Il giovane Karl Marx
di Raoul Peck
con August Diehl, Vicky Krieps, Stefan Konarske
Germania, Francia, Belgio, 2018
genere, biografico
durata, 112'
Nel mare magno dei titoli dedicati a uno dei filoni più popolari e frequentati degli ultimi anni, il biopic sulla vita e le opere di Karl Marx si distingue per il fatto di nascere sulla scia di un’urgenza altrove irreperibile. Se, infatti, operazioni di questo calibro nascono dalla volontà di assecondare i gusti del pubblico, in vista del successivo tornaconto assicurato dagli incassi al botteghino, al contrario e in analogia alle tematiche affrontate nel contesto della vicenda, Il giovane Karl Marx poteva contare sulla presenza di due artisti che hanno fatto del loro cinema uno strumento di lotta e di denuncia in favore delle classi disagiate. Stiamo parlando di Robert Guédiguian, qui in veste di produttore, la cui filmografia dal punto di vista ideologico e delle scelte di campo ha poco da invidiare a quella del rosso Ken Loach, e soprattutto di Raoul Peck, da sempre in prima linea, e non solo nel cinema (I’m not Your Negro) nelle battaglie per l’affermazione dei diritti delle minoranze. Questo per dire come le figure di Karl Marx e dell’amico e collega Friedrich Engels, sebbene inquadrate all’interno di una convenzionalità – psicologica e storiografica – derivata dalle prerogative tipiche del genere, potessero comunque contare sulla personalità di cineasti capaci di condividerne la visione del mondo e, perciò, predisposti a non tradirne l’essenza del pensiero.
Detto che il film si concentra sugli anni giovanili del protagonista, quelli che vedono Marx scendere in campo in favore del proletariato, umiliato e offeso dalle trasformazioni imposte ai lavoratori dalla cosiddetta rivoluzione industriale e, che, sul versante della produzione saggistico filosofica a essere prese in considerazione sono le tappe necessarie, di lì a qualche anno, alla scrittura del manifesto del partito comunista, Il giovane Karl Marx si mantiene lontano dall’essere una ricostruzione scientifica del pensiero marxista, per il quale sarebbero stati necessari ben altro scenario e soprattutto una forma cinematografica più speculativa di quella scelta dal regista per il suo film. Cosciente di trovarsi di fronte a uno dei numi tutelare della storia moderna e contemporanea, Peck decide di restituirlo attraverso una visione più ideale che reale. Ciò non vuol dire che gli episodi menzionati dal film non corrispondano al vero, né che i personaggi di Marx ed Engels risultino defraudati della loro valore nella versione che di loro ne danno rispettivamente August Diehl (conosciuto per il suo ruolo in Bastardi senza gloria) e Stefan Konarske. Al contrario, si vuole sottolineare la peculiarità della lettura operata da Peck nei confronti di una materia biografica che, nelle sue mani, assume le forme di un romanzo di gioventù, nel quale la problematicità del reale e le soluzioni teorizzate per superarne le contraddizioni vanno di pari passo con l’apprendistato esistenziale dei personaggi, chiamati a mettersi in gioco e ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni di fronte all’amore e all’amicizia delle persone che gli stanno accanto.
Sotto questo profilo Il giovane Karl Marx risulta addirittura accattivante per come riesce a conciliare l’importanza dei contenuti con una retorica che, laddove presente, finisce per pesare non tanto sulle parole e sugli atteggiamenti dei personaggi, il più delle volte salvati dall’empatia offerta dagli attori chiamati ad interpretarli (tra i quali ritroviamo quella Vicky Krieps appena apprezzata ne Il filo nascosto), quanto piuttosto sulla qualità delle immagini, troppo aggiustate e composte quando si tratta di lasciare i tavoli di studio e i salotti intellettuali per calarsi nell’inferno del lavoro sotto pagato. Ciò nonostante la visione del film è tutt’altro che sconsigliata.
(pubblicata su taxidrivers.it)
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