giovedì 18 maggio 2017

SETTE MINUTI A MEZZANOTTE

Sette minuti a mezzanotte
di, Juan Antonio Bayona
con, L.Mac Dougall, Felicity.Jones, Sigouney Weaver, Toby Kebbell
USA, Spa 2016
genere, drammatico 
durata, 108’



In quel concentrato glutinoso d’antropologia in fieri che è l’infanzia, particolare spartiacque è rappresentato dalla ventura d’un dolore importuno e non emendabile, dalla forzata scoperta della limitazione che affligge la condizione umana di contro a suo agio nel ripercuotersi sugli affetti più profondi, circostanza a cui non si può che opporre il furore impotente frutto d’una malcerta quanto irriflessiva misologia.

Nel solco vergine e comprensibilmente cangiante dei suoi dodici anni (“Troppo giovane per essere un uomo e troppo vecchio per essere solo un ragazzo”), Conor O’Malley/MacDougall - detto Con - oppone all’irriducibilità intollerabile d’un fato indifferente il più classico dei rifiuti archetipici, quell’incantesimo su sé stesso, formalizzato all’origine dell’indagine metafisica da Platone, che s’avvale del distanziamento fantastico dallo sconforto (e dalla conseguente afasia) dell’irreparabile Fine per il tramite d'un’irrequietezza dell’immaginazione la quale, proiettando la verità del momento - qui la condizione di malato terminale di sua madre Elizabeth/Jones, detta Lizzie - in una dimensione narrativa a riparo dalle contingenze - genericamente mitologica, cioè - ne smussa le asperità più rovinose ritagliandosi insperati margini di tempo, ovvero quella possibilità - vera e propria procrastinazione affabulatoria - che il dato concreto si limita a negare, e di concerto aprendo la strada al manifestarsi della meraviglia e dell’oltre-umano. Conor, in altre parole, nella sua mesta routine (fatta per lo più di pomeriggi lividi spazzati dal vento e come rassegnati a fogge e colori con perenni sembianze autunnali) di pre-adolescente in procinto di diventare orfano (Bayona esordisce, magari non a caso, con “The orphanage”, nel 2007), con un giovane padre più distratto dalla propria consustanziale irresolutezza che affettivamente negligente, angariato da compagni di scuola che vedono in lui nient’altro che il tipico strambo solitario e taciturno, si scontra (suo malgrado) con le circolari disperazioni dell’esistenza avvalendosi dell’artificio poetico della loro composizione a un livello ulteriore secondo un gesto semplice e colossale che rasenta il sublime, nel senso d'una tensione tenuta sempre viva tra il limite (della sofferenza, della di lei sistematica rimozione) e il suo superamento, nell’opera di Bayona esemplificato dall’esercizio nobile e costante del disegno, attraverso cui egli mitiga gli affanni, mette alla prova la propria marginalità ingegnosa (non possiede un telefono, Conor, un computer: non guarda la televisione ma il “King Kong” di Cooper/Schoedsack dal proiettore ereditato dal nonno. E’ altresì curioso e polemico nei confronti dei cosiddetti adulti, così come durante le sessioni al tavolo da lavoro ingombro di fogli, pastelli, matite che affila con pazienza al temperino, ascolta intento musica in cuffia) ma più di tutto crea materialmente le premesse affinché il soprannaturale - rappresentato dalla mutazione di un tasso monumentale in gigantesco umanoide vegetale a cui da voce e autorevolezza L.Neeson (albero, il tasso, tra l’altro, storicamente e mitologicamente simbolico quant’altri mai: nei secoli, infatti, è stato associato tanto alla morte, per via dell’estrema tossicità di tronco e foglie, per la fabbricazione di frecce velenose, quanto alle speranze di rinascita nella trasformazione in ragione della longevità e resistenza della sua pasta legnosa; come parimenti, approfondendone la conoscenza, sono stati isolati alcuni principi attivi da vari alcaloidi da lui secreti, sperimentati in seguito per l’intervento su varie forme neoplastiche) ed evocato ogni volta in un preciso istante, le 12,07 p.m., a rendere, col titolo “Sette minuti dopo la mezzanotte” nell’edizione nostrana per Mondadori, il romanzo di P.Ness da cui il film trae origine - irrompa nell’ordinario a dettare le tappe per il suo progressivo avvicinamento alla consapevolezza (e all’accettazione) del corso materiale degli eventi, ossia alla sovrapposizione matura tra la personale verità difensiva e quella indigesta ma inoppugnabile dei fatti.


Scandito dall'incedere lineare della fabula nel collaudato percorso negazione/agnizione/rinascita, Bayona delinea i contorni di una realtà - di suo estranea, se non inospitale - a misura degli occhi di un dodicenne introverso e presago, sensibile e irreconciliato, disponibile ma già disilluso, acconciandola a un punto di vista geneticamente proclive all’avventuroso e al paradossale in ragione del quale, al pragmatismo d’una giovinezza per forza di cose disciplinata e operosa, si concilia, con minime frizioni, una distruttività portato primo della frustrazione (Conor fa a pezzi il soggiorno della nonna interpretata dalla Weaver perché non vuole trasferirsi da lei) e la sistematica ricerca di un altrove (fosse pure la fuga da fermo verso il cimitero catturato ogni giorno dallo sguardo rivolto oltre la finestra della propria camera al cui centro si staglia il tasso fatale): quella e questa accentuate da vividi contrasti cromatici, ammorbidite dagl’incroci liquidi dell’acquerello e inquadrate secondo un’estetica che privilegia la leggera deformazione o l’angolatura inusuale.

Accanto a ovvie indulgenze (melo)drammatiche (il commento musicale non di rado inserito a mo’ di sottolineatura; tracce d’un qual edificante patetismo a contenere l’ambivalenza dei legami parentali), il lavoro del regista catalano, pur gettando il suo seme in un campo cinematografico ampiamente dissodato - e dalle messi alterne - apporta all’immaginario, come variante di coltura, assieme alla contiguità infantile, antagonista e critica, con l’insolito e il mostruoso che, per taluni aspetti, richiama la sagacia brillante e talora aggressiva dell’Alice di Carroll, il gusto di scuola iberica per il surreale e il grottesco in agguato nelle pieghe innocenti del quotidiano, nel caso riconducibile sia al gotico più tradizionale che a un sentimento-del-mondo per cui la sua componente arcaica e istintuale ha lasciato alla prepotenza del raziocinio meccanicistico solo la superficie degli accadimenti, il loro inesausto affastellarsi quantitativo, riservandosi la colonizzazione forse residuale, di certo pervasiva e non esente da conseguenze, di tutte quelle zone interstiziali del tempo e dello spazio che la finzione organizzata in ossequio al principio di causa ed effetto non può esaurire e che le creature speciali come Conor continueranno ad abitare e ad animare.
TFK








  


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