The Slender Man
di Sylvain White
con Joey King, Javier Botet, Annalise Basso, Julia Goldani
USA, 2018genere, horror
durata, 93'
Prima di giungere al cinema Slender Man aveva dietro di sé una storia capace di qualificarne l’importanza del progetto. Nato su internet sulla scia di un concorso fotografico in cui i partecipanti erano chiamati a ritoccare con particolari macabri le immagini dei loro soggetti, il personaggio in questione è diventato virale raggiungendo una popolarità tra i teen ager americani sfociata nella realizzazione di videogiochi e, addirittura, di una web serie realizzata sullo stile di The Blair Witch Project, in cui a passare era l’idea che il terrificante villain potesse esistere anche nella realtà e non solo nell’immaginazione degli appassionati. Il film diretto da Sylvain White oltre ad essere l’ultimo atto di un cospicuo repertorio dedicato al personaggio ne doveva costituire anche la versione più compiuta, quella incaricata di legittimare e dare coerenza a una narrazione – soprattutto mediatica – fin lì eterogenea a frammentaria.
Certo è che lo Slender Man cinematografico fa poco per costruirsi la propria indipendenza dalla marea di mostri che lo hanno preceduto e, d’altronde, in mancanza d’ispirazione l’horror contemporaneo altro non fa che riciclare se stesso con variazioni a volte davvero irrisorie. In questo caso a essere apprezzabile è il tentativo di coniugare tradizione e modernità: se alla base della storia c’è come al solito l’involontaria evocazione del male, nata per gioco e destinata a finire in tragedia, la commistione tra nuove tecnologie e conoscenze tradizionali si compie da una parte aggiornando uno dei miti più classici del genere come quello del Bogeyman, l’uomo nero che mangia i bambini, dall’altra attraverso l’espediente di provocare il “contagio” mediante internet e quindi, come succedeva in The Grudge, attraverso la vista delle immagini contenute nel sito incriminato.
Se poi la chiave per raccontare la persecuzione delle quattro amiche da parte di Slender Man è quella di ricorrere alla sovrapposizione tra sogno e realtà, con il primo più terrorizzante della seconda, è impossibile non pensare a una declinazione della lezione di Wes Craven e del suo Nightmare. Detto che la paura è un’emozione soggettiva, ma che comunque in Slender Man di salti sulla poltrona se ne fanno davvero pochi, al regista francese rimproveriamo soprattutto la mancanza di coraggio necessaria ad andare oltre il semplice compito in classe.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su taxidrivers.it)
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