Maria per Roma
di Karen Di Porto
con Karen Di Porto, Andrea Planamente, Bruno Pavoncello
Italia, 2016
genere, drammatico
durata, 93'
di Karen Di Porto
con Karen Di Porto, Andrea Planamente, Bruno Pavoncello
Italia, 2016
genere, drammatico
durata, 93'
Due brevi sequenze separate da un rapido stacco fanno da preludio alla vicenda di "Maria per Roma", opera prima di Karen Di Porto. Nella prima, ambientata all'interno di una camera da letto vediamo la protagonista ancora bambina ripresa di spalle mentre viene ammonita dal padre circa l'importanza di rimanere indipendente dal punto vista economico e sull'importanza di sapersela cavare con le proprie forze. A seguire un altro spaccato di vita domestica: questa volta a occupare la scena è un nuovo sodalizio che ci mostra la bambina divenuta adulta insieme alla cagnetta che le fa compagnia mentre è impegnata in una telefonata di lavoro. L'utilità di soffermarsi sui frame iniziali di "Maria per Roma" è duplice: da una parte le prime immagini svolgono una funzione introduttiva del personaggio interpretato dalla stessa regista, spiegandone per quale ragione il proprio alter ego preferisca un lavoro ("Key Holder" per una società immobiliare, in pratica addetta al check in/out di alloggi affittati ai turisti) frenetico e stressante che la porta a correre senza sosta da una parte all'altra della città impedendole di concentrarsi a pieno alla passione per la recitazione piuttosto che farsi mantenere con i soldi di una madre ansiosa e oppressiva che la vorrebbe dedita ad attività cosiddette "normali". E in un altro senso sono rivelatrici di una solitudine esistenziale scongiurata solo in parte dalla presenza dell'adorata bestiola verso cui la donna, come avremo modo di vedere nel corso della visione, nutre un'empatia che non ha paragoni rispetto a quella riservata agli esseri umani.
Esiste poi una lettura meno evidente ma altrettanto significativa dello stesso argomento che riguarda le caratteristiche di una messinscena che all'opposto di quanto fatto per i contenuti preferisce una rappresentazione in sottotono e quasi neutra nella scelta iconografica degli elementi messi in campo da cui, se pure volessimo, non è possibile dedurre nulla a parte il fatto di trovarsi in un ambiente abitativo. Ora avendo in mente quanto abbiamo appena detto e iniziando a seguire la protagonista nel suotourbillon metropolitano lo spettatore si accorgerà che con il proseguo del film i rapporti tra il soggetto della storia e la forma in cui la Di Porto la traduce è destinato a invertirsi poiché rispetto ai dettagli appresi a proposito della protagonista - che sono minimali alla pari di quelli dei vari personaggi e che soprattutto aggiungono poco o nulla rispetto a ciò che avevamo appreso in precedenza - si assiste ad un trionfo di particolari topografici relativi al centro storico e mondano della città capitolina visitati e soprattutto inquadrati con una riconoscibilità che non si vedeva dai tempi della grande bellezza sorrentiniana. Certo, rispetto al film del regista napoletano quello della Di Porto entra in dialettica con la storia del luogo senza alcuna profondità di riflessione che non sia quella possibile) di registrare l'indifferenza del paesaggio o meglio lo scollamento tra la magnificenza e l'eleganza degli spazi considerati e la simpatica e melanconica insipienza di chi li abita. Un'umanità sfasata e talvolta un po' cialtrona, quella descritta da "Maria per Roma", che la regista mette in rapporto con la mancanza di ragionevolezza di un'esistenza destinata - come vediamo nell'epilogo finale - a girare a vuoto (Il titolo del film nel gergo romano esprime questo stesso concetto) e di cui è possibile apprezzare la misura della disfatta non tanto nel tono tragicomico di certe situazioni - per esempio quella prevista nel party in cui Maria dovrebbe trovare riscontro degli esiti favorevoli del provino effettuato qualche ora prima - bensì nella costruzione aperta delle singole scene che risolvono solo parzialmente le logiche narrative per le quali sembrano nate; come accade nei confronti del personaggio interpretato da Andrea Planamente, forse spasimante non corrisposto di Maria, forse semplice amico e compartecipe delle disgrazie della ragazza ma comunque indirizzato verso un nulla di fatto rispetto al tentativo di dichiarare le cause del suo interessamento nei confronti dell'amica.
Detto che "Maria per Roma" nel fare suoi i segni più tradizionali della capitale romana si pone in controtendenza rispetto alle abitudine dell'ultimo cinema d'autore di rifuggirli e di sostituirli con quelli tipici del territorio periferico e che nel mostrarla quasi sempre occupata dai turisti prende atto della gentrificazione che nel giro di qualche anno ha visto all'incirca diecimila persone abbandonare le zone più centrali della capitale per andare a vivere altrove, sul taccuino degli appunti rimane più che altro la percezione di una regia corretta ma incapace di dare consistenza allo stile episodico e frammentato delroad movie scritto dalla stessa Di Porto Segnalato da Antonio Monda come uno dei titoli più interessanti della Festa del cinema, "Maria per Roma" non rende merito alle profezie dell'illustre sponsor.
Pubblicata su ondacinema.it
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