domenica 26 febbraio 2017

BEATA IGNORANZA

Beata ignoranza
di Massimiliano Bruno
con Marco Giallini, Alessandro Gassmann, Valeria Bilello 
Italia, 2017 
genere, commedia
durata: 102' 


Ernesto e Filippo si conoscono da una vita, ma non si rivedevano da 25 anni: a dividerli è stato l'amore per la stessa donna, Marianna, e la nascita di una figlia, Nina. Ora, però, si sono ritrovati ad insegnare nello stesso liceo, l'uno italiano, l'altro matematica, e a dividerli è subentrato il loro modo di gestire il rapporto con le tecnologie: Ernesto ha un Nokia del '95, non possiede un computer ed è indignato davanti al dilagare dei social media; Filippo, invece, vive di selfie, chat e incontri in rete. Le rispettive preferenze non possono non influire sullo stile dei due docenti nonché sulle loro relazioni personali e l'attrito esplode proprio in classe, debitamente filmato e condiviso su Internet. Nina intercetta quel video virale e decide di girare un documentario creando un esperimento antropologico, secondo cui Ernesto dovrà imparare a utilizzare computer, smartphone e social, mentre Filippo dovrà disintossicarsi da qualsiasi comunicazione virtuale, con l'aiuto di un gruppo di sostegno per la dipendenza online. Poichè Nina conosce personalmente entrambe le sue cavie, la situazione è destinata a complicarsi e ad assumere sfumature tragicomiche. Massimiliano Bruno e la Italian International Film di Fulvio Lucisano si buttano a pesce sulla nuova tendenza cinematografica italiana, che individua nel suo capostipite "Perfetti sconosciuti", ma come ogni progetto successivo che rincorre un'ispirazione originale, "Beata ignoranza" non riesce a trasformare un'idea interessante, il confronto fra due modi opposti di gestire un aspetto chiave della contemporaneità, in una narrazione cinematografica soddisfacente. Il principale problema di "Beata ignoranza" è proprio la sceneggiatura, firmata da Bruno insieme a Herbert Simone Paragnani e Gianni Corsi, piena di implausibilità, che riguardano soprattutto la costruzione dei due protagonisti. Se da un lato Ernesto è divertente nella sua avversione granitica alla modernità, dall'altro risulta del tutto incoerente nella gestione del suo rapporto con Nina e nell'attrazione per un'altra insegnante, Margherita, assuefatta a quei social che lui dovrebbe detestare. Ma va ancora peggio a Filippo, ignorante anche della materia che insegna, ex elettore di Forza Italia che vive alla Balduina insieme a due perdigiorno cannaioli, in un assetto domestico che sarebbe concepibile al Pigneto, non in uno dei quartieri più conservatori di Roma. 


Tra queste incoerenze e assurdità, Alessandro Gassman si vede costretto a recitare il suo ruolo contradditorio e bidimensionale con sguardi e smorfie che non fanno onore alla sua abilità di attore. Va meglio ai personaggi di contorno: l'operatrice Iris (Emanuela Fanelli) è spassosa nella sua caratterizzazione della virago con accento "etnico"; il coinquilino di Filippo, Gianluca (Giuseppe Ragone), diverte con i suoi talenti inutilizzati strizzando l'occhio a "Smetto quando voglio"; il bidello Alessandro Di Carlo appare e scompare come una maschera goldoniana e Teresa Romagnoli fa del suo meglio per restituire a Nina un briciolo di autenticità. Pessimo, invece, il personaggio di Marianna, interpretata da Carolina Crescentini con sguardo lacrimoso. Tra l'altro tutti e tre i principali ruoli femminili, Marianna, Nina, Margherita, sembrano incapaci di gestire la propria sessualità in modo maturo, o anche solo di conoscere l'uso dei contraccettivi. Il linguaggio cinematografico è un pasticcio: l'obiettivo di preparare quella sorpresa finale che caratterizzava il prototipo "Perfetti sconosciuti" distorce tutta la costruzione narrativa, interrompendo il flusso del racconto con inserti da web serie che la conclusione dovrebbe giustificare e che, invece, rendono faticoso per lo spettatore seguire la trama. Quello che manca è soprattutto una verità di fondo nella gestione delle relazioni interpersonali, che si limitano a interazioni da spot televisivo, senza quella profondità che, anche nel contesto di una commedia, è necessaria perché la storia funzioni.
Riccardo Supino

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