Italian Ghost Story
di Antonio Piazza, Fabio Grassadonia
con Julia Jedilkowska, Gaetano Fernandez, Corinne Musallari, Andrea Falzone,
Italia, 2017
genere, drammatico
durata, 120'
Prima di parlare di "Sicilian Ghost Story" bisognerebbe dire qualcosa sulla tesi per cui nel cinema italiano certi generi e, in particolare, quelli meno ancorati al reale, siano stati, a partire dalla fine degli anni settanta, progressivamente abbandonati da registi e produttori. La scusa, si affermava, era quella di non poter competere con le possibilità miliardarie dei prodotti blockbuster, forti di effetti speciali troppo costosi per le tasche dei nostri tycoon. Detto che i film dei vari Mario Bava e Antonio Margheriti riuscivano a farsi apprezzare, in Italia e all'Estero, grazie a un'artigianalità che riusciva ad essere un' alternativa alla cronica mancanza di soldi, ciò che emerso negli ultimi anni è una generazione di cineasti decisa a sfatare questo luogo comune a colpi di coraggio, incoscienza e molta, davvero molta bravura. Per restringere il campo a ciò che interessa da vicino il film della coppia siciliana, ci piace ricordare gli esempi di autori come i Manetti Bros., antesignani - con "L'arrivo di Wang" - di una progettualità che tornava a confrontarsi alla propria maniera (nel caso dei registi romani utilizzando le estetiche del b-movie) con il corrispettivo statunitense, e soprattutto di Gabriele Mainetti che attraverso il successo de "Lo chiamavano Jeeg Robot" ha dimostrato di poter competere anche in territori (gli hero movies) estranei alla nostra tradizione filmica.
Un ulteriore passo in avanti verso questa direzione è rappresentata appunto dal secondo lungometraggio di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, i quali, forti dell'esperienza maturata ai tempi di "Salvo", raccontano un'altra storia "siciliana" in cui il soggetto drammaturgico per antonomasia - la mafia, qui artefice del rapimento di Giuseppe, il figlio di un pentito sulle cui tracce si mette Luna, la compagna di scuola decisa a salvare il suo amato nonostante l'indifferenza di adulti e istituzioni - viene trasfigurato all'interno di un dispositivo che mescola generi cinematografici - il fantasy, il teen movie - e letterari - la favola gotica - per trasformarlo in qualcosa di nuovo per i nostri schermi. Infatti, se da una parte i registi allineano uno dopo l'altro situazioni e personaggi che sono archetipici dei riferimenti appena menzionati (valga per tutti la figura della madre di Luna, gelida e anaffettiva come la matrigna di Cenerentola, oppure il cane "cerbero" a fare da guardia "all'entrata dell'inferno"), grazie anche al supporto della fotografia di Luca Bigazzi si assiste a un'interpretazione degli stessi in chiave personale e attraverso uno sguardo che permette alla storia di mantenersi in perfetto equilibrio tra realtà e fantasia. Così, accanto a una versione cosiddetta reale della vicenda, quella collocata in un paese qualunque dell'entroterra siculo e avente come protagonisti due adolescenti, come altri animati da sentimenti ed emozioni che, a secondo dei casi, vivono di certezze e del loro contrario, c'è n'è una seconda, magica e misteriosa, scaturita dal trauma provocato dall'improvvisa scomparsa di Giuseppe e dal dolore di Luna che lo cerca nel bosco dove all'inizio del film si sono innamorati. Tutt'altro che netta, tale bipartizione è costruita sul piano visivo secondo piani comunicanti che non riguardano come ci si aspetterebbe dalla semplice contrapposizione tra civiltà e natura ma trovano coerenza nella capacità immaginifica dei due ragazzi che si manifesta senza soluzione di continuità tanto tra le mura di casa (quella di Luna, organizzata su più livelli che corrispondono ad altrettanti stati di coscienza) quanto in mezzo alla "selva oscura", rappresentata dal paesaggio naturale in cui è ubicata la prigione di Giuseppe.
A differenza di altre produzioni e alla pari di altre ("E venne il giorno" è il paragone che ci viene in mente), quella messa in piedi da Piazza e Grassadonia è un operazione che riesce a far coincidere la potenza della visione con le possibilità degli strumenti di cui essa può disporre. In questo modo, invece di disperdere energie alla ricerca di soluzioni capaci di far "quadrare i conti" i registi utilizzano il set come una tavolozza dalle possibilità illimitate in cui il volo di un uccello o il latrato di un cane diventano la presenza di un universo ancestrale pronto a scatenarsi sulle vite dei protagonisti. Costruito in maniera circolare, con la sequenza iniziale e quella prima dell'epilogo caratterizzate dalla rivoluzione della mdp attorno al proprio asse al fine di visualizzare (un pò come succedeva con il loop "discografico" di "Inland Empire") il clima ipnotico e allucinatorio di ciò che stiamo per vedere "Sicilian Ghost Story" è anche il film di due autori che non rinunciano alle loro prerogative: a testimoniarlo è per esempio la coerenza tra la profondità di campo di certi ambienti (per esempio dell'ultima prigione di Giuseppe) e la desolazione esistenziale sperimentata dal personaggio, oppure la riflessione sull'essenza del cinema, ancora una volta (era già successo in "Salvo") rappresentata attraverso diversi tipi di sguardo che vanno dalle insistite soggettive di un possibile osservatore esterno agli insistiti primi piani degli occhi dei protagonisti, e ancora mediante punti di vista "telescopici". Per non dire dell'uso del tempo e della dilatazione narrativa di talune sequenze, in cui la contemplazione del paesaggio e dei suoi "abitanti" lungi dall'essere fine a se stessa è l'espediente con cui i registi, dilatando le maglie del racconto, permettendo allo stesso di creare le condizioni per collegare in maniera coerente i diversi stati di coscienza dentro i quali si muove la favola di "Sicilian Ghost Story". Dedicato alla memoria di Giuseppe Di Matteo, il bambino sciolto nell'acido da sicari della mafia, il film di Piazza e Grassadonia ha aperto la Semaine de la critique al Festival di Cannes 2017. Un onore che i due registi si sono meritati sul campo.
(pubblicata su ondacinema.it)
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