Smetto quando voglio - Ad honorem
di Sidney Sibilia
con Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi
Italia, 2017
genere, commedia
durata, 96’
È passato un anno da quando la banda di Pietro Zinni è stata colta in flagranza di reato nel laboratorio di produzione Sopox e ognuno dei suoi componenti rinchiuso in un carcere diverso. Da Regina Coeli Pietro continua ad avvertire le autorità che un pazzo ha sintetizzato gas nervino ed è pronto a compiere una strage, ma nessuno lo prende sul serio. Dunque si fa trasferire a Rebibbia per incontrare il Murena, che ha informazioni utili a intercettare lo stragista. A questo punto, intende rimettere insieme la banda di ricercatori universitari: le menti più brillanti in circolazione in perenne stato di disoccupazione o detenzione.
Con “Smetto quando voglio - Ad Honorem” Sydney Sibilia chiude magistralmente una trilogia cinematografica che è un unicum nel panorama italiano. Si tratta prodotto commerciale strutturato, fin dalla sua ideazione, come una mini saga ma dettato da un'urgenza narrativa molto personale; un'operazione di cinema industriale che non sacrifica la visione creativa del suo autore; un "reato di difficile configurazione" che aveva altissime possibilità di confinare il regista ai domiciliari di un cinema, come quello italiano, poco portato a rischiare sul nuovo e a confidare nell'intelligenza del pubblico. Sibilia ha inanellato una serie di piccoli miracoli di coerenza narrativa, creando personaggi cui il pubblico si affeziona e nei quali in qualche misura si riconosce, seminando nel primo episodio ciò che verrà raccolto e compreso fino in fondo solo nell'ultimo.
“Ad Honorem” ritrova l'ispirazione dell'episodio iniziale, e la temperatura emotiva: quella rabbia impotente di chi, pur avendo raggiunto l'eccellenza, si ritrova superato dai raccomandati in questo Paese "di difficile qualificazione" in cui "tutti sono pronti a dare la colpa a chi ha già pagato". Tanto i supereroi della banda quanto i loro nemici sono vittime di un sistema ingiusto, in cui la meritocrazia è una parola buona solo per riempire la bocca dei politici. Zinni e compagni insistono a combattere contro i mulini a vento, e per questo si guadagnano il nostro rispetto e la nostra simpatia.
Se il primo episodio era una commedia amara che faceva riferimento a “I soliti ignoti” e il secondo un action movie in stile americano, “Ad Honorem” unisce gli elementi, certificando l'originalità autoriale di Sibilia: radici italiane, cultura cinematografica internazionale. La regia rimane agile, mai un noioso campo e controcampo), il montaggio veloce, i colori meno acidi che nelle puntate precedenti perché la sottolineatura cromatica si concentra sui dettagli, i dialoghi divertenti ma più dolorosi e accorati, oltre che strutturati su quanto già sappiamo di ciascun personaggio, la critica sociale, in particolare quella contro l’élite universitaria, più pungente.
Al contrario di film come “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì, che negava ogni speranza a chi entrava nel girone infernale del mondo del lavoro nell'era della crisi, la saga di “Smetto quando voglio” ha il coraggio di fare di disperazione virtù, senza togliere ai suoi protagonisti la dignità di decidere del proprio destino, senza mai rinnegare l'amore che provano verso lo studio e la conoscenza. "Solo se moriamo tutti ci sarà un cambiamento", afferma un personaggio, ma Sibilia dimostra, con questa storia e con il suo cinema, che il cambiamento può avvenire anche dal di dentro, scardinando senza distruggere, e portando rispetto a chi ha scelto una certa strada anche se tutto, intorno, congiura per fargliela abbandonare.
Riccardo Supino
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