martedì 13 giugno 2017

VIAGGIO SENTIMENTALE ATTRAVERSO IL NUOVO CINEMA ITALIANO: SETTE ESORDI DA RICORDARE

Convinti come siamo che il cinema italiano da un po' di tempo a questa parte sia diventato una realtà capace di esprimersi su livelli di qualità capaci di coinvolgere tutti i settori della sua filiera pensiamo sia venuto il momento di tenere conto della sua produzione all’interno di uno spazio di approfondimento e riflessione svincolato dalla contingenza delle uscite in sala. Essendo la prima volta di quello che ci piacerebbe diventasse una sorta di viaggio sentimentale nel cuore pulsante del nostro cinema abbiamo deciso di iniziare con una selezione di lungometraggi che ci permette di fare il punto su alcuni degli esordi più interessanti dell’ultimo periodo con una selezione di sette titoli a suo modo rappresentativi delle nuove tendenze messe in campo dalle ultime generazioni di cineasti. 


Sponsorizzata dalle stesse categorie (produttori e distributori) che sul finire dei settanta li avevano spinti ai margini del circuito ufficiale la riscoperta dei prodotti di genere passa attraverso due debutti di lusso: quello di Stefano Sollima, figlio d’arte arrivato al successo dopo lunga gavetta e con un film, “ACAB - All Cops Are Bastards ”, in cui il connubio tra cinema e televisione (da cui Sollima proviene) da vita a un dispositivo fatto di immagini di alto impatto emotivo e forte performance cinetica e l’altro, di Gabriele Mainetti, capace di sfidare l’industria hollywoodiana con un’opera - “Lo chiamavo Jeeg Robot” che pur mantenendo intatta la propria identità si muove sulle stesso terreno delle varie saghe dedicate ai super eroi della Marvel e della DC Comics per realizzare il primo hero movie made in Italy. Vale la pena ricordare che in qualità di opere prime entrambi i film  presentano due variabili che li distinguono dagli altri titoli presenti in questa lista e cioè: la possibilità di usufruire su una campagna pubblicitaria che consente grande visibilità e un buon ritorno commerciale e soprattutto la forza di imporre i volti di attori (da Marco Giallini Luca Marinelli) che devono buona parte della loro popolarità ai personaggi interpretati nei film di Sollima e Mainetti. 


Paradigmatico è invece la prima volta del napoletano Leonardo Di Costanzo, non solo per il curriculum del regista che alla pari di molti colleghi proviene dal documentario ma perché “L’intervallo” rappresenta il tentativo del cinema di occupare lo spazio del reale nella consapevolezza di non poterne esaurire tutti gli aspetti (non a caso qui come altrove è la marginalità psicologica e sociale a essere messa sotto la lente d’ingrandimento) ma determinato a non tradirne i presupposti fenomenologici. In questo stesso contesto si colloca qualche tempo più tardi il progetto di “Vergine giurata” di Laura Bispuri, frutto di una lunga ricerca sul campo (effettuata nel nord dell’Albania dove la legge del Kanun costringe Hana, interpretata da alla brava Alba Rohrwacher a reprimere la propria sessualità) che la drammaturgia del film trasforma in un percorso di liberazione e di rinascita non del tutto estraneo alle tematiche messe in campo dal dibattito sulle questioni del gender

Tematiche queste che monopolizzano le vicende di “Arianna” nella quali Carlo Lavagna  ottimizzando al meglio gli scarsi mezzi finanziari sceglie di raccontare la diversità (sessuale) della sua protagonista (la debuttante Ondina Quadri) con i toni intimisti e onirici di un romanzo di (de)formazione giovanile. Per certi versi sorprendente è invece il tragitto compiuto dagli ultimi due titoli selezionati in questo articolo. Un po' perché in entrambi i casi si tratta di opere passate quasi inosservate - è il caso di “Salvo” di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia distribuito poco e male solo dopo la vittoria alla La semaine de la critique di Cannes - o al contrario ingiustamente vituperati dalla stampa - com’è successo a “L’attesa” di Piero Messina all’indomani della presentazione nel concorso veneziano - , un pò per l’eccezionalità di una messinscena che utilizza luoghi e temi tipici della cultura siciliana.
Carlo Cerofolini
(pubblicato su taxidrivers.it)





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