Milano in the cage Di Fabio Bastianello
con Alberto Lato, Christian Stelluti, Antonella Salvucci Italia, 2017
genere: drammatico
durata: 113'
con Alberto Lato, Christian Stelluti, Antonella Salvucci Italia, 2017
genere: drammatico
durata: 113'
Alberto Lato è stato pugile, esperto di arti marziali, guardia del corpo, buttafuori. A 36 anni ha una ex moglie, un figlio che può vedere solo in presenza di un assistente sociale e una vita nel sottobosco milanese che potrebbe condurlo verso l'illegalità senza possibilità di ritorno. L'unica speranza di riscatto può venirgli dalla MMA. Per molti l'acronimo MMA non ha alcun significato. Lo conoscono, invece, quei lottatori che si affrontano in una gabbia ottagonale. Significa Mixed Martial Arts e si riferisce a una forma di arte marziale che prevede tecniche di percussione, calci, pugni, gomitate e ginocchiate, e di lotta, come proiezioni, leve e strangolamenti. Per Bastianello rappresenta la disciplina con cui, con un combattimento reale tra Lato e un avversario, far concludere il film con un finale esclusivamente consegnato alla realtà di un confronto senza esclusione di colpi. Con la sua opera prima aveva mostrato una straordinaria capacità di costruire la tensione, facendo del virtuosismo di un piano sequenza della durata di 105 minuti una scelta linguistica strettamente connaturata con la sincerità di uno sguardo calato senza infingimenti in due ore di vita di un gruppo ultrà di tifosi di calcio. La sincerità è rimasta anche in questa sua seconda performance, in cui si avverte il bisogno di riflettere sul lato oscuro di una metropoli come Milano, fotografata soprattutto di notte, con indubbia consapevolezza nella scelta delle location.
Così, genuino è anche il suo punto di osservazione sulla violenza, che emerge con chiarezza nell'episodio del tamponamento. Bastianello ha infatti la convinzione che si debba distinguere tra la violenza controllata di chi esercita un'arte marziale da quella di cui si riempiono le cronache quotidiane, messa in atto da persone che perdono la testa e uccidono per un sorpasso. La sincerità però si scontra con un cast che, volendo aderire alla realtà, finisce con il diminuire la qualità della proposta: fatti salvi la moglie del protagonista (Antonella Salvucci) e l'amico tossicodipendente (Cristian Stelluti), molti degli altri interpreti si limitano a recitare la propria parte, senza calarvisi a pieno. È una trappola in cui sono caduti anche maestri come i fratelli Taviani, che nel film "Cesare deve morire" mettono in bocca ai detenuti protagonisti frasi sulla propria vita che suonano false, mentre sono molto più veritiere le parole scritte da Shakespeare. Bastianello, nella sua ricerca di verità da docu-fiction, non ha valutato il problema o, comunque, ha ritenuto che non fosse poi troppo importante. Resta a suo favore il fatto che si comprende come i suoi non siano film d'occasione, ma nascano da un'esigenza sempre sentita e mai banale. La colonna sonora ne costituisce un'interessante e ulteriore testimonianza.
Riccardo Supino
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