sabato 26 marzo 2016

LAND OF MINE - SOTTO LA SABBIA

Land of Mine - Sotto la sabbia
di Martin Zandvliet
con Roland Møller, Mikkel Boe Følsgaard, Laura Bro
Danimarca-Germania, 2015
genere: Guerra
durata: 101'

Danimarca, 1945. La lotta per la sopravvivenza sembra ormai non conoscere limiti, consumandosi lenta e inesorabile. L'incubo della guerra ancora vivo negli occhi dei sopravvissuti giustifica una distorsione del concetto di giustizia nelle vittime del Nazismo. Sono questi gli ingredienti della tragedia che ha risucchiato la Danimarca e il mondo nel vortice nero della seconda guerra mondiale e delle sue conseguenze. Una parabola umana in cui vittime e carnefici si confondono R che racconta come la disperazione generi uomini bestiali.
Nei giorni che seguirono la resa della Germania alla fine della seconda guerra mondiale, gli alleati deportarono migliaia di soldati tedeschi con l'onere di sacrificarsi per riparare al danno inferto al mondo dal regime nazista. Molti di quei soldati non erano addestrati, ragazzi costretti a percorrere in lungo e in largo le coste occidentali danesi per disinnescare più di due milioni di mine; quelle che l'esercito di Hitler aveva posizionato in previsione di un ipotetico sbarco degli alleati. Una storia poco conosciuta, che Martin Zandvliet sceglie di raccontare dal punto di vista di quattordici giovani costretti a muoversi carponi su spiagge assolate, affidando la vita alla capacità di un bastoncino di scendere quanto più possibile nelle profondità della sabbia umida, con il sangue freddo di esperti artificieri.
Disposti a sacrificarsi l'uno per l'altro, ma anche spaventati e pronti a scappare quando il primo compagno resta mutilato da una deflagrazione, i ragazzi appaiono in tutta la loro fragilità di fronte alla brutalità della guerra. È disumano il freddo comportamento con cui il sergente danese Rasmussen fa marciare la sua squadra sulle dune ogni giorno. La tirannia, universale per definizione, ha le stesse regole ovunque: manca di morale ed evita la riflessione sul peccato, trovando, a seconda dei casi e degli individui, una sua propria, seppur sempre differente, legittimazione. Così uomini in divisa costringono altri uomini in divisa alla paura, al terrore e alla negazione di se stessi, stando ben attenti ad evitare il confronto, sfruttando come unico contatto quello visivo, per sottolineare la sudditanza del prigioniero.

Il film percorre le tappe di una storia carica di tensione emotiva, che costringe lo spettatore a trattenere il fiato difronte ai primissimi piani di un esercito di bombe pronte ad esplodere. I volti puliti dei giovani prigionieri simboleggiano un intero popolo che, dopo aver messo l'Europa a ferro e fuoco, è stato costretto a richiamare alla leva ragazzini di tredici anni. Ci sono tutti i tipi umani: Vediamo Sebastian, perfetto leader, il cinico insofferente Helmut o i dolcissimi gemelli Ernst e Werner strappati ai sogni infantili per riscoprirsi affamati e impauriti in un mondo che desidera solo vederli morire.
La fotografia di un'ambientazione incantevole stride con i caratteri infernali di cui è imperniata la vicenda, in cui l'aridità degli animi si contrappone ai panorami mozzafiato di un deserto in riva al mare. Lo spettatore è in balìa di una narrazione ben costruita che genera una tensione costante, con una regia che predilige, il più delle volte, l'omissione alle immagini esplicite. La scelta di silenzi carichi d'intensità rafforza l'efficacia delle lunghe sequenze del film, con le musiche a fare 
da contrappunto con brevi sonorità. 

Ne risulta un'immagine di desolazione e impotenza, addolcita solo dal sergente Rasmussen, che riporta tutto ad un senso di rettitudine ammirevole grazie a una rinnovata empatia con i ragazzi. Il bagliore alla fine del tunnel, il confine con la Germania a poche centinaia di metri, risulterà però pretenzioso e un po' poco credibile laddove il cambio di tendenza sentimentale del capitano per i suoi prigionieri è un pretesto debole per il disgelo totale delle relazioni che conducono alla liberazione. Per un film che è riuscito a mantenere una linea lucida e realistica, il rischio era quello di scadere nella retorica, ma Zandvliet riesce a sublimare l'importanza degli sguardi dei ragazzi scomparsi a scapito delle parole dei superstiti, relegando la salvezza solo a un'anomalia.
Riccardo Supino

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