Due sotto il burqa
di Sou Abadi
con Félix Moati, Camélia Jordana, William Lebghil, Anne Alvaro, Carl Malapa
Francia 2017
Genere: Commedia
durata, 88’
Travestirsi per amore? Armand (Félix Moati e Leila (Camélia Jordana) sono giovani studenti di Scienze Politiche, vivono a Parigi e stanno progettando di partire per uno stage alle Nazioni Unite a New York, ma all’improvviso arriva Mahmoud, il fratello di Leila, di ritorno da un lungo soggiorno in Yemen. E’ diventato un integralista e non vuole che la sorella frequenti un ragazzo non musulmano. Dunque la segrega in casa ma Armand escogita un piano folle: indossare un niqab e spacciarsi per donna. Il suo nome d'arte? Shéhérazade. Ma il travestimento di Armand è fin troppo convincente al punto che sconvolgerà Mahmoud facendolo innamorare di lui…aprendo nuovi scenari…
La regista Sou Abadi affronta un tema scottante attraverso il travestimento per amore. E’ iraniana ma vive in Francia. All’età di quindici anni infatti ha lasciato la sua famiglia e l’Iran per trasferirsi in Francia, dove vive tutt’ora e dove cerca di combattere a suo modo e pacificamente l’estremismo islamico. Questa è una commedia degli equivoci, che cerca di sdrammatizzare gli orrori del fanatismo religioso. Infatti i protagonisti del film non sono mai “estremi”, non sono mai spinti dalla rabbia cieca, ma si lasciano guidare dalla bellezza dell’amore e dalla sua forza catartica anche attraverso la poesia e la lettura di liriche e dei versetti del Corano. Armand, il fidanzato di Leila è figlio di due genitori iraniani, padre comunista e madre femminista, i quali hanno lasciato il paese dopo l’avvento di Khomeini. Emblematica la scelta di questa tipologia di genitori anche al fine di dissacrare gli stereotipi femministi e marxisti ridicolizzando le azioni dei genitori di Armand. Il film sostiene l’idea che molti giovani musulmani trovino nella moschea l’unica occasione di socializzazione in un paese nel quale non riescono a integrarsi. E che i radicalizzati avrebbero bisogno di una vera e propria rieducazione alla vita. Probabilmente i fratelli musulmani che vanno in Siria per arruolarsi nelle file del Daesh soffrono di una grande carenza d’amore. Colmando il vuoto affettivo probabilmente si assisterebbe ad una riduzione del tasso di fanatismo. Quel fanatismo estremo che porta Mahmoud a strappare dal muro della sua casa il poster de “La dolce vita”, uno strappo che assurge a un simbolo di libertà negata, mentre il duetto tra Leila che intona Bella ciao, e Mahmoud che canta canzoni jihadiste rappresenta lo scontro non dialettico tra la cultura occidentale e quella arabo-musulmana. Armand da sotto il burqa, giorno dopo giorno, dopo essere entrato nel cuore di Leila entra anche nel cuore di Mahmoud al punto che quest’ultimo vorrà chiedergli di sposarlo.. Il film ha un bel ritmo e si sussegue tra sketch e battute divertenti: ricorda i film di Billy Wilder cui la regista per sua stessa ammissione si è ispirata, ed in particolare rimanda al film “A qualcuno piace caldo”, sia per il gioco del travestimento di Joe (Tony Curtis) e Jerry (Jack Lemmon), che per sfuggire ad un gangster si uniscono ad un’orchestra femminile assumendo le sembianze di Josephine e Dafne, sassofonista e contrabbassista, sia per i toni del racconto che sono sempre calibrati e propri del genere della commedia.
Il travestimento risulta una modalità pacifica per risolvere un problema all’apparenza irrisolvibile: il divieto imposto a Leila dal fratello di frequentare il proprio fidanzato in quanto occidentale e non musulmano. Sou Abadi ci suggerisce pertanto la non-violenza come metodologia alternativa per la compenetrazione delle culture anche religiosa, attraverso la conoscenza e l’amore per la poesia e la letteratura (Victor Hugo e Shakespeare sono citati da Armand frequentemente), così come attraverso anche una rilettura in chiave romantica dello stesso Corano, che racconta di amore e non di morte.
E il travestimento è l’arma per realizzare una passione o un amore non-violentemente. In passato, oltre che Billy Wilder altri registi hanno utilizzato proprio il tema del travestimento per “svelare” qualcosa di importante. E’ il caso di “Tootsie” (di Sidney Pollack del 1982) in cui è un padre che per amore dei propri figli è disposto a tutto, anche a travestirsi da governante donna pur di poter trascorrere del tempo accanto a loro; o ancora, è il caso di “Shakespeare in Love” (di John Madden, 1998), dove Gwyneth Paltrow è una lady romantica, bionda e algida, che sogna di poter diventare attrice in un’epoca in cui nei teatri anche i ruoli da donna venivano recitati da uomini. E per passione della recitazione decide di travestirsi da uomo e calcare le scene
Ma accanto al travestimento per amore vi è proprio la centralità dell’Amore con la A maiuscola in tutto il film: Armand con la sua sensibilità e la sua voglia di conoscere il Corano e le liriche musulmane approccia ad un mondo per lui nuovo e sconosciuto. Con il cuore. E, grazie al sentimento che ci mette, il fratello di Leila se ne innamora alla follia credendolo una virtuosa ragazza musulmana. Di conseguenza, proprio grazie alla riscoperta del sentimento amoroso, Mahmoud potrà ritrovare se stesso e la sua collocazione, anche religiosa, in un contesto occidentale che sa riconoscerlo senza sbeffeggiarlo. La leggerezza e delicatezza con cui Sou Abadi affronta temi difficilissimi e annosi, quali la Jihad, si percepisce per tutto lo svolgimento della storia, anche – come detto - attraverso il suo spiritoso tentativo di dissacrare non solo l’estremismo jihadista ma anche quello proprio delle femministe o delle ideologia comuniste bolsceviche e del relativo intellettualismo di sinistra. Perché il sorriso, l'ironia e l'autoironia possono produrre talvolta più risultati positivi di saggi ed articoli paludati scritti da insigni intellettuali. «L’idea di questo film – racconta la regista che è alla sua prima prova di lungometraggio, provenendo da un passato come documentarista, – nasce dal mio passato. In Iran ho vissuto la nascita della Repubblica Islamica, i divieti, la trasformazione della religione in una legge spietata che pretendeva di stabilire delle regole sulla nostra vita quotidiana, individuale, privata. Ancora ragazzina ho lasciato il paese per vivere in una società lontana da queste forme di violenza, ma qualche anno dopo questi stessi temi si sono riproposti anche in Francia. Nonostante le tragedie recentemente vissute però non credo che i francesi si lasceranno mai spingere verso l’estremismo».
Nonostante ciò, la comunità araba francese non sembra aver accolto bene il film, secondo quanto la regista ha riferito on conferenza stampa, aggiungendo con un velo di tristezza che l’Arabia Saudita e anche il Libano hanno deciso di non distribuire “Due sotto il burqa”. Dunque, pur se la storia è ben lontana dai toni accesi di Charlie Hebdo, la comunità musulmana non è forse ancora pronta ad ironizzare su se stessa. Così come l’integrazione nel suo senso più profondo di completa accettazione delle diversità, sembra non essere ancora pronta a realizzarsi.
L’amore in “Due sotto il burqa” svela e rivela e si conferma unico protagonista della svolta esistenziale dei protagonisti, anche se “Ci sono giorni in cui la verità non deve mostrare il suo volto”…ma coprirlo con un burqa.
Michela Montanari
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