Air Doll
di Hirokazu Kore-eda
con Bae Doona, Arata Iura, Itsuji Itao
Giappone, 2009
genere, fantasy/drammatico
durata, 125’
Settimo film del regista giapponese, “Air Doll” è una favola poetica su una bambola gonfiabile che improvvisamente prende vita e inizia a guardare il mondo. Storia che ricorda il Pinocchio collodiano (con tanto d’incontro con il suo creatore, “falegname” moderno costruttore di bambole gonfiabili oggetti sessuali per uomini soli).
Film ricchissimo dal punto di vista tematico e stilistico, Kore-eda tocca temi a lui cari come il senso della nascita, della vita e della morte; la solitudine dell’uomo moderno, immerso nella periferia di una grande città come Osaka, metonimica di qualsiasi centro urbano nel mondo; il tema del cinema come evento salvifico; la difficoltà dei rapporti umani; il senso di vuoto della società contemporanea.
Nozomi è oggetto sessuale di un uomo abbandonato dalla fidanzata che si costruisce un simulacro di (stra)ordinarietà e vive anomicamente senza rendersi conto della realtà crudele che lo circonda. Una mattina, dopo l’ennesimo rapporto sessuale, Nozomi inizia a respirare e a prendere vita. Bambola di gomma che cammina e si muove verso la luce della finestra gocciolante per la pioggia della notte appena passata, tende una mano che viene bagnata. Magicamente l’acqua la trasforma in un essere “umano”, con un cuore e una coscienza. Burattino che vuole essere donna, inizia a uscire di casa e seguire le persone, osservarle con sguardo pieno di stupore infantile, creatura alla scoperta del mondo e della vita. Kore-eda basa tutto sul potere del respiro, come insufflare la vita all’interno di corpi spenti; e dell’acqua come elemento di vita, di (ri)nascita.
Nozomi trova lavoro in una videoteca e s’innamora del giovane commesso che ben presto si scoprirà aver perso la fidanzata. Kore-eda in un montaggio alternato, ci mostra la vita solitaria di diversi personaggi che la donna-bambola incontra nelle sue passeggiate. Il padrone del negozio che parla di una moglie che non c’è più e vive in una casa da solo, cercando inutilmente una normalità quotidiana; una donna bulimica, rinchiusa nella disperazione di un appartamento immerso nei rifiuti; un ragazzo ossessionato dal web e da Nozomi, che riprende di nascosto; una vecchia che guarda spettacoli di cronaca nera e va al posto di polizia; una bambina orfana di madre; un vecchio malato al termine della vita. Tutti monadi il cui unico, flebile, collegamento è una bambola che sogna la vita, sogna di essere donna. Il primo uomo sostituisce Nozomi con una nuova bambola e quando si accorge, una sera, che lei ha un cuore si spaventa e le chiede di tornare a essere “una bambola”, perché i rapporti umani non possono essere tollerabili. Nozomi viene ricattata dal padrone e le chiede un rapporto sessuale: ella rimane oggetto di desiderio, mai vista come essere umano, mentre proprio in questo suo vivere in transito la porta a essere più umana di tutti i personaggi che la circondano e che sono molto più “vuoti” di quanto possa essere lei.
Durante un allestimento del negozio, Nozomi si provoca uno strappo al braccio e l’aria fuoriesce. Il ragazzo la rattoppa e poi dall’ombelico, dove è posizionata la valvola, inizia a soffiare per ridarle la vita. L’insufflargli l’alito, il fiato, è una forte metafora sia sessuale sia creatrice di nascita. La scoperta della sua condizione porta a un rapporto masochistico tra i due: l’uomo le chiede di poter “sgonfiarla e rigonfiarla” in un rapporto sessuale translitterato, fatto di dolce morte e continua rivitalizzazione. Nozomi, per un equivoco di comprensione, lo uccide involontariamente, cercando di ricambiare quello che prende come gesto d’amore, invece che un egoistico senso di colpa dell’uomo che non era riuscito a salvare la fidanzata morta in un incidente. Una delle più belle sequenze di tutto il film, come l’intero incipit della trasformazione di Nozomi e la scoperta di un cuore. Del resto l’ombelico, il ventre, è il centro della vita in una visione orientale dell’esistenza.
Il dialogo tra la donna-bambola e il suo creatore poi è significativo sulla fine di tutti noi: l’uomo è fatto di materia riciclabile, le bambole fatte di gomma e finiscono nei rifiuti non riciclabili. In qualche modo ognuno di noi è di passaggio in questa vita ed è emblematico il dialogo tra Nozomi e il vecchio malato, che vorrebbe morire per dimenticare tutto e portarsi dietro un unico ricordo, in un stretto legame contenutistico tra “AirDoll” a “After Life”, altra opera fantastica di Kore-eda.
Del resto, il respiro è un suono allo stesso tempo diegetico (quello del respiro di Nozomi e il soffio del ragazzo della videoteca) ed extradiegetico, in un finale drammatico, dove la bambola di gomma si “sucida” per rilasciare il suo alito di vita e come un seme far ricrescere la vita in un’umanità (dis)persa. Ma, mentre il corpo del ragazzo morto viene messo nella discarica come scarto riciclabile, il corpo di Nozomi è oggetto di scarto e invisibile ai più. L’unica che la nota è la ragazza bulimica che di fronte alla bellezza del sacrificio in qualche modo guarisce: il sacrificio della donna-bambola non è inutile, ma in realtà diventa germoglio da cui (ri)cresce la vita.
Lo stile di Kore-eda si esprime con carrellate laterali, che seguono la protagonista lungo le strade della periferia, e con movimenti di macchina negli interni che riproducono il respiro metafisico e poetico del film. La fotografia è satura di luce e colori vividi, anche nelle scene notturne, e la messa in scena limpida in una messa in quadro di sequenze che diventano frasi poetiche di ampiezza zen. Emozioni elementari, profonde, allo stato puro, come il respiro, appunto, e l’affascinante bellezza degli oggetti che sono attraversati dalla luce (bottiglie, anelli, oggetti di plastica).
Nozomi è interpretata dall’attrice coreana Bae Doona (già protagonista in “Simpatia per mister vendetta” di Park Chan-Wook e in “The Host” di Bong Joon-Ho, ma soprattutto di Somni in “Cloud Atlas” delle Wachowski e poi anche in “Jupiter Ascending” e nella serie televisiva “Sense8”) che dona una grande sensibilità e dolcezza al personaggio, con una recitazione misurata e intensa di rara bellezza.
Prodotto, sceneggiato, diretto e montato da Hirokazu Kore-eda, “Air Doll” si rivela come un’opera di grande pregio e, soprattutto, di un cinema poetico che confermano la voce autoriale del regista giapponese. Ed è una fortuna poterlo vedere nella rassegna organizzata dalla Fondazione Cineteca di Milano per un film, che inspiegabilmente, non è mai stato distribuito in Italia.
Antonio Pettierre
“Rassegna Hirokazu Kore-eda”, Fondazione Cineteca Italiana, Spazio Oberdan, Sala Alda Merini a Milano fino all’11 agosto 2016 http://ift.tt/2aseyEH. it/eventi/hirokazu-kore-eda/
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