venerdì 24 febbraio 2017

BARRIERE

Barriere
di Denzel Washington
con Denzel Washington, Viola Davis
USA, 2017
genere, drammatico
durata, 138'

La scelta di fare del teatro una materia cinematografica si lega a una serie di caratteristiche che inevitabilmente finiscono per influenzare il risultato finale. Se pensiamo ai film come beni di consumo e allo spettatore medio come possibile fruitore non c’è dubbio che la dilatazione dei tempi narrativi, la collocazione degli attori all’interno di un unico ambiente e soprattutto la tendenza a sviluppare la storia attraverso le parole anziché l’azione sono fattori destinati ad appagare un ristretto numero di appassionati. D’altro canto in un’epoca di avvilimento culturale e di mancanza di idee la possibilità di uno spettacolo che si riappropri in maniera corretta dei principi dell’arte e della drammaturgia costituisce di per sé un valore aggiunto in grado di fornire al film la ragione per essere visto.


“Barriere” diretto dal tre volte regista Denzel Washington offre ne è la dimostrazione perché lungi dall’essere un film destinato alle vette del box-office (nonostante la presenza dello stesso Washington in veste d’attore principale e di Viola Davis in qualità di coprotagonista)la vicenda di Troy Maxon, promessa del baseball costretto ad abbandonare lo sport per una vita di stenti e di fatiche non è solo il resoconto di una parabola umana ed esistenziale segnata dall’ingiustizia sociale e dalle conseguenze della discriminazione razziale che imperversava negli Stati Uniti degli anni cinquanta. Certo il malessere del protagonista e quello che di riflesso si riversa sul resto dei suoi familiari e in prima istanza su Rose - la moglie che in qualche modo ne stempera i lati più duri del carattere – è senza margine di dubbio la conseguenza della ghettizzazione subita dalla comunità nera in ogni angolo del paese. Al contrario però, ciò che occupa la parte centrale della narrazione è il dramma da “gruppo di famiglia in un interno” generato dalla debordante personalità dell’egotico patriarca, tanto efficace nel prendersi cura della propria famiglia quanto dispotico nell’affermazione del diritto di padre padrone che Troy impone al resto della compagine.

Se “Barriere” si regge sulle straordinarie interpretazioni degli attori (anche quelli di secondo piano)  e sulla capacità che ha il testo di parlare la lingua del nostro tempo non va dimenticata la regia di Denzel Washington soprattutto quando si tratta di far coincidere il sentimento d’oppressione che grava sui personaggi con lo stile claustrofobico delle riprese e con una messinscena che nella densità degli elementi scenografici rende come meglio non si potrebbe lo stato d’assedio vissuto dal contraddittorio protagonista.  

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