venerdì 21 agosto 2015

FUOCHI D'ARTIFICIO IN PIENO GIORNO

Fuochi d'artificio in pieno giorno
di D.Yinan.
con, L.Fan, G.Lun-Mei, W.Xuebing, W.Jingchun
Cina 2014
genere, noir
durata, 110'



Mal dissimulato nel sottoscala di un numero imprecisato di cervelli, il presagio-della-fine (fine del calore umano, fine dei rapporti, fine della plausibilità delle storie), urla muto da anni più della stravolta creatura di Munch, cercando e trovando anditi sempre più confortevoli nei quali allignare prima di mostrarsi, un giorno o l'altro, in tutta la sfrontatezza del suo mesto splendore. Nel corpo millenario di un paese-continente come la Cina, l'estrema incarnazione dello spirito-del-tempo si fa intelligibile nella ricaduta capillare di certe croniche aporie del Capitalismo - alle nostre latitudini illusoriamente mitridatizzate sebbene non passibili, a tutt'oggi e, in generale, per aspetti intrinseci, di antidoto - Il suo onanismo coatto e bifronte accumulativo/dissipatore, per dire. O l'imperio, tanto più infido quanto più interrelato, di ben noti suoi semilavorati: individualismo, narcisismo, indifferenza, alienazione, nevrosi, aggressività, et. Ogni cosa a insistere sulle coscienze e le identità dei singoli nel modo di un lavorio ad alto tasso di erosione, in grado di produrre modificazioni non di rado sconvolgenti. Spesso, proprio lungo questo crinale, si muove il Cinema (un certo tipo di Cinema), azzardando riflessioni su un mondo in apparenza semplificato/pacificato perché in tutto e per tutto razionale, invece quanto mai irrisolto e problematico, e a maggior ragione se l'irrazionale lo si e' banalmente stipato nel profondo dei cuori, nell'inganno puerile di vincerlo senza colpo ferire. In particolare, negli ultimi tempi, questo certo-tipo-di-Cinema (una consistente fetta del quale e' proprio in Oriente che risiede) ha sovente sfoderato la carta dei generi o, meglio, delle loro imprevedibili mescolanze, delle inesauribili scorciatoie, delle ibride filiazioni, per tentare l'indecenza di restituire - in un gioco certo non esente da rischi e per quanto fragile e a stento ancora, talvolta, riconoscibile - un luogo e uno slancio interiore dai quali guardare a ciò che e' da venire.

 
Anche per tale ragione, un'opera come "Fuochi d'artificio in pieno giorno", di Yinan (per una volta la trasposizione criminale del titolo originale reso come "Black coal, thin ice" e' tutta a carico della sensibilità anglosassone) e' si' riconducibile al noir ma in esso, pero', non si esaurisce del tutto, attraversata com'e' da sollecitazioni appartenenti tanto al dramma che al melo'; da dilatazioni e persistenze che a tratti sconfinano nella natura morta con dettagli di archeologia industriale; nell'istantanea onirica, dai colori lividi, impregnata di un gelo unanimemente ostile; in lacerti di suggestioni pop stranite o esauste, per comporre paesaggi umani, naturali e materiali che s'intestardiscono a resistere pressoché da soli (la storia, in quanto tale, e' quasi ovvia, nella sua aderenza ad una codificazione collaudata) alla desolazione, alla dispersione.

Su simili direttrici, Zhang/Fan - detective ancor più introflesso e disilluso dopo essere stato scaricato dalla moglie, che si ritrova agli albori del terzo millennio ad indagare su resti umani macellati, impacchettati e dispersi su un territorio vasto quanto una provincia, in relazione ai quali il denominatore comune pare essere l'attività estrattiva di un certo numero di giacimenti carboniferi - procede nelle ricerche, tra piste inconcludenti, indizi fuorvianti, rivelazioni poco o punto utili, maturando mano mano più che una verità investigativa, tessere sparse di un puzzle più grande e più amaro, perdipiu' viziato da una generalizzata insensatezza di fondo, preludio, con buona approssimazione, di una fine inconsapevole tanto quanto miserabile, sostanziata di atrofia sentimentale, brutalità, inerzia, a compimento di quella apatia sintetica che, terminato il proprio lavoro in Occidente, guarda da un po' e con rinnovata bramosia alla Cina, ultimo esperimento moderno.

Itinerario che, infine, si completerà un lustro a venire, allorché Zhang, oramai preda dell'alcool, trasferito a diverse riprese tra le Sezioni del Corpo di Polizia, riannoda i fili del vecchio caso mai risolto, agganciando il proprio destino a quello della commessa di lavanderia Wu/Lun-Mei, vedova ambigua e dolente, con/per la quale troverà l'ostinazione di andare fino alla radice di una vicenda al tempo tragica e banale ("per non pensare di essere un totale fallimento") e constatare, al di la' di ogni facile consolazione (e smentendo il collega Liang/Xuebing, di li' a poco trucidato senza pietà, che gli aveva risposto: "E perché, credi che nella vita si possa anche vincere ?") che non e' vero l'assunto per cui, in fondo, si tratta di morire. Non sempre, almeno. A volte c'è da ricominciare a vivere, magari alla stregua di uno scherzo fuori copione, di un'insolenza beffarda ma partecipe: come fuochi d'artificio in pieno giorno.
TFK


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