Legend
di Brian Helgeland
Tom Hardy, Emily Browing,Christopher Ecclestone
UK, 2015
genere, biografico, thriller
durata, 131'
Per capire l'importanza che i gemelli Ronald e Reginald Kray rivestirono nell'immaginario del mondo anglosassone basterebbe rammentare che nella prima versione filmata dell'incredibile ascesa che, a partire dagli sessanta, e per circa un ventennio, li porto' a dominare la scena malavitosa della capitale britannica ("The Krays - I corvi", 1990), a impersonare i gangsters dell' east end londinese erano stati Martin e Gary Kemp, rispettivamente bassista e chitarrista degli Spandau Ballet, il gruppo inglese che negli anni ottanta fece battere il cuore di milioni di teen agers. Una scelta non certo dettata dalle qualità attoriali degli interpreti, frequentatori poco memorabili dei set cinematografici, ma che fu piuttosto la conseguenza della volontà del regista Peter Medak, intenzionato a sfruttare il glamour e la fascinazione legate all'iconografia dei due musicisti, per ricreare quell'alone di ricercatezza e di riconoscibilità che accompagnò la scalata al potere dei temibili fratelli. I quali, bisogna dirlo, non si fecero mancare nulla ne in termini di strategia criminale, basata sulla sistematica eliminazione del resto della concorrenza e sulla forzata complicità' di importanti figure del panorama politico istituzionale, ne in termini di vita sociale, portata avanti ai massimi livelli attraverso la frequentazione del bel mondo londinese che soleva ritrovarsi nel locale notturno gestito dai fratelli.
Un mix di violenza e spettacolarità che, dal punto di vista drammaturgico, fa si che "Legend" possa contare da una parte sul contrasto caratteriale dei protagonisti, uniti da un legame indissolubile ma distanti sia sul piano della personalità (omosessuale dichiarato, Ron era affetto da disturbi mentali) che su quello della predisposizione mentale, con Reggie differente dal gemello per la visione pragmatica e imprenditoriale della sue "attività"; dall'altra sul pathos prodotto dal tormentato e romantico legame che contraddistinse l'unione tra Reggie e la bella e fragile Frances, la donna che sarebbe diventata sua moglie e che nel corso della loro relazione avrebbe cercato - senza successo - di convincere il marito a non lasciarsi coinvolgere dalle tendenze autodistruttive dell' imprevedibile fratello.
Un mix di violenza e spettacolarità che, dal punto di vista drammaturgico, fa si che "Legend" possa contare da una parte sul contrasto caratteriale dei protagonisti, uniti da un legame indissolubile ma distanti sia sul piano della personalità (omosessuale dichiarato, Ron era affetto da disturbi mentali) che su quello della predisposizione mentale, con Reggie differente dal gemello per la visione pragmatica e imprenditoriale della sue "attività"; dall'altra sul pathos prodotto dal tormentato e romantico legame che contraddistinse l'unione tra Reggie e la bella e fragile Frances, la donna che sarebbe diventata sua moglie e che nel corso della loro relazione avrebbe cercato - senza successo - di convincere il marito a non lasciarsi coinvolgere dalle tendenze autodistruttive dell' imprevedibile fratello.
Diretto da Brian Helgeland che prima di "Legend" era stato coinvolto in qualità di sceneggiatore - di "L.A. Confidential" e "Mystic River" - e poi di regista - di "Payback" con il Mel Gibson dei tempi migliori - in progetti impegnati a declinare le diverse modalità della crime story, il film si inserisce a pieno titolo nel revival di quel modello di biopic che da un po' di tempo e a vario titolo imperversa sugli schermi delle nostre sale. Però a differenza di una tendenza generale che si è appiattita su estetiche tipicamente televisive e, che in certi casi procede - senza averne la credibilità - con un taglio da resoconto documentaristico, "Legend" si muove in direzione opposta, smarcandosi dal proposito di perseguire istanze di un realismo a qualunque coso,i come pure da qualsivoglia tentazione di matrice divulgativa, per abbracciare un dispositivo che privilegia la spettacolarità della messa in scena e il culto dellaperformance attoriale. Nel primo caso, sfoltendo i momenti di riflessione e di approfondimento sulla materia filmica, sostituiti da una sovraesposizione degli elementi attinenti alla violenza - sempre in primo piano quando si tratta di rendere "giustizia" alla determinazione dei fratelli Kray - e al bizzarro, rappresentato dagli inserti che ci ragguagliano sul comportamento maniacale di Ron, e sulle conseguenze prodotte dai suoi loop mentali. Nel secondo, realizzando una plusvalenza di carisma e di divismo nello sdoppiamento dell'ottimo Tom Hardy che, nel duplice ruolo di Ron e Reggie, rende merito alle proprie credenziali, diventando strumento di quella capacità di meravigliare ( vedere per credere la perfezione con cui l'attore, all'interno della medesima scena riesca ad essere altro da se, rapportandosi con un doppio che per lui non sembra essere tale ) che appartiene al cinema fin dai tempi dei fratelli Lumiere. Passato un po' in sordina nell'ultima giornata della festa del cinema di Roma appena conclusasi, "Legend" si guarda tutto d'un fiato e senza pentirsi di averlo fatto.
pubblicato su ondacinema.it
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