Sinister 2
di Ciaran Foy
con Shannyn Sossamon, James Ramsone
Usa, 2015
genere, horror
durata, 97'
Per capire la natura di un film come “Sinister 2” bisogna prestare attenzione alla storia cinematografica del suo produttore, e cioè a quel Jason Blum che in pochi anni e grazie a successi come “Paranormal Activity”, “Insidious” e “Anarchia: la notte del giudizio” è passato dall'anomimato alla notorietà, risollevando (anche in termini di incassi) le sorti di un genere oramai relegato a palcoscenici di secondo piano. E invece, grazie a una formula che prevede budget contenuti e totale libertà creativa, Blum è riuscito non solo a consolidare il valore commerciale della sua Blumhouse, diventata nel frattempo uno dei marchi indipendenti più attivi e presente del settore ma anche a spostare il livello delle proprie ambizioni verso il grande cinema mainstream, impegnandosi nella produzione dei prossimi lungometraggi di M Night Shymalam: il primo dei quali, “The Visit”, è già pronto per l’uscita, mentre il secondo, interpretato tra gli altri da Joaquin Phoenix, sarebbe in procinto di entrare in fase di lavorazione.
Strategie commerciali e cinematografiche a cui “Sinister 2”, con la programmata serialità del suo marchio appartiene di diritto, rappresentando solo l'ultimo di una lunga serie di film a puntate che a partire da quelli dedicati alla serie di Paranormal Activity hanno permesso a Blum di ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo. “Sinister 2” conferma dunque la tendenza, collocandosi in continuita cronologica con le vicende raccontate nel primo capitolo, a cui si riallaccia per la presenza del vice sceriffo interpretato da James Ramsone, che nella storia precedente non era riuscito a strappare la famiglia Oswalt al suo tragico destino, e che adesso, mosso dal senso di colpa che lo ha convinto a dimettersi dal suo incarico, cerca di evitare che la stessa sorte possa capitare a una giovane donna e ai suoi due bambini. Anche in questo caso, il luogo dell’azione è una casa infestata dai fantasmi dei pargoletti uccisi dal mefistofelico Bughuul, e come succedeva in "Sinister" anche qui il sorgere del male è legato alla visione dei filmini amatoriali che documentano le stragi famigliari portate a termine dal terribile demone.
Una mancanza di novità, a cui però “Sinister 2” sopperisce per la qualità di una tensione, che non è mai il frutto di un’azione efferata o sanguinolesca bensì il risultato di un senso di malessere e di disagio prodotti dalla visione di ambienti isolati e fatiscenti, dell'inospitalità e della claustrofobia degli interni, ridotti al minimo indispensabile e ripresi in maniera parziale e con luce limitata; della capacità di presentare personaggi che vivono in funzione della trama e che, allo stesso tempo, sono capaci di rendersene autonomi attraverso le espressioni dei loro volti. Senza dimenticare che il sentimento di inadeguatezza dei protagonisti, derivato dal fatto di non sentirsi all’altezza del proprio ruolo (dalla madre che non riesce a proteggere la spensieratezza dei propri bambini al tutore dell’ordine che rinuncia ufficialmente al suo incarico) fa da collante nei confronti dello spettatore che, un po’ alla volta, finiscono per identificarsi con la precaria umanità raccontata nello schermo.
di Ciaran Foy
con Shannyn Sossamon, James Ramsone
Usa, 2015
genere, horror
durata, 97'
Per capire la natura di un film come “Sinister 2” bisogna prestare attenzione alla storia cinematografica del suo produttore, e cioè a quel Jason Blum che in pochi anni e grazie a successi come “Paranormal Activity”, “Insidious” e “Anarchia: la notte del giudizio” è passato dall'anomimato alla notorietà, risollevando (anche in termini di incassi) le sorti di un genere oramai relegato a palcoscenici di secondo piano. E invece, grazie a una formula che prevede budget contenuti e totale libertà creativa, Blum è riuscito non solo a consolidare il valore commerciale della sua Blumhouse, diventata nel frattempo uno dei marchi indipendenti più attivi e presente del settore ma anche a spostare il livello delle proprie ambizioni verso il grande cinema mainstream, impegnandosi nella produzione dei prossimi lungometraggi di M Night Shymalam: il primo dei quali, “The Visit”, è già pronto per l’uscita, mentre il secondo, interpretato tra gli altri da Joaquin Phoenix, sarebbe in procinto di entrare in fase di lavorazione.
Strategie commerciali e cinematografiche a cui “Sinister 2”, con la programmata serialità del suo marchio appartiene di diritto, rappresentando solo l'ultimo di una lunga serie di film a puntate che a partire da quelli dedicati alla serie di Paranormal Activity hanno permesso a Blum di ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo. “Sinister 2” conferma dunque la tendenza, collocandosi in continuita cronologica con le vicende raccontate nel primo capitolo, a cui si riallaccia per la presenza del vice sceriffo interpretato da James Ramsone, che nella storia precedente non era riuscito a strappare la famiglia Oswalt al suo tragico destino, e che adesso, mosso dal senso di colpa che lo ha convinto a dimettersi dal suo incarico, cerca di evitare che la stessa sorte possa capitare a una giovane donna e ai suoi due bambini. Anche in questo caso, il luogo dell’azione è una casa infestata dai fantasmi dei pargoletti uccisi dal mefistofelico Bughuul, e come succedeva in "Sinister" anche qui il sorgere del male è legato alla visione dei filmini amatoriali che documentano le stragi famigliari portate a termine dal terribile demone.
Una mancanza di novità, a cui però “Sinister 2” sopperisce per la qualità di una tensione, che non è mai il frutto di un’azione efferata o sanguinolesca bensì il risultato di un senso di malessere e di disagio prodotti dalla visione di ambienti isolati e fatiscenti, dell'inospitalità e della claustrofobia degli interni, ridotti al minimo indispensabile e ripresi in maniera parziale e con luce limitata; della capacità di presentare personaggi che vivono in funzione della trama e che, allo stesso tempo, sono capaci di rendersene autonomi attraverso le espressioni dei loro volti. Senza dimenticare che il sentimento di inadeguatezza dei protagonisti, derivato dal fatto di non sentirsi all’altezza del proprio ruolo (dalla madre che non riesce a proteggere la spensieratezza dei propri bambini al tutore dell’ordine che rinuncia ufficialmente al suo incarico) fa da collante nei confronti dello spettatore che, un po’ alla volta, finiscono per identificarsi con la precaria umanità raccontata nello schermo.
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