sabato 28 aprile 2018

INTERRUPTION


"Non solo questo governo ma tutti i governi
che sono stati in carica durante gli anni della crisi,
hanno dato false speranze alla gente...
I greci hanno votato Syriza perché erano disperati. 
Un popolo disperato non è mai lucido"
(Petros Markaris,  dal Fatto quotidiano del 22 Aprile 2018)



Nell'ambito della crisi finanziaria che ha colpito il mondo occidentale, quella che ha messo in ginocchio la Grecia ha assunto nel corso del tempo significati diversi e capaci di tirare in ballo gli aspetti più ancestrali della sua cultura. In particolare, se teniamo conto della sovrapposizione esistente tra la difesa della propria identità con quella dei confini territoriali, tipica del popolo ellenico, non si fatica a capire quale sia stata la portata dell'impatto causato dall'esplosione incontrollata del debito di questo paese. Chiamati a confrontarsi con la matematica inesorabile del PIL, vero e proprio braccio armato del capitalismo moderno, i discendenti di Pericle e Leonida hanno assistito impotenti (seppur in parte complici) all'espropriazione stessa della propria sovranità, concretizzatasi in un saccheggio materiale e morale delle prerogative che identificano l'esistenza di uno Stato in quanto tale. In altre parole, si potrebbe dire che laddove non è riuscita la satrapia persiana, ha avuto buon gioco la ragionieristica burocrazia europea, gettando nello sgomento ampie fasce di comuni cittadini, destinatari ultimi dell'apocalisse in corso.

Il cinema dal canto suo non è rimasto indifferente a questa che è una della tante declinazioni assunte dal tramonto dell'Occidente, regalandoci attraverso film - nello specifico - di registi come Lanthimos, Avranas e di Konstantatos visioni in grado di registrare l'abisso del reale attraverso storie centrate in primis sulla progressiva dissoluzione dell'istituto famigliare. A essere declinata in questo senso è stata la tragedia greca (nella costante che vede genitori uccidere i propri figli) attraverso trasposizioni in chiave moderna delle opere dei vari maestri della drammaturgia classica. Da questo punto di vista, "Interruption" di Yorgos Zois si presenta come una novità poiché, nonostante l'irruzione di un gruppo di sconosciuti nel teatro in cui si sta rappresentando "L'Orestea", con successivo stravolgimento della messa in scena (da quel punto in poi diretta dai presunti terroristi e interpretata da alcuni esponenti del pubblico), il film non teme di raccontarne l'evoluzione su un proscenio ma, soprattutto. il suo imporsi per il tramite degli elementi fondanti del pensiero filosofico e poetico appartenente alla tradizione. Se, infatti, il nucleo drammaturgico della pellicola ruota attorno al duplice stupore dello spettatore in sala, da un lato, e di quello che nel contesto della vicenda ne contempla la rappresentazione, dall'altro, di fronte agli improvvisi cambi di prospettiva e persino alle morti - vere o presunte non importa - degli attori, a inverarlo è l'atteggiamento assunto dai personaggi rispetto al senso delle parole scritte da Eschilo oltre duemila anni fa. Sorvolando sull'ovvia modernità del messaggio tramandatoci, "Interruption" pone al centro della sua dialettica il rapporto tra finzione e realtà, collegando la dissoluzione del regno di Argo con quello dell'odierna polis greca.


Sul piano stilistico, si nota una corrispondenza ancora più marcata tra una messinscena essenziale, quasi metafisica (il palco è immerso nel buio e al centro prevede una struttura cubica in vetro) e gli stilemi espressivi (analogie ricercate, immagini evocative e anti-realistiche) dell'opera eschilea, in un quadro generale in cui, a differenza di come si potrebbe pensare, è il Teatro a mettersi a disposizione del Cinema e non viceversa, dando vita a uno spettacolo per certi versi ostico quando si tratta di cogliere tutte le implicazioni presenti nel testo originale, quanto affascinante per il coraggio e la costanza con cui il regista persegue il suo obiettivo, vale a dire quello di mostrare la vertigine che procura la messa in discussione del confine che divide la regola dalla sua trasgressione. Ambizione ribadita nel sotto finale ambientato in una sala da ballo, in cui la presenza di personaggi deceduti anzitempo all'interno del teatro e la similitudine con cui viene organizzata la successione delle danze (anche qui a scandire le azioni è un uomo che dà ordini tramite un microfono) assolvono allo stesso tempo a funzione catartica pur non smarrendo un'ambiguità di fondo, quella propria di Eschilo, a dire una sostanziale impossibilità da parte dell'agire umano di sottrarsi al ripetersi delle cose. Se tale scena può essere anteposta (come lo spettatore avrà modo di constatare) ai fatti raccontati, contestualmente, la stessa, potrebbe segnalare il ripresentarsi della medesima situazione. A riprova di quanto affermato dall'autore eleusino.
Carlo Cerofolini
(pubblicato per ondacinema.it)

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