La Fondazione Cineteca Italiana programma una rassegna in omaggio al regista americano scomparso di recente presso ilMuseo Interattivo del Cinema di Milano dal 16 giugno al 2 luglio 2017.
Scomparso il 26 aprile scorso, colpito da una grave malattia che non gli aveva impedito di lavorare fino all’ultimo istante, laFondazione Cineteca Italiana dedica a Jonathan Demme una rassegna in memoria di uno dei registi più interessanti di questi ultimi anni, che trasformava gli attori in strumenti al servizio della storia da mettere in scena, con una grande capacità di gestione del mezzo cinematografico e un controllo totale del set. Jonathan Demme è stato un regista che ha avuto sempre interesse per personaggi e storie che in qualche modo colpivano la sua sensibilità, restando sempre in un ambito di cinema indipendente, ma utilizzando alla bisogna star di prima grandezza. Alternava film di genere (con temi a sfondo sociale e politico) ai documentari impegnati o musicali su personaggi amati fin quasi a idolatrarli, come David Byrne, Neil Young ed Enzo Avitabile.
Demme nasce a New York il 22 febbraio del 1944. La madre è attrice mentre il padre svolge l’attività di albergatore e fino ai quindici anni la famiglia vive nella metropoli fino al trasferimento a Miami. Negli anni Settanta in piena rivoluzione della New Hollywood, Demme ha un percorso autoriale classico di molti autori di quel periodo che si formavano o nelle università di cinema o nelle factory indipendenti. Lui impara il mestiere presso quella di Roger Corman che gli produce i primi quattro film di genere exploitation debuttando con Femmine in gabbia (1974), film carcerario estremo girato in pochi giorni e con attrici misconosciute.
Il successo internazionale arriva con Il segno di Hannan (1979) con Roy Schneider, un giallo sfondo paranormale che mette in evidenza quelle capacità di coniugare spettacolo mainstream con i codici del genere. Ma è con in dittico degli anni Ottanta Qualcosa di travolgente (1986) e Una vedova allegra… ma non troppo (1988) che Demme porta alle estreme conseguenze il gusto del pastiche e dell’amore per i personaggi femminili. Nel primo vediamo una giovane Melanie Griffith in un ruolo di donna ribelle che circuisce un anonimo e grigio impiegato (Jeff Daniels). Da commedia ben presto si trasforma in dramma, giocando in modo originale sulla commistione dei toni cambiando lo stile della narrazione in modo fluido e dinamico. Operazione che gli riesce altrettanto bene nella commedia successiva, innestando la semantica del film di mafianella sintassi della commedia dinamica e piena di colpi di scena con protagonista assoluta una deliziosa Michelle Pfeiffer che duetta con un Matthew Modine in sequenze sempre divertenti che omaggiano le screwball comedy degli anni Quaranta. È il periodo anche dei riconoscimenti critici con molteplici citazioni in vari festival e premi internazionali.
Ma è con Il silenzio degli innocenti (1991) che il regista raggiunge il successo mondiale di pubblico e di critica. Tratto dal romanzo diThomas Harris, abbiamo la nascita del serial killer psichiatra e cannibale Hannibal Lecter e il suo duello con la giovane recluta del FBI Clarice Starling. Film complesso, con una sintassi cinematografica in equilibrio tra tensione e immobilismo, grazie anche alle interpretazioni da manuale di Anthony Hopkins, nel ruolo di Lecter, e di Jodie Foster, in quella dell’agente di Quantico, si può definirlo come un vero e proprio capolavoro del decennio e un film di genere per la prima volta riconosciuto anche dall’Academy che gli consegna ben cinque Oscar nelle categorie principali: film, regia, sceneggiatura, interpretazione maschile e femminile. Un film che fa incetta di nomination e premi, tra cui vogliamo citare soprattutto l’Orso d’Argento come miglior registaa Jonathan Demme al Festival di Berlino nel 1991.
Il regista americano ormai è un autore riconosciuto, che riesce a girare opere con bassi budget, restando sempre all’interno di una produzione indipendente che gli permette di avere il controllo dell’opera. Nel 1993 gira Philadelphia con Tom Hanks (che vince un Oscar come miglior interprete protagonista): la storia di un avvocato omosessuale colpito dall’AIDS è l’occasione per il regista newyorkese di trattare uno degli argomenti più scottanti, con l’attenzione ai temi del sociale che sono un’altra caratteristica del suo cinema. L’autore utilizza i toni del melodramma all’interno di unfilm di denuncia sulla paura borghese di una malattia sconosciuta e l’omofobia da cui è colpito il giovane avvocato da parte dei soci dello studio. Philadelphia innesta una messa in scena da legal drama per raccontare la tragedia umana della malattia fisica e dei pregiudizi provocati nella società.
Citiamo The Truth About Charlie (2002), remake di Sciarada diStanley Donen, rivisitazione della commedia gialla e Rachel sta per sposarsi (2008), presentato alla Mostra di Venezia, dramma familiare con Anne Hathaway in un ruolo impegnativo, altra figura femminile a tutto tondo su cui lo sguardo di Demme si sofferma con un tratteggio di rara sensibilità psicologica. Un altro remake – presente invece nella rassegna milanese – è The Manchurian Candidate (2004) ispirato a Va’ e uccidi (1962) di John Frankenheimer. L’autore americano attualizza il tema di denuncia del complotto politico con una perfida Meryl Streep senatrice che spinge alla candidatura alla vice presidenza degli Stati Uniti il proprio figlio. Denzel Washington è un reduce dalla guerra in Iraqe compagno d’armi del figlio della senatrice, ma ben presto si scopre che sono entrambi vittime di esperimenti sul cervello per il controllo dei soldati dietro cui si muovono oscure forze economiche di multinazionali delle armi. Un film angoscioso, dove l’apparenza della legalità nasconde una realtà composta da inganni globali e uomini ridotti a semplici burattini nelle mani di demiurghi il cui unico scopo è il potere (politico ed economico) per il controllo delle masse inconsapevoli.
Nella rassegna abbiamo anche esempi di documentari – altro genere in cui Demme si è cimentato: Stop Making Sense (1984) film concerto dei Talking Heads e del front man David Byrne; Neil Young Journeys (2011) terzo documentario dedicato al cantante più amato da Jonathan Demme; Enzo Avitabile Music Life (2012) penultimo opera musicale del regista. Abbiamo anche un esempio dei suoi documentari impegnati socialmente con la sua opera più significativa come The Agronomist (2003).
Nella rassegna è presente anche la sua ultima opera di fiction Dove eravamo rimasti (2015), presentato al Festival del Film di Locarno, in cui Demme sembra malinconicamente parlare dei suoi amori con la matura cantante rock interpretata ancora una volta daMeryl Streep: la voglia di libertà, di vivere senza compromessi e il confronto con la famiglia (e in particolare la figlia), abbandonati anni prima per seguire il sogno personale di essere una cantante, sono i temi che compongono il tessuto narrativo di questo film. Con il senno di poi un film-testamento, dove la commedia, il dramma familiare, la musica, la figura femminile forte, icona di un tempo ormai finito (quello libertario degli anni Settanta) sono messi in scena in modo, forse, disequilibrato, ma che tracima amore per i personaggi e la storia in ogni sequenza.
Antonio Pettierre
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