mercoledì 21 giugno 2017

MIDNIGHT IN PARIS

Midnight in Paris
di Woody Allen
con Owen Wilson, Rachel McAdams, Michel Sheen
USA, Spagna, 2011
genere, commedia, sentimentale
durata, 94'



L’americano in terra straniera è stato un tema che ha attraversato la letteratura di quelle parti, ed anche il cinema non ha disdegnato l’argomento, traendolo a sua volta dalla pagina scritta oppure reinventandolo a secondo delle diverse esigenze. Fatto sta che l’incursione di Woody Allen a Parigi con una coppia di turisti in viaggio di piacere e di lavoro, se è vero che il personaggio principale è uno sceneggiatore in cerca di spunti per la stesura del suo primo romanzo, pur essendo in linea con il cine turismo del regista americano non è una novità sul piano cinematografico, per la presenza di un altro film omaggio come Tutti dicono i love you, ambientato quasi interamente nella capitale francese.



Trattandosi di Woody Allen c’era comunque la speranza di una boccata d’aria fresca, non fosse altro per l’effervescente fantasia a cui ci ha abituato il regista di Manhattan. Ed invece, partendo da uno spunto interessante, basato su quel misto di nostalgia e fascinazione per un tempo, la belle epoque, ed una generazione, quella cosidetta “perduta”, tanto irripetibili quanto agognate da chiunque associ la creazione artistica all’esistenza bohemiene, Midnight in Paris si risolve con una storia divisa in due parti, quella reale, al seguito della coppia e delle sue differenze temperamentali, e quella fantastica, vissuta dal novello romanziere che allo scoccare della mezzanotte si ritrova magicamente immerso nella ronda culturale che attraversò la Parigi a cavallo degli anni 20/30. E se la prima assume subito una funzione comprimaria, preparando personaggio e spettatore ad una meraviglia che nasce anche dallo scarto con la prosaicità della vita ordinaria, è la seconda a non reggere il confronto con le aspettative di chi guarda. 
Lo stupore di Gil (intrepretato da un Clive Owen in versione intellettuale), condiviso per i primi momenti, diventa successivamente un giochino prevedibile per la sfilata di personaggi/cameo, intepretati dall’attore di turno con performance mimetiche vicine alla maniera (si pensi al Dalì di Adrian Brody ma anche all’Hemingway di Corey Stoll ma si potrebbe continuare) il cui solo pregio è quello di ricordarci la prolificità di una stagione artistica irripetibile, ma che lascia l'amaro in bocca sul piano complessivo, per un allestimento che non va oltre l’aneddoto.

Se a questo si aggiunge anche la meccanicità con cui le due dimensioni di intersecano fra loro, risolta dal passaggio che Gil riceve di volta in volta dalla star di turno, si capisce come Midnight in Paris non sia in grado di sostenere la meraviglia dell’incipit. Un Allen al lumicino quindi, nonostante il ritorno a tempi più personali come quello dell’artista incompreso e frustrato, sempre alla ricerca di una dignità e di un accettazione di cui sente la mancanza, ma soprattutto della dicotomia tra la vita sognata e quella reale. Una versione che magari accontenterà il box office mai così generoso nei suoi confronti, ma che non mancherà di lasciare indifferenti, e questo sia detto senza commettere atti di lesa maestà nei confronti di un autore impareggiabile.




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