L'arte viva di Julian Schnabel
di Pappi Corsicato
con Julian Schnabel, Al Pacino, Laurie Anderson, Willem Defoe
Italia, 2017
genere, documentario
durata,
Quando si guarda un film con lo scopo di riferirne ad altri, una delle questioni fondamentali è capire in quale modo il regista si rivolge alla materia oggetto della sua indagine. Per Pappi Corsicato, autore de L’arte viva di Julian Schnabel, il problema era di duplice natura. Da una parte, bisognava fare i conti con l’ego di uno degli artisti più importanti del nostro tempo, un tipo capace di imporsi prima come pittore d’avanguardia in quella New York di fine anni settanta dominata da eccellenze come Andy Warhol e, più tardi, da Jean Michel Basquiat, e, successivamente, come regista, premiato alla Mostra di Venezia (Prima che sia notte, 2000), e poi al Festival di Cannes (Lo scafandro e la farfalla, 2007). Dall’altra, si trattava di condividere un’esperienza artistica per certi versi incomprensibile, tratteggiata, come in effetti è stata, da una libertà di espressione e da una fiducia nei propri mezzi (la blind faith di cui parla Julian Schnabel in apertura e a conclusione della proiezione) che, al contrario di altre, ha trovato fin dall’inizio estimatori in grado di comprenderla e soprattutto di giudicarla in tutto il suo valore.
Corsicato, che di Schnabel è amico ed estimatore, opta per un approccio di tipo emotivo, cercando corrispondenza tra la fluidità del montaggio, composto da immagini che alternano vita privata ed estemporaneità creativa, e la personalità del nostro, scandita da un’energia alla ricerca continua di nuovi campi d’applicazione. Il risultato è una Bigger than Life, quella di Schnabel, rintracciabile a partire da dettagli secondari ma rivelatori, come quello relativo alle dimensioni extra large delle tele scelte per i propri pennelli o nella trasformazione di un palazzo del West Village in una sorta di castello principesco, indispensabile a conciliare responsabilità famigliari e necessità lavorative, e, ancora, nell’approccio innanzitutto fisico attraverso il quale Schnabel porta a compimento i suoi progetti, frutto di una coinvolgimento in cui il corpo partecipa attivamente alla fase di realizzazione.
In tal senso la macchina da presa di Corsicato si produce in un componimento visivo che lavora su diversi livelli di percezione: da un lato, ricostruendo con precisione documentaria (in parte frutto del materiale tratto dall’archivio privato di Schnabel) le tappe di una carriera da predestinato, dall’altro, filmando un viaggio sentimentale nel quale sono l’amore e l’amicizia manifestati dalle personalità che accettano di parlare davanti all’obiettivo (oltre a moglie, figli e amici ci sono Laurie Anderson, Al Pacino, Willem Dafoe, Hector Babenco, Bono) a restituire lo spessore umano del personaggio. La conoscenza del quale, dopo la visione del film, è accompagnata da un’accresciuta propensione al bello da parte dello spettatore, dovuta, in parte, alla capacità di Corsicato di farci sentire parte integrante dell’esperienza cui abbiamo appena assistito. Solo per questo motivo meriterebbe di essere visto.
Carlo Cerofolini
(pubblicato su taxidrivers.it)
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