lunedì 28 marzo 2016
News: Le 10 cose che devono tornare in Dark Souls 3 " Leggi qui "
21:56
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Più ci avviciniamo all'uscita di Dark Souls 3 e più l'attesa si fa insostenibile. Mancano circa due settimane al lancio ed è forse questo il periodo in cui la fantasia si scatena maggiormente, immaginando quali sadici espedienti il buon Miyazaki-san si sia inventato per prenderci alla sprovvista in quest'ennesima (e speriamo non ultima) incarnazione della saga. Si tratta di giorni creativamente prolifici, che hanno contagiato in particolare chi vi scrive, ormai assiduo giocatore della serie Souls e sognatore di prospettive videoludiche che molto spesso rimangono solo delle mere fantasie. Oggi però è il giorno del riscatto. Oggi è giunto il momento di dirvi cosa non può assolutamente mancare in Dark Souls 3, perché ne abbiamo viste davvero di cotte e di crude, ma certi ritorni, specialmente nel capitolo più citazionistico della saga, iniziamo a darli davvero per scontati.
La Torre di Latria rappresenta a tutt'oggi uno dei picchi di terrore più elevati dell'intera saga Souls, con le sue atmosfere cupe e putrescenti. Col senno di poi, sono state forse queste la base del recente Bloodborne, fatto di campanili e cattedrali dal gusto squisitamente gotico. I Mangiauomini furono un trauma: in un'epoca nella quale Demon's Souls era ancora un fenomeno indipendente diffusosi col passaparola, ritrovarsi all'improvviso contro due boss invece di uno chiarì con violenza che (virtualmente) non c'era un limite alla sofferenza esperibile in quel videogame. Una tradizione mantenuta con una coppia di Gargoyle alla Chiesa dei non morti e ripresentata al Campanile della Luna, diventando una delle sezioni più frustranti di tutto Dark Souls 2. Fino a due invasori in contemporanea, inaciditi dall'essersi autoinvitati nel loro covo, e un esercito di nani malefici, tanto dolorosi quanto difficili da colpire a causa della loro ridotta statura. E tutto questo per cosa? Per finire nuovamente in pasto a un altro gruppo di gargoyle fino a un massimo di 6, pronti a renderci gli inconsapevoli protagonisti di una gang-bang a base di fiamme e alabarde.
È ormai nota la passione degli esperti di Dark Souls per i movimenti rapidi e per le rotolate come principale mossa di difesa: del resto il margine di invulnerabilità (se ben sfruttato) consente una reattività molto maggiore e, conseguentemente, permette di attaccare più spesso i prevedibili avversari. E per tutti coloro che invece preferiscono andare piano piano e ripararsi dietro centimetri di duro acciaio? Che si trattasse del buco in un camino ad Anor Londo o di una stanzetta chiusa a chiave giù per lo Scolo, l'armatura di Havel è sempre stata una garanzia per gli amanti del fat-roll, con il suo estremo coefficiente di difesa e con il suo peso, non propriamente alla portata di tutti. Memorabile lo scudo incatenato, in grado di difendere persino dagli attacchi di re Vendrick, a patto però che si avessero i 50 punti forza necessari a equipaggiare un simile blocco di pietra.
L'area in cui sei perennemente avvolto nelle tenebre e rischi di cadere da un traballante ponte di legno è uno dei marchi di fabbrica delle produzioni From Software. Chiunque abbia provato Demon's Souls ricorderà quanto potessero essere terribili quegli abomini giganti col becco da corvo alla Valle della Corruzione, creature ridicolmente forti in grado di spingerti di sotto con un solo colpo di clava (e chi vi scrive li beccò in forma red phantom a causa di una World Tendency ormai andata a farsi benedire). In Dark Souls le cose non fecero che migliorare con la Città Infame, che, specialmente su console, abbinava alle suddette impalcature un "solido" framerate perennemente tra i 10 e i 15 fps: una goduria che tuttora continua a tormentare i sogni di chi ce l'ha fatta a uscirne vivo. Lo Scolo, un po' per l'esperienza accumulata, un po' per semplicità strutturale, probabilmente uscì un po' più semplice del previsto a From Software, ma di sicuro tutti quanti abbiamo sperimentato il piacere di un tuffo mortale su una delle piattaforme nel pozzo di collegamento a Majula.
Anor Londo fu il vero spartiacque per molti giocatori, tra arcieri che sparavano cannonate e passeggiate su architravi protetti da ninja in tenuta bianca; il tutto condito da un epico scontro finale che fungeva semplicemente da giro di boa dell'intero arco narrativo. Possiamo chiamarlo fan-service allo stato puro, ma ritrovarsi di fronte a una versione grigiastra di Ornstein alle prime battute di Dark Souls 2 scommettiamo abbia causato un tuffo al cuore ad ogni vero appassionato. Sia chiaro, riproporre un medesimo avversario, seppur dotato di alcuni attacchi aggiuntivi, è una mossa di cui non bisogna abusare, ma il piacere di farla pagare nuovamente (questa volta con semplicità) a chi ci ha causato tanti problemi in passato è una sensazione che non ha prezzo. Certo, quel drago a difesa della Cattedrale del Blu nell'edizione Scholar of the First Sin rendeva proibitivo avvicinarsi al Vecchio Ammazzadraghi fino a metà gioco, ma a maggior ragione la fine che attendeva questo erede (reincarnazione?) di Ornstein diventò ancor più umiliante.
Chiunque abbia patito le pene dell'inferno in solitaria può capire molto bene quanto la presenza di un alleato sia di conforto in un regno in cui la speranza se n'è ormai andata da tempo. A meno che la vostra vena sadica non abbia preso il sopravvento con i Darkwraith, crediamo che un po' di spirito compassionevole vi abbia spinti, almeno una volta, a intraprendere la luminosa via del Sole, fatta di jolly cooperation e lodi a questo grande Padre incandescente. In tutto questo, Solaire è diventato un po' l'emblema della nobiltà d'animo a Lordran (in Italia quest'immagine si è diffusa soprattutto grazie al grande Pruld), tant'è che i suoi adepti hanno perpetrato tali ideali anche nelle lontane terre di Drangleic, come testimonia un'antica statua in rovina nella Valle del Raccolto. Una tradizione benevola che ci viene ricordata ogni volta che ai nostri piedi appare un marchio di colore giallo, come i caldi raggi di un Sole meritevole di ogni nostra preghiera.
In Demon's Souls l'inizio era una strada a senso unico e ciò fu da subito causa di frustrazioni senza fine dovute all'assenza della possibilità di investire le anime accumulate, almeno finché non si fosse ucciso il primo boss. Ogni scorciatoia di quell'indimenticabile travaglio aveva un sapore unico, perché ti faceva sentire più vicino a un obiettivo, ancora non ben definito, ma che avrebbe permesso al gioco di aprirsi finalmente in ogni sua sfaccettatura. Per chi, come chi vi scrive, si lamentava dell'eccessiva linearità di quella sezione, le prime ore a Lordran furono la giusta punizione per una superbia e una presunzione che mal si sarebbero sposate con tutto il resto del gioco. Tutti sapevamo che gli scheletri alla Cripta delle Tempeste di Demon's Souls erano il modo migliore per farmare: quella bella strada dritta di fronte a noi che conduceva a un cimitero pieno dei suddetti ossuti fu talmente scontata e invitante da farci perdere ore e ore nella speranza di raggiungerne la fine. Il tutto per arrivare poi alle Catacombe e morire con un teschio esplosivo in piena faccia. Forse c'era qualcosa che non andava, infatti decidemmo un po' tutti che l'ascensore che portava alle rovine di Petite Londo sarebbe stato una via più semplice per iniziare la nostra avventura. Purtroppo finimmo accerchiati da fantasmi invulnerabili ai nostri attacchi, se non direttamente annegati nell'acqua alta. Poi, all'improvviso, dopo ore di imprecazioni e di capelli strappati, arrivò quel magico momento in cui tutti notammo la stradina che si inerpicava verso il borgo dei non-morti e capimmo di aver perso ore e ore del nostro tempo senza ancora aver concluso essenzialmente nulla. Una tradizione riproposta poi con la Torre della fiamma di Heide e una serie di spade spezzate a causa delle corazze troppo resistenti degli antichi cavalieri a difesa del posto.
Se c'è un elemento che vistosamente ha alterato la struttura di Dark Souls 2 nell'edizione Scholar of the First Sin è la riproposizione a più mandate del Persecutore nel corso dell'avventura. Se già non fossero state sufficienti le apparizioni nella versione base, nella riedizione questo boss ha potuto palesarsi nei momenti meno opportuni, dandoci il tormento e costringendoci a delle ritirate in extremis per non perdere il sudato bottino. Lo suggeriva anche il nome: dove stava la persecuzione in un cavaliere fluttuante corazzato che potevamo (non molto abilmente) abbattere trafiggendolo con una ballista "casualmente" posizionata nella giusta direzione? Fu proprio la moltiplicazione degli incontri a costituire il primo passo verso un maggiore dinamismo delle boss fight, uno scardinamento dei canoni tipici di una saga che, a modo suo, stava cercando di svecchiarsi.
Il Vecchio Monaco prevedeva un concept davvero originale in termini di gameplay, con la possibilità di affrontare un altro giocatore che facesse le veci del boss e si occupasse in prima persona del nostro fallimento nella parte più alta della Torre di Latria. Un'idea interessante che rese lo scontro in questione uno dei più facili o dei più complessi in base a come girasse la nostra fortuna quel giorno. Saltando a piè pari il primo Dark Souls, tale dinamica tornò con il Cavaliere dello Specchio, un energumeno che evocava dal proprio scudo degli antipatici NPC e, all'occorrenza, dei giocatori per intralciare e rendere ancor più arduo il già difficile obiettivo di base. Un sistema scorretto? Molto probabile, ma nel momento in cui si inserisce il disco di un titolo From Software bisogna sempre essere pronti a combattere anche in evidente stato di svantaggio.
Il ruolo di Seath all'interno della grande guerra fu decisivo e ciò gli garantì il titolo di Duca e un ampio archivio in cui chiudersi e dedicarsi completamente alla ricerca. Molti lo definirebbero sbrigativamente un traditore della patria, un voltagabbana che portò all'estinzione dei draghi, ma a Lord Gwyn il suo aiuto fece molto comodo, tant'è che poté agire indisturbato con i suoi esperimenti sulle povere vergini trasformate in polpi lamentosi. In Dark Souls II incontriamo Freja, l'Amata del Duca, un gigantesco ragno a due teste che custodisce gelosamente le spoglie di quello che probabilmente un tempo era il suo compagno. Un intreccio amoroso che si infittisce e si complica ancor di più di fronte a evidenti differenze di specie e a eventuali ibridi che possano essere nati da tale relazione.
Il drago è da sempre il nemico prescelto per garantire nei titoli a sfondo fantasy degli scontri epici e memorabili. Da questo punto di vista la saga Souls non fa eccezione, infatti in ogni titolo è possibile riscontrare come gli scontri più difficili siano sempre riconducibili a queste eleganti e letali creature. In Demon's Souls i draghi gemelli rosso e blu ci inseguirono per tutto il primo mondo, radendo al suolo interi passaggi obbligati e, fin troppo spesso, bruciando le nostre carni all'interno di bollenti armature. La Viverna fu l'incubo iniziale di molti giocatori di Dark Souls, ma fu Kalameet a spezzare le ginocchia di coloro che, convinti di aver terminato il dlc dedicato ad Artorias, si sentivano onnipotenti verso qualsiasi avversità. Il trionfo di tale filosofia lo abbiamo visto al Nido del Drago di Dark Souls II, ove il terrore di finire schiacciati o arrostiti diventava una fin troppo realistica eventualità, finendo poi massacrati con una sola vampata del mastodontico (Falso) Drago Antico.
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