Il vegetale
di Gennrao Nunziante
con Fabio Rovazzi, Ninni Bruschetta, Luca Zingaretti
Italia, 2017
genere commedia
Anche se il suo nome è passato in secondo piano rispetto a quello del divo Zalone, è opportuno ricordare che parlare di un film di Gennaro Nunziante significa porsi di fronte al lavoro del regista più vincente degli ultimi anni, un tipo che, a fronte di investimenti economici tutt'altro che rilevanti è stato capace di far guadagnare decine di miliardi ai suoi produttori, battendo ogni volta il record d'incassi al botteghino e lasciandosi alle spalle i grandi colossi dell'industria hollywoodiana. Nonostante il curriculum però chi conosce le cose della settima arte - e quindi lo stesso Nunziante - sa che nulla può essere dato per scontato. I galloni conquistati sul campo poco contano rispetto alla volubilità dello spettatore, e in questo caso la conferma di re Mida del cinema italiano doveva passare attraverso un ulteriore incognita. "Il vegetale" infatti, quinto ultimo lavoro firmato da Nunziante, è il risultato di un doppio divorzio: quello da Checco Zalone (avvenuto, si dice, per divergente artistiche), protagonista assoluto dei suoi titoli precedenti e, non meno importante ai fini commerciali, da Pietro Valsecchi, produttore storico della coppia, lautamente ripagato dall'aver scoperto e sostenuto la coppia quando farlo non era poi così scontato. Per giocare la partita Nunziante compie una specie di salto nel vuoto, scommettendo sul talento di Fabio Rovazzi, beniamino dei giovanissimi per essere stato l'autore di un famoso tormentone musicale (Andiamo a comandare) ma fin qui a digiuno di esperienze davanti alla macchina da presa che non siano state quelle necessarie a girare video clip e spot pubblicitari. Particolare non da poco, quest'ultimo, perché il trapianto di un immaginario come quello di Rovazzi, forgiatosi - alla pari di certi personaggi televisivi - su tempi infinitamente più brevi di quelli cinematografici poneva il problema di esportare l'efficacia di un'arte di rapido consumo - abituata a cogliere il momento e a sfruttare il dettaglio fisionomico - in un territorio dove il tempismo deve fare i conti con il tempo necessario a raccontare una storia. Insomma, un ufficio non da poco per Nunziante poiché, per non farla tanto lunga e capirci ancora meglio, si trovava con la responsabilità di trasformare un centometrista in un maratoneta.
Ai nastri di partenza la soluzione scelta, seppur scontata, non è priva di senso. "Il vegetale" infatti ricalca pressappoco temi e situazioni già affrontate dal regista in "Quo Vado?", a cominciare dal tema del precariato che da lo spunto alle avventure del neo laureato Fabio Rovazzi, il quale, per ottenere il posto fisso è disposto a tutto, anche a lasciare Milano per un'entroterra campagnolo, dove la possibile assunzione è subordinata al superamento di uno stage moto particolare. Capita infatti che invece di occuparsi in qualche modo della materia per cui ha studiato, il Rovazzi si ritrovi a lavorare in mezzo ai campi insieme a una squadra di lavoratori extra comunitari. Poco cambia anche sotto il profilo dei rapporti del protagonista con l'umanità circostante. Come Zalone, anche quella di Rovazzi è una versione maschile che si confronta con gli altri all'insegna dell'incoscienza e del non sense. A fare la differenza tra uno e l'altro, l'atteggiamento più dimesso del secondo, al contrario del primo - sempre artefice delle proprio destino - costretto a un gregariato esistenziale che lo costringe a rincorre gli eventi, il più delle volte a subirli. Questo ci fa dire che, pur con uno scarto impercettibile, - probabilmente dovuto alle caratteristiche attoriali di Rovazzi - "Il vegetale" proponga una comicità meno ottimista del solito, se non fosse che l'intermezzo amoroso con la bella di turno (un must da queste parti) e la fisicità da cartone animato dell'attore (distribuisce Walt Disney Italia) finiscono per salvaguardare la generale leggerezza del contesto. Aspettando di conoscere il risultato del botteghino, a cui spetta l'ultima parola, il problema de "Il vegetale" la fa purtroppo la mancanza di Zalone. Senza di lui a riempire la scena, traspare in maniera ancora più netta l'esilità della trama, ma anche l'incapacità della sceneggiatura di dare manforte all'understatement comico di Rovazzi. Trovate e comprimari (per esempio Luca Zingaretti, neutralizzato da un ruolo che perde progressivamente consistenza) sono troppo poco caratterizzate per aiutarne la performance che in questo modo appare addirittura esangue, e, di certo , non in grado di lasciare memoria del suo debutto.
(pubblicata su ondacinema.it)
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