutano in altro modo. Tra i quattro è quello che riteniamo più interessante, anche se fino ad ora non abbiamo abbastanza informazioni per giudicare al meglio.








Personaggi e nemici

Come anticipato in apertura, Borderlands 3 sarà un'avventura in famiglia e vedrà il ritorno di tantissime facce note, ma pure di qualche new entry ancora misteriosa. Tornerà Lilith, che rivestirà, a quanto ci pare di capire, un ruolo di primo piano nelle vicende. Con lei molti dei suoi compagni: Brick, che sembra aver sviluppato una passione per il sassofono, Mordecai, perfino Tiny Tina, ormai non molto più "Tiny". Maya ha un nuovo taglio di capelli ed è in compagnia di una ragazzina di cui ancora non sappiamo nulla: si tratta forse di sua sorella minore. Fa il suo ritorno pure la Tannis e la si vede in una scena in cui c'è anche la chiave di una Cripta, la stessa che si può notare nel frangente in cui Lilith perde i suoi poteri. Non mancheranno Sir e Lady Hammerlock, a fianco di quello che sembra essere un componente ancora segreto della famiglia.


C'è Rhys da Tales from the Borderlands, Markus e Moxxi, vista solo di spalle. Ellie e la sua officina, Zer0 e l'immancabile Clap-Trap, a cui saranno sicuramente riservati gli episodi più esilaranti. Dall'altro lato della barricata, e cioè quello dei nemici, è possibile scorgere una serie di conoscenze vecchie e nuove. Gli Psycho saranno come al solito la perfetta carne da cannone, e stavolta saranno presenti anche in versione femminile. Si vedono poi Goliath, Skagg ed altri mostriciattoli inediti, tra i quali c'è una sorta di triceratopo bipede sputafuoco. Si capisce poi molto chiaramente che si combatterà contro la Maliwan ed i suoi sgherri, tra le cui fila ci sono grossi robot e droni. La possibilità di visitare più mondi (ribadita anche dall'utilizzo plurale della parola "world" nei vari slogan) ha permesso insomma a Gearbox di sbizzarrirsi e di creare un bestiario piuttosto vario e strampalato.







Luoghi, mezzi ed armi

Abbiamo ribadito più volte che in Borderlands 3 si potranno visitare più pianeti: Pandora e Promethea saranno sicuramente due di questi. Su Promethea ha sede il culto dei Children of the Vault, dunque potremmo averlo intravisto quando la telecamera indugiava su alcune delle roccaforti dei cultisti. Il suo aspetto sembrerebbe piuttosto simile a Pandora: una wasteland desertica punteggiata da baraccopoli arrugginite.



Le ambientazioni più verdeggianti e paludose potrebbero far parte del terzo mondo visitabile, mentre il quarto, visto solo per pochi istanti, potrebbe essere quello in cui si trovano Maya e la sua presunta sorella. Lo si riconosce facilmente perché mostra delle architetture in stile vagamente orientale, mai viste in nessun altro luogo di Pandora. Il quinto non sembra essere un vero e proprio mondo quanto piuttosto una stazione spaziale: la si ammira di sfuggita in una manciata di frame, con i suoi palazzi svettanti ed illuminati al neon, come fosse una metropoli cyberpunk.

Per quanto riguarda i mezzi di trasporto, sappiamo che ci saranno almeno tre varianti. Una jeep corazzata che lancia barili esplosivi, una sorta di buggy ed una stilosa monowheel per guidatore singolo. I vari frangenti del trailer ci suggeriscono inoltre che la personalizzazione dei mezzi andrà oltre alla semplice verniciatura. Se si osserva bene si può infatti notare la presenza di mezzi molto simili ma con caratteristiche della carrozzeria e delle ruote (tra cui alcune che trasformano l'auto in un hovercraft) molto differenti.

Le armi meritano un discorso più ampio, d'altronde sono la vera e propria spina dorsale di tutti i Borderlands. Saranno sempre tantissime, varie, belle da adocchiare quanto divertenti da adoperare. Nel video se ne vedono moltissime: gatling, SMG, fucili di precisione, pistole e lanciarazzi. Persino fucili d'assalto con un paio di gambe. Non mancano armi a raggi molto curiose e delle grosse mitragliatrici che non siamo ancora riusciti ad identificare totalmente. Tornano anche molte delle marche già presenti negli altri Borderlands, probabilmente con qualche aggiunta particolare.



C'è la Dahl, la Jackobs, la Maliwan, l'Atlas e la Vladof; una bocca da fuoco nello specifico ha poi attratto la nostra attenzione, visto che ricordava vagamente le armi Eridian ed è quindi probabile che anch'esse vedranno il loro ritorno. I fucili di colore rosso e nero sono invece, con tutta probabilità, una tipologia completamente nuova, magari legata proprio ai Child of the Vault (i cui colori sembrano essere proprio il rosso ed il nero). Al di là della quantità di nuove armi, che sembra toccare vette elevatissime, ci siamo soffermati su un particolare che ci ha colpito più di tutti. Se si osservano lentamente i fugaci cambi di scena alla fine del video è possibile adocchiare degli indicatori su alcune degli strumenti di morte, che sembrano indicare il numero di munizioni ancora a disposizione. Non sappiamo bene ancora come interpretare questa informazione, visto che ci pare molto improbabile che Borderlands 3 adotti un'interfaccia sullo stile di Dead Space, piuttosto che una più classica e adatta per il genere.







THE DRUMMER AND THE KEEPER


The Drummer and The Keeper
di Nick Kelly
con Dermot Murphy, Jacob McCarthy
Irlanda, 2017
genere, commedia, drammatico
durata, 92


In un festival che si appresta a cominciare, il film di apertura rappresenta un momento a se stante rispetto al resto del programma. Anche laddove si volesse individuare una continuità tematica presente nelle opere selezionate, il lungometraggio incaricato di inaugurare una manifestazione di solito se ne distacca, avendo lo scopo di introdurre alla visione senza troppo impegno, stimolando l’emotività dello spettatore quel tanto che basta per renderlo pronto all’imminente maratona cinematografica. Da questo punto di vista The Drummer and the Keeper, dell’esordiente Nick Kelly, ha le carte in regola per soddisfare queste premesse, non solo per l’appartenenza a un genere come la commedia, che fa dell’empatia e dell’immediatezza i suoi cavalli di battaglia, ma soprattutto perché nel caso specifico a farla da padrone è uno di quegli argomenti di fronte al quale anche i duri di cuore sono costretti a capitolare.
The Drummer and the Keeper racconta per l’appunto l’amicizia di una “strana coppia” di adolescenti, segnati dalle rispettive condizioni: Gabriel (Dermot Murphy, il Bob Geldof di Bohemian Rhapsody) è infatti un batterista affetto da disturbo bipolare che ne sabota le prospettive di carriera, mentre Christopher, affidato a un istituto riabilitativo, è un diciassettenne colpito dalla sindrome di Asperger. A farli incontrare è una partita di calcio alla quale partecipano per scopi terapeutici; a decidere le sorti del loro rapporto è, invece, come spesso succede in questo genere di film, un’incompatibilità di carattere, destinata ancora una volta a fare da premessa al più inscindibile dei sodalizi amicali.


Titolare della sceneggiatura, Kelly evita di fare dei disturbi di cui soffrono i protagonisti materia per un ritratto sociologico della malattia. Al contrario la diversità di Gabriel e Christopher ben si sposa con il ribellismo tipico dell’età giovanile (resa anche attraverso i pezzi di musica rock suonati dalla band di Gabriel) e con i dubbi e le paure di chi ancora deve trovare il proprio posto nel mondo. Da cui la coerenza di una messinscena che, nella necessità di corrispondere al saliscendi umorale dei protagonisti, fa dell’alternanza dei toni, a volte drammatici, altre leggeri, la misura di una verosimiglianza da romanzo di formazione. Nella sua spudorata spontaneità (vedasi la sequenza che precede i titoli di testa), The Drummer and the Keeper è un film appassionante e gradevole, di quelli che, se fatti a Hollywood, attirerebbero l’attenzione di giornali e televisioni. Per fortuna c’è l’Irish Film Festa a farcene partecipi.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su taxidrivers.it)

  

venerdì 29 marzo 2019

Video: Gearbox ha deciso di tirare la bomba e in diretta dal palco del Pax East 2019 ha annunciato Borderlands 3, tra la gioia dei fan.






Gearbox ha deciso di tirare la bomba e in diretta dal palco del Pax East 2019 ha annunciato Borderlands 3, tra la gioia dei fan.
Come riporta Kotaku, al momento non si sa quando e su quali piattaforme sarà disponibile il gioco, anche se il publisher 2K Games suggerisce che potrebbe arrivare nel prossimo anno fiscale. Borderlands 3 è il quarto capitolo della popolare serie di loot-shooter, che vanta altri due capitoli numerati più Borderlands: The Pre-Sequel. Da come si vede nel video mostrato durante l'evento, il gioco non si discosta molto dai precedenti capitoli (parliamo soprattutto dello stile grafico), e questo è decisamente un bene.


Borderlands: Game of the Year Edition sarà disponibile la prossima settimana







Durante la conferenza PAX East 2019 di Gearbox tenutasi oggi, i creatori di Brothers in Arms hanno annunciato che Borderlands: Game of the Year Edition sarà disponibile su tutte le piattaforme (tranne Switch) a partire dal 3 aprile.
Come riporta Variety, il pacchetto include Borderlands GOTY, un'edizione riveduta e corretta del primo capitolo, pensata per le piattaforme dell'attuale generazione che include nuove devastanti armi, un comparto visivo migliorato, tutti i DLC disponibili e molto altro. Altre migliorie riguardano:
  • Aggiunta una minimappa in stile Borderlands 2
  • Un sistema di inventario migliorato
  • Supporto al programma Shift player rewards
  • Boss battle finale rivisitata
  • La possibilità di personalizzare l'alter ego del giocatore con una miriade di oggetti cosmetici
  • Un set di 6 armi (rinominate) leggendarie



giovedì 28 marzo 2019

Preview: Fratelli nemici - Close Enemies

Fratelli nemici - Close Enemies
di David Oelhoffen
con Matthias Schoenaerts e Reda. Kateb
Francia, Belgio, 2019
genere, thriller, drammatico
durata, 111' 



Appena usciti dalla proiezione di Fratelli nemici - Close Enemies ci si chiede il motivo per cui all'ultimo festival di Venezia - dov'era inserito nel concorso ufficiale - sia stato liquidato in fretta e furia. In confronto alle Crime Story hollywoodiane quella diretta di David Oelhoffen si distingue per verosimiglianza del contesto ambientale e secchezza della direzione attoriale. Evitando la tentazione del resoconto sociologico, stimolato dalle pulsioni di morte della banlieu parigina, il film non si dimentica della spettatore, tenendolo attaccato alle sorti - inique - e al sacrificio senza redazione dei suoi protagonisti, interpretati fino all’ultimo respiro da Matthias Schoenaerts e Reda Kateb.
Carlo Cerofolini

Video: Wolfenstein: Youngblood ( Da prendere assolutamente non fatevelo Scappare )









Il gioco vi catapulterà nella Parigi degli anni ’80 per affrontare la macchina da guerra del Reich nei panni di una delle due figlie gemelle di B.J. Blazkowicz: Jess e Soph. Terrorizzate gli impettiti oppressori insieme a un amico, oppure alleatevi con un compagno gestito dell’IA per annientare i nazisti mentre seguite le tracce di vostro padre, scomparso nel nulla.











A tal proposito è disponibile con il gioco il Buddy Pass. Questo pass permetterà di giocare con un amico, anche se questo non possiede una copia del gioco. Potrete fornire l’esclusivo Buddy Pass incluso nella versione Deluxe Edition del gioco a un amico per volta, permettendogli di scaricare e giocare gratuitamente a Wolfenstein: Youngblood, a patto che giochi insieme al possessore della Deluxe Edition. Gli utenti che utilizzano il Buddy Pass per giocare gratuitamente potranno decidere in qualsiasi momento di acquistare la copia completa del gioco per giocare da soli e online con altri giocatori.








i giochi PS4 Plus di aprile 2019 sono Conan Exiles e The Surge







Sony ha annunciato quali saranno i due giochi che ad aprile andranno a unirsi alla Instant Game Collection riservata agli iscritti al servizio in abbonamento PlayStation Plus.
Si tratta di Conan Exiles e di The Surge.














mercoledì 27 marzo 2019

TRIPLE FRONTIER


Triple Frontier

di J.C. Chandor
con Ben Affleck, Charlie Hunnam e Pedro Pascal
USA, 2019
genere, azione
durata, 125’


Il regista e sceneggiatore J.C. Chandor – visto in precedenza dietro la cinepresa di “Margin Call” con il quale è stato candidato agli oscar nel 2011 per la migliore sceneggiatura – torna sul grande schermo con l’opera d’azione “Triple Frontier”.
Ok, è vero. In attesa di aggiornare il vocabolario del cinema con una definizione ad hoc per internet, tecnicamente questa affermazione potrebbe far storcere il naso a qualcuno trattandosi di un film prodotto e distribuito sulla piattaforma Netflix. Quello che però mette d’accordo tutti è sicuramente il budget della pellicola, con la società di streaming americana che non ha di certo badato a spese per il cast stellare a disposizione del regista: Ben Affleck (servono presentazioni?), Charlie Hunnam (Jacks di “Sons of Anarchy”, Oscar Isaac (“A proposito di Davis”, “Star Wars”, …), Pedro Pascal (l’agente Pena di “Narcos)”… tutti nomi importanti coinvolti in quello che molto probabilmente è il titolo di punta della programmazione di marzo.

Storia ambiziosa, regista giovane ma esperto al tempo stesso (e già notato dall’Academy), super cast e libera fruizione su Netflix: tutti ottimi ingredienti che fanno di “Triple Frontier” un piacevolissimo lungometraggio di azione, intelligente, che punta più sul lato umano (e le relative debolezze) dei personaggi piuttosto che su sparatorie ed esplosione Hollywoodiane.
La trama forse non è delle più originali è vero, ma è la narrazione ancora una volta a far la differenza; i protagonisti per l’occasione sono degli ex commilitoni ora in congedo, stanchi della vita monotona che trascorrono rincorrendo bollette e attirati da un piano apparentemente senza rischi per tornare in azione e arrotondare qualche dollaro.
La missione è “semplice”: derubare - e perché no, uccidere - uno degli uomini più ricchi e ricercati del sud America all’interno della propria casa/cassaforte nel bel mezzo della foresta amazzonica. Le azioni del team innescheranno una serie di eventi le cui conseguenze non sempre sono state preventivate dal piano, mettendo i protagonisti difronte a delle scelte che in qualsiasi caso cambieranno il corso del loro destino.

La pellicola è veloce e gli attori bravi ad immergere lo spettatore all’interno della storia che finisce inevitabilmente per immedesimarsi nei personaggi. In perfetto stile Netflix poi, il film lascia ampio spazio per un sequel che certamente non si farà attendere.
Esperimento riuscito: si può fare cinema d’azione puntando sulla qualità e non solo sull’esplosivo.
Lorenzo Governatori

martedì 26 marzo 2019

LA CONSEGUENZA



La conseguenza
con Keira Knightley, Alexander Skarsgård, Jason Clarke
USA, Gran Bretagna, 2019
genere: drammatico, guerra, sentimentale
durata, 108’


E’ Keira Knightley la protagonista de “La conseguenza”, nuovo film di James Kent.
Ambientato quattro mesi dopo la seconda guerra mondiale, il film si apre con i coniugi Morgan che si trasferiscono in Germania. Fin dal primo istante si percepisce che qualcosa nel loro rapporto non sembra funzionare, ma il regista lascia solo intendere ciò senza dare spiegazioni, almeno per il momento. Visto il prestigio e considerata la carica che Lewis Morgan ricopre, in quanto alto comandante dell’esercito inglese, gli viene affidata una dimora di gran lusso: quella appartenuta a Stefan Lubert, un architetto tedesco che, a causa della sconfitta della Germania in guerra, adesso è costretto a vivere lavorando come operaio. Nonostante ciò Lewis decide di essere clemente e invita il vecchio proprietario della casa a vivere con loro sotto lo stesso tetto. Una decisione che non piacerà a Rachael Morgan, ma con la quale dovrà coesistere e che porterà alla prima fatidica conseguenza alla quale accenna il titolo. A questa si somma anche il comportamento di Freda, la figlia di Lubert, orfana di madre, che non accetta l’esproprio da parte della famiglia inglese e che, proprio per questo, prende delle decisioni delle quali sarà poi costretta a pentirsi.
Un film forse fin troppo prevedibile nelle varie decisioni dei personaggi, ma che, nonostante ciò, funziona e arriva dritto a colpire lo spettatore. Gran parte del merito va, sicuramente, alle interpretazioni molto efficaci dei tre protagonisti che vengono fatti alternare saggiamente sulla scena.
Oltre alle prove attoriali, un altro elemento interessante è l’attenzione che Kent riserva alle ambientazioni, specialmente agli interni lussuosi di villa Lubert. Il pianoforte, posto al centro della sala, ad esempio, rappresenta una parte integrante della vicenda, dal momento che, oltre che scenograficamente, è importante anche dal punto di vista dalla trama poiché funge da collante in più di una situazione. Anzi, sembra addirittura essere l’elemento che, legando alcune situazioni, fa scaturire più di una conseguenza. Al lusso sfrenato dell’ambiente interno si contrappongono, però, le macerie di una Germania distrutta, in tutto e per tutto, dalla guerra, ma che cerca comunque di rialzarsi e che, per una volta, non appare come il male assoluto, ma, anzi, sembra essere qualcosa da salvare.

Il ritmo, perfettamente bilanciato tra prevedibilità e suspense, contribuisce ad alimentare l’interesse del pubblico che, nonostante sappia, per gran parte, cosa aspettarsi dalla vicenda, si preoccupa, così come fanno i personaggi.
Alla fine, quindi, non si tratta solo di un dramma legato al periodo storico, ma anche di una storia d’amore che va al di là di ogni barriera, fisica, morale, sociale e che pone degli interrogativi interessanti allo spettatore facendolo riflettere sul fatto che ogni azione e ogni pensiero, sia esso positivo o negativo, porta inevitabilmente a una conseguenza.
Veronica Ranocchi

Complimenti Sony avete iniziato Proprio bene con State of Play con 8.500 dislike in Continua Crescita 👎






Come saprete, ieri sera è andato in onda il primo episodio di State of Play, l'evento livestream di Sony dove erano attesi annunci, date di uscita e novità riguardo nuovi giochi PS4 e PS VR.
I fan attendevano la trasmissione con trepidazione ma, a quanto pare, c'è stato poco o nulla di quello che si aspettavano. Le grandi esclusive sono state assenti, quindi nessuna novità su The Last of Us Part 2, Death Stranding o Ghost of Tsushima e, sul fronte VR, solo Iron Man VR ha attirato l'attenzione.
I giocatori hanno criticato l'evento che su YouTube ha collezionato oltre 8.500 dislike.

domenica 24 marzo 2019

LA FOTO DELLA SETTIMANA

Un sapore di ruggine e ossa di Jacques Audiard (Belgio, Francia 2012)

INVISIBILI: BOKEH


Bokeh
di, Geoffrey Orthswein, Andrew Sullivan
con, Matt O’Leary, Maika Monroe, Arnar Jónsson
USA 2017 
genere, drammatico, fantascienza
durata, 93’




The sun shines out our behinds
No, it’s not like any other love
This one is different because it’s us
- The Smiths -


Se, oggi come oggi, il punto non è - come ci è stato accortamente suggerito - cosa possiamo fare noi con la Tecnica, bensì cosa la Tecnica può fare di noi - dove si arriverebbe, allargando in via ulteriore i confini di questo assunto già radicale, qualora dovessimo prendere in considerazione l’ipotesi di interrogarci circa il nostro stesso destino su un pianeta che ci vede unici esponenti del genere sapiens ? E’ l’esatto dilemma che in parte provano a sciogliere Riley/O’Leary e Jenai/(la Monroe di “The 5th wave” e “It follows”) al momento di fare la sconcertante scoperta di essere letteralmente e irrimediabilmente soli al mondo. 

Giunti a suo tempo in Islanda per una settimana di vacanza, i due dapprima si dedicano alla routine turistica che accomuna qualunque coppia di giovani innamorati. A dire: visitano cittadine, partecipano a escursioni, saggiano le celebri piscine alimentate da sorgenti calde, osservano stupefatti le meraviglie naturali di lande ancora in grado di emettere una vibrazione primordiale, cenano in ristoranti caratteristici, fanno acquisti, scattano molte fotografie (Riley è un professionista del ramo, uno di quelli che preferisce utilizzare apparecchi pre-digitali)… Sennonché alle 03,24 di una notte che l’estate artica fa somigliare a un eterno pomeriggio Jenai si sveglia, sbircia dalla finestra e per qualche secondo vede un muto bagliore stendersi all’orizzonte. Perplessa, più che turbata, torna a dormire. Il giorno seguente, insieme a un Riley che pare ignaro dell’accaduto, è pronta per un nuovo giro di giostra ma, in città, non c’è anima viva. L’iniziale apprensione diventa ansia e quindi angoscia quando i notiziari spariscono dai palinsesti per oscurarsi assieme agli altri programmi, nessuno risponde alle chiamate via telefono, dalla Rete rimbalzano immagini di luoghi silenziosi e deserti. 

In un contesto che, almeno all’inizio, l’inerzia tecnologica mantiene in funzione come una sorta di gigantesco motore al minimo, cosa fare, allora ? Riley possibilista e più incline ad adattarsi via via volge l’ovvio smarrimento in un ingenuo seppur cauto ottimismo, l’intento quello di cercare il modo più indolore per ricominciare, bene o male, a vivere. Jenai, combattuta tra ambivalenti spinte interiori e non rassegnandosi mai del tutto all’impossibilità di fare ritorno a casa, prende a dare sfogo a crucci spirituali inerenti la volontà divina la quale, e nello specifico attraverso il sovvertimento di ogni parametro esistenziale, avrebbe sottoposto lei e il suo compagno a una fatidica prova. In mezzo, la desolazione, talmente totale, unanime e onnicomprensiva da fornire presto il destro all’unica euforia concessa all’animale umano moderno, quella da esercitare sugli oggetti, meglio ancora se in forma gratuita e indiscriminata. Ecco, allora, spoliazioni sfrenate nei supermercati e nei centri commerciali; abiti indossati e rubati solo per il brivido di poterlo fare impunemente; colazioni e pasti consumati in esercizi di cui si sa essere gli unici avventori; automobili a disposizione ai lati di ogni strada; appartamenti da visitare (e abitare) assecondando l’estro del momento, all’interno di scorci urbani mai così incongrui e indifesi, et… a sovrapporre la trepidazione deferente e la sudditanza irriflessa della contemporaneità verso il moloch delle Merci a una reminiscenza giocosamente ludico-dissipativa tipica, per dire, delle teen comedy anni ’80. Aspetto in quanto tale di scarso rilievo, il predetto, se non risaltasse, per contrasto e non isolatamente, entro un tessuto drammaturgico per lo più improntato - nonostante le sottolineature e le diversioni imposte da una colonna sonora tanto insinuante quanto, a volte, fin troppo evocativa - alla registrazione, sovente puntuale (in particolare quando è affidata all’amarezza disarmata di uno sguardo o a un gesto accolto o frainteso), del disgregarsi progressivo del legame tra Riley e Jenai, della difficoltà destinata a farsi insormontabile e a stagnare poi nel disgusto e nel rimpianto, di rimettere a fuoco (il bokeh del titolo allude appunto alle sezioni fuori fuoco di un’immagine fotografica) le coordinate fisiche ed emotive di un rapporto le cui risonanze esulano dai rispettivi universi personali proprio in ragione del fatto di abbracciare per intero, date le circostanze, i presupposti fondamentali e l’eventuale nuovo senso da cementare intorno a vite che, private di qualunque termine di paragone compatibile, necessitano di una vera e propria riformulazione ontologica (non viene mostrato a integrazione della fugace visione iniziale di Jenai alcun elemento tale da inquadrare la corrente fine-dei-tempi in un ambito razionale, scientifico o metafisico), in un sistematico ribaltamento delle prospettive per cui, quando a prevalere - ossia, di nuovo, a stare a fuoco - è, mettiamo, la fiducia quasi adolescenziale di Riley o la sempre più cupa nostalgia di Jenai o, anche, l’attrito come somma difettosa dell’incontro fra tali opposte istanze, il paesaggio materiale (teniamo a mente che parliamo dell’Islanda, terra eternamente vergine appunto perché scrigno di forze originarie che ne rimodellano senza posa la fisionomia) retrocede a fondale occasionale, se non a quinta cartolinesca; parimenti, quando la magnificenza della Natura s’impone allo sguardo, davvero l’impressione è quella di spiare un pianeta appena stabilizzato in cui la presenza umana non è contemplata e probabilmente nemmeno necessaria, a testimonianza di un equilibrio tra Uomo e Mondo che con umiltà e dedizione deve essere ricostruito da zero, se lo scopo è quello di ritagliarsi una possibilità autentica di sopravvivenza.

Il tentativo della coppia Orthswein e Sullivan si concentra quindi - a partire da un canovaccio narrativo assai frequentato, tanto da costituire oramai quasi un genere a sé - nello sforzo di imprimere al film un respiro sia meditativo che vagamente trascendentale (impronta, questa, che funziona meno all’interno di una struttura di suo già piuttosto caratterizzata, come vieppiù appesantita dalla liminare e sporadica apparizione di un terzo interlocutore - Nils/Jónsson - incaricato di diluire la malinconia inquieta del racconto con scampoli di sentenzioso fatalismo), un passo a tratti cerebrale e anti-spettacolare che dia conto tanto dei mai pacificati fantasmi millenaristici a spasso nello sfinito subconscio di massa, quanto dei confini comuni a ogni sentimento passionale che presume di tarare solo sulla propria esclusività la fondatezza di una adesione armonica alla realtà. L’esito è, come accennato, un insieme di suggestioni (forse) fatalmente contraddittorie, eppure talora felici e non di rado invitanti dal punto di vista strettamente visuale, in specie quando a muoverle è l’impazienza dei corpi - la parziale o totale nudità come liberazione estrema ma, ahimè, tardiva - che sembra scalfire la millenaria indifferenza dell’azzurro e delle pietre; o l’abbandono nervoso che il vento esige e a cui la malìa sovrumana dei rari fiori invita, per accordarsi al “battito cardiaco del mondo”, prima che il solito, velenoso impasto di irresolutezza e recriminazioni trasformi la magia di istanti promettenti nel rammarico per un futuro passato.
TFK

RICORDI?


Ricordi?
di Valerio Mieli
con Luca Marinelli, Linda Caridi, Giovanni Anzaldo
Italia, Francia 2019
genere, drammatico
durata, 106'



Il tempo è l'elemento portante del cinema di Valerio Mieli. Lo si vede innanzitutto dalla cadenza delle sue produzioni, distanziate una ("Dieci inverni", 2009) dall'altra ("Ricordi?", 2018) di circa nove anni. E poi dalle caratteristiche delle storie narrate: la prima, nella quale la possibilità di essere una coppia da parte di Camilla e Silvestro viene testata con cadenza stagionale secondo le indicazioni del titolo, l'altra, anch'essa relativa alle difficoltà sentimentali di una giovane coppia, costruita a specchio della precedente, con la rilettura a ritroso di esperienze richiamate alla memoria da chi ne è stato protagonista. 

Simile per umori, contesto e presenza umana "Ricordi?", a differenza del film d'esordio, non è articolato su una progressione narrativa riconoscibile e lineare, ma costruisce la propria specificità su una logica che risponde esclusivamente al tempo interiore dei personaggi, convinti che nella rievocazione dei loro trascorsi sia possibile trovare risposta ai problemi del presente. Se una cosa del genere è tutt'altro che nuova nel nostro cinema, e basterebbe ricordare "Un amore" di Gianluca Maria Tavarelli per non avere esitazioni nello scriverne, è però vero che nella regia di Mieli il testo subisce una trasfigurazione che lo fa essere altro: sullo schermo a manifestarsi non è la vita reale della coppia, ma piuttosto quella (ideale) derivata dal collage di immagini che Mieli raccoglie, unificando i vari piani temporali e procedendo nella direzione suggerita dal mood dei protagonisti. Se, in altri casi, soluzioni di questo tipo consentivano comunque allo spettatore di ordinare gli eventi, in "Ricordi?", specialmente nella prima parte, Mieli sottrae a chi guarda ogni riferimento esterno alla coppia, costringendo lo spettatore a lasciarsi andare e, dunque, a perdersi all'interno del flusso di coscienza. 


In realtà ciò che interessa in un film come questo non è tanto la concatenazione dei fatti, ridotti al minimo indispensabile e comunque non così articolati per impedire alla trama di trasformarsi nel diario intimo della coppia, quanto piuttosto la presenza del pathos necessario a farci vivere l'esperienza dei personaggi. Per raggiungere lo scopo Mieli lavora sulla forma del film, in special modo su quella delle immagini: da una parte, facendo degli amanti l'unico punto di riferimento dell'intreccio, ricettori o emissari dell'intera gamma sentimentale, e per questo cartina di tornasole per capire la direzione che sta prendendo la storia; dall'altra, sfoderando un linguaggio complesso, nel quale i primi piani ravvicinati non escludono aperture e profondità di campo ottenute con un posizionamento della mdp - dall'alto, dal basso e sott'acqua - che spezzano l'unità del paesaggio naturale, rimandandoci a quello mentale dei protagonisti. Senza considerare inoltre le contaminazioni con il cinema di maestri come Bergman (ripreso quando si tratta di mostrare nella medesima scena il personaggio di Marinelli che osserva se stesso bambino) e del Malick di "The Tree of Life" (si pensi all'espediente di non far sentire l'audio delle conversazioni e per l'accavallamento di suoni appartenenti ad altra scena) presenti in alcune sequenze di ambientazione famigliare dove sembra farsi largo il tema del Paradiso perduto, e cioè dell'attimo in cui il seme della discordia spezza l'armonia del sodalizio familiare, condannandolo ad eterna infelicità. 

Ma le ambizioni del film non si fermano qui poiché ad alzare la posta in palio è la corrispondenza tra il sottotesto narrativo volto a teorizzare le possibili funzioni svolte dai ricordi ("Il ricordo mente - dice lui - abbellisce le cose che così come sono sarebbero insostenibili per un essere umano"; mentre per lei: "Sono già belle da sole e non hanno bisogno di alcun intervento da parte della memoria") e la disponibilità dei personaggi a verificare sul campo la validità o meno delle varie ipotesi. Inserito nelle Giornate degli autori, "Ricordi?" si avvale delle belle interpretazioni di Luca Marinelli, ancora una volta nel ruolo di bello e tormentato, e soprattutto di Linda Caridi, disinvolta quanto basta per affrontare un personaggio sospeso tra cielo e terra.
Carlo C

Il tempo è l'elemento portante del cinema di Valerio Mieli. Lo si vede innanzitutto dalla cadenza delle sue produzioni, distanziate una ("Dieci inverni", 2009) dall'altra ("Ricordi?", 2018) di circa nove anni. E poi dalle caratteristiche delle storie narrate: la prima, nella quale la possibilità di essere una coppia da parte di Camilla e Silvestro viene testata con cadenza stagionale secondo le indicazioni del titolo, l'altra, anch'essa relativa alle difficoltà sentimentali di una giovane coppia, costruita a specchio della precedente, con la rilettura a ritroso di esperienze richiamate alla memoria da chi ne è stato protagonista. 

Simile per umori, contesto e presenza umana "Ricordi?", a differenza del film d'esordio, non è articolato su una progressione narrativa riconoscibile e lineare, ma costruisce la propria specificità su una logica che risponde esclusivamente al tempo interiore dei personaggi, convinti che nella rievocazione dei loro trascorsi sia possibile trovare risposta ai problemi del presente. Se una cosa del genere è tutt'altro che nuova nel nostro cinema, e basterebbe ricordare "Un amore" di Gianluca Maria Tavarelli per non avere esitazioni nello scriverne, è però vero che nella regia di Mieli il testo subisce una trasfigurazione che lo fa essere altro: sullo schermo a manifestarsi non è la vita reale della coppia, ma piuttosto quella (ideale) derivata dal collage di immagini che Mieli raccoglie, unificando i vari piani temporali e procedendo nella direzione suggerita dal mood dei protagonisti. Se, in altri casi, soluzioni di questo tipo consentivano comunque allo spettatore di ordinare gli eventi, in "Ricordi?", specialmente nella prima parte, Mieli sottrae a chi guarda ogni riferimento esterno alla coppia, costringendo lo spettatore a lasciarsi andare e, dunque, a perdersi all'interno del flusso di coscienza. 

In realtà ciò che interessa in un film come questo non è tanto la concatenazione dei fatti, ridotti al minimo indispensabile e comunque non così articolati per impedire alla trama di trasformarsi nel diario intimo della coppia, quanto piuttosto la presenza del pathos necessario a farci vivere l'esperienza dei personaggi. Per raggiungere lo scopo Mieli lavora sulla forma del film, in special modo su quella delle immagini: da una parte, facendo degli amanti l'unico punto di riferimento dell'intreccio, ricettori o emissari dell'intera gamma sentimentale, e per questo cartina di tornasole per capire la direzione che sta prendendo la storia; dall'altra, sfoderando un linguaggio complesso, nel quale i primi piani ravvicinati non escludono aperture e profondità di campo ottenute con un posizionamento della mdp - dall'alto, dal basso e sott'acqua - che spezzano l'unità del paesaggio naturale, rimandandoci a quello mentale dei protagonisti. Senza considerare inoltre le contaminazioni con il cinema di maestri come Bergman (ripreso quando si tratta di mostrare nella medesima scena il personaggio di Marinelli che osserva se stesso bambino) e del Malick di "The Tree of Life" (si pensi all'espediente di non far sentire l'audio delle conversazioni e per l'accavallamento di suoni appartenenti ad altra scena) presenti in alcune sequenze di ambientazione famigliare dove sembra farsi largo il tema del Paradiso perduto, e cioè dell'attimo in cui il seme della discordia spezza l'armonia del sodalizio familiare, condannandolo ad eterna infelicità. 

Ma le ambizioni del film non si fermano qui poiché ad alzare la posta in palio è la corrispondenza tra il sottotesto narrativo volto a teorizzare le possibili funzioni svolte dai ricordi ("Il ricordo mente - dice lui - abbellisce le cose che così come sono sarebbero insostenibili per un essere umano"; mentre per lei: "Sono già belle da sole e non hanno bisogno di alcun intervento da parte della memoria") e la disponibilità dei personaggi a verificare sul campo la validità o meno delle varie ipotesi. Inserito nelle Giornate degli autori, "Ricordi?" si avvale delle belle interpretazioni di Luca Marinelli, ancora una volta nel ruolo di bello e tormentato, e soprattutto di Linda Caridi, disinvolta quanto basta per affrontare un personaggio sospeso tra cielo e terra.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)