domenica 1 aprile 2018

TONYA

I, Tonya 
di Craig Gillespie
con Margot Robbie, Sebastian Stan, Allison Janney
USA, 2017
genere, biografico
durata: 121’


Tonya Harding non ha avuto un'infanzia facile e le cose non le sono andate meglio crescendo. Eppure, sebbene sofferente d'asma e forte fumatrice, da sempre e per sempre poco amata dai giudici di gara, che non la ritenevano all'altezza di un modello da proporre, la Harding è stata una grande pattinatrice, la seconda donna ad eseguire un triplo axel in una competizione ufficiale, tanto che il film di Gillespie, che racconta la sua ascesa e la sua caduta, ripercorrendo la sua biografia dai 4 ai 44 anni, ha dovuto supplire con effetti speciali, non trovando nessuna controfigura disposta o capace di farlo.
Il cartello che apre il film avverte che è stato "tratto da interviste assolutamente vere, totalmente contraddittorie e prive di qualsiasi ironia con Tonya Harding e Jeff Gillooly", ma quel che segue è un film in cui ironia e verità, in dosi massicce, sono in perfetta sintonia per tutta la durata. In effetti, Tonya, la madre LaVona, interpretata da una straordinaria Allison Janney, il marito Jeff e il suo sodale Shawn sono personaggi da commedia. 
I due uomini, in particolare, sembrano usciti da un saggio sulla stupidità umana: persone che causano danni ad altri senza realizzare alcun vantaggio, anzi subendo perdite gravissime, di cui Gillespie restituisce sullo schermo l'assurdità e la pericolosità, forte del buon copione di Steven Rogers, ma soprattutto di un materiale di partenza, ampiamente presente nell'archivio audivisivo contemporaneo di YouTube, che oscilla tra farsa e dramma.

È chiaro che, più che a rendere giustizia alla Harding, bistrattata per una vita da tutti, media compresi, per la nota aggressione alla rivale Nancy Kerrigan prima delle Olimpiadi del '94, il film punta dritto all'Oscar e lo fa perseguendo due modalità rodate e vincenti: la performance di Margot Robbie, che s'imbruttisce e dà il meglio di sé nel rendere il temperamento focoso e psicolabile della giovanissima protagonista, e la volontà esplicita di fare dell'immagine di Tonya quello che il suo primato nello sport non è riuscito a fare, ovvero una rappresentazione dell'America, della sua sete di eroi e di colpevoli, di successo e omologazione. 
Il lato migliore del film è proprio in quel ritratto di outsider, reale e problematica, che dava fastidio per la sua sola esistenza. In un tempo come il nostro, in cui il cinema non fa che dire che occorre avere il coraggio di essere se stessi e inseguire il proprio talento, “I, Tonya” racconta una donna diversa, consapevole di esserlo, a cui l'America ha sbattuto violentemente la porta in faccia.
Riccardo Supino

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